di Chiara Moroni*
Il cambiamento che ha subito negli ultimi anni la comunicazione politica è ormai evidente, però più a chi analizza la comunicazione che ai suoi protagonisti, i quali, in massima parte, fanno fatica a comprendere le potenzialità, ma anche i rischi di questi strumenti in continua e rapidissima evoluzione. Il web e soprattutto i social network sono ormai uno strumento indispensabile per attivare quel processo di disintermediazione che caratterizza il rapporto “diretto” e “personale” tra esponenti politici e cittadini. Ad uno sguardo superficiale la presenza nei social può apparire semplice e “naturale”, in realtà deve essere il frutto di strategie specifiche, fondate su alcuni princpi di relazione e coerenza inderogabili, ideate e messe in atto da quelli che ormai sono i professionisti del social media marketing.
Il web è in grado di mettere a disposizione di tutti, in modo orizzontale e paritario, un ambiente particolarmente ricettivo in termini di relazione e narrazione.
Come è noto l’atto della narrazione è di per sé un atto di relazione, durante il quale chi narra e chi ascolta prende parte ad un’azione comune che realizza uno scambio sia di senso sia di emozione, producendo empatia, identificazione e condivisione.
La forza persuasoria della narrazione risiede proprio in questa capacità di sviluppare una relazione ideale di scambio, nella quale il sistema di significato viene costruito in modo condiviso: chi ascolta contribuisce con il proprio universo di senso alla definizione del significato della storia, decretando in tal modo il successo o il fallimento del progetto narrativo iniziale prodotto da chi “racconta”.
Questi princìpi fondamentali che guidano ogni forma di narrazione, sono specificatamente rilevanti rispetto alle attività di storytelling politiche, perché in questo caso chi ascolta è particolarmente attento – e non di rado diffidente – rispetto non solo ai contenuti narrati, ma anche ai fini che colui che narra vuole perseguire.
Perché sia efficace, una storia politica deve essere convincente, appassionante e coerente, ma deve anche tener conto del mezzo attraverso il quale viene raccontata. Il concetto espresso da Marshall McLuhan “il mezzo è il messaggio” pur abusato e quindi banalizzato, non perde il suo significato può forte: il mezzo sostiene il contenuto, determinando gli effetti del messaggio su chi lo riceve. La “storia” che il leader politico narra attraverso i mass media impiegherà immagini e linguaggi coerenti con quegli strumenti, che risulteranno fallimentari se trasferiti tout court nei social network.
Osservando le pagine e i profili social dei politici italiani, tranne alcuni casi, ci si rende conto che il senso profondo, le logiche di base e gli effetti di ritorno, in alcuni casi pericolosamente negativi, della comunicazione on line non sono compresi appieno, come d’altra parte è accaduto nel tempo per ogni nuovo strumento che la politica ha avuto a disposizione, televisione e Internet in primo luogo: ricordiamo tutti le tediose “Tribune elettorali” televisive o gli inutili “siti vetrina” dei primi anni Duemila.
Il cambiamento culturale e di atteggiamento necessario affinché la politica comprenda e sfrutti le potenzialità comunicative e quindi di consenso dei social network, si sa, richiede tempo. Il problema – e quindi il limite – di questa necessità è però che gli ambienti virtuali e comunicativi del 2016 questo tempo non lo concedono, e nell’attesa che il politico di turno capisca la necessità di affidarsi a consulenti capaci, distinguere i ruoli strategici e comunicativi all’interno del proprio staff, affrontare la rete e i social network in modo professionale, quella rete e quei social network avranno distrutto lui e la sua reputazione online e offline.
* Docente di Comunicazione politica nell’Università di Viterbo
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