di Stefano Bruno Galli

imagesLe primarie – in modo un po’ stiracchiato: solo 55mila votanti e appena il 42% dei consensi per lui – le ha vinte Beppe Sala. Circa due terzi del partito (poco meno del 60%) non ha votato per l’amministratore delegato di Expo, che dunque s’impone, oggettivamente, come un candidato sindaco di minoranza. Ma questo poco importa. Nel laboratorio privilegiato milanese, da sempre anticipatore delle tendenze politiche del Paese, il candidato imposto dal premier Renzi sarà un elemento essenziale del percorso verso il Partito della Nazione.

L’idea – parlare di progetto politico pare francamente un po’ eccessivo – che si cela dietro il nascente Partito della Nazione è quella di allargare il consenso del Pd secondo una logica inclusiva, muovendo verso il centro del sistema politico. In pratica, questo nuovo partito si configura come una maxi Margherita, cioè una Margheritona o, meglio, come la riedizione della vecchia Dc. Evviva la Balena Bianca. Tutto ciò al netto dell’inconsistenza rutelliana – ma molti ex allievi di Cicciobbello rivestono oggi importanti incarichi di governo – e dei danni, tra esplosione del debito pubblico, clientelismo e assistenzialismo, combinati dalla Democrazia cristiana negli anni della Prima repubblica. Poveri illusi, pensavamo di essercene liberati: moriremo democristiani?

A partire dalla sinistra Dc, quella confluita – sotto le sembianze margheritine – nella pancia del Pd sino a impossessarsi del consenso e del partito, adesso il percorso mira alla ricostruzione del grande partito di massa centrista. La pancia neo-democristiana del sistema politico, dove ci starà tutto e il contrario di tutto, senza pensieri, né ideologie, né progetti, se non la mera gestione del potere, occuperà stabilmente il centro. Un centro allargato, ai margini del quale si collocherà – presumibilmente – una sinistra isolata a sinistra, quella di Fassina e Landini, e una destra parimenti isolata a destra, quella di Salvini e della Meloni. Outsider il Movimento 5 stelle.

La Prima repubblica si reggeva, a causa della Guerra Fredda e delle relazioni internazionali, su una forma di bipartitismo imperfetto, quello strutturato intorno al rapporto Dc-Pci. Nei fatti, il bipartitismo imperfetto ha dato vita a una democrazia bloccata, almeno sino alla caduta del Muro di Berlino e alla svolta della Bolognina. Per sbloccare la democrazia, il sistema politico ha abbracciato il metodo elettorale maggioritario, ma nel frattempo le inchieste avevano fatto fuori i partiti. E la democrazia italiana era la democrazia dei partiti, canale privilegiato dell’affermazione della sovranità popolare, cioè della democrazia.

Con il maggioritario sono nati partiti nuovi, del tutto privi di una robusta struttura ideologica – anche per effetto del crollo delle ideologie – e organizzati solo allo scopo di gestire, semplicemente, tra inchieste e scandali, il potere. Il Partito della Nazione è l’ultimo prodotto in questa direzione e viene proposto all’opinione pubblica come la via d’uscita dal fango della Seconda repubblica. Ma occupare un centro allargato e dilatato a dismisura – tale è il deliberato obiettivo del Partito della Nazione – significa impedire l’alternanza e negare la democrazia. Almeno nella Prima repubblica la democrazia era bloccata, ma nella dicotomia Dc-Pci esisteva; qui non esisterà più. Si torna indietro, è inutile negarlo. Indietro di parecchi decenni.

images2Proviamo a intrecciare questa prospettiva di una democrazia senza alternanza con l’Italicum. Si tratta di una legge elettorale che, senza dichiararlo esplicitamente, promuove tuttavia una forma di semipresidenzialismo imperniata su una Camera dei Deputati intesa come il moloch, l’epicentro – visto che il Senato sparirà – attorno al quale ruota tutto il sistema politico, presidiato dagli eletti nelle liste bloccate di quel partito che, anche solo con il 22-25% degli elettori (che poi vuol dire, considerate le astensioni, circa il 12-15% dei cittadini del Paese), vince le elezioni. E la figura del Premier sarà praticamente sottratta alle dinamiche parlamentari.

Proviamo a intrecciare questa prospettiva di una democrazia senza alternanza con l’orrenda Riforma costituzionale attualmente in discussione, che revoca la democrazia di prossimità. Le Province erano un soggetto costituzionale (articolo 114) e dunque un elemento costitutivo della democrazia italiana: saranno soppresse e sostituite dalle città metropolitane e dagli enti di area vasta, enti di secondo livello non elettivi. E le Regioni verranno sostanzialmente commissariate: deprivate di quasi tutti i poteri legislativi, non saranno più quell’elemento essenziale delle dinamiche interistituzionali di pesi e contrappesi tra centro e periferia che caratterizza ogni sistema politico

Ci stiamo avviando verso un futuro del tutto privo degli enti intermedi, che saranno se non cancellati (le Province), quanto meno ridotti al silenzio (le Regioni). Ma ce l’ha spiegato bene Alexis de Tocqueville verso la metà del secolo decimonono che, quando tra lo Stato e il cittadino insiste un rapporto politico diretto e non mediato da nessun ammortizzatore istituzionale, si spalancano le porte della deriva antidemocratica e autoritaria, verso la democrazia “totalitaria”.

In un futuro neanche troppo lontano, tutti gli equilibri salteranno, a vantaggio del centro istituzionale del Paese, saldamente nelle mani del Partito della nazione, legittimato dall’Italicum, legge elettorale che, ancora una volta, esclude i cittadini dal processo di selezione della classe politica, sempre prerogativa esclusiva delle segreterie dei partiti. E sarà un futuro senza democrazia dell’alternanza, questo è il destino. A pensar male – secondo la proverbiale saggezza andreottiana – si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

 

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