di Alia K. Nardini e Claudia Mariotti

trumper1Si tratta soltanto di “brutti capelli, battute di pessimo gusto e un sacco di soldi”, come scrive il Daily Beast? Oppure c’è altro nel paragone tra Donald Trump e Silvio Berlusconi, su cui la stampa internazionale sta profusamente scrivendo e riguardo al quale solo noi italiani sembriamo sorprendentemente taciturni?

A prescindere da qualsiasi giudizio di merito, l’analisi politica chiama ad andare oltre al fenomeno sociale e culturale di Donald Trump, utilizzando la nostra posizione privilegiata per fare chiarezza nei parallelismi tracciati sovente con troppa leggerezza tra la candidatura del miliardario newyorchese e la figura di Silvio Berlusconi. Di primo acchito, è certamente possibile rilevare alcune similitudini:

1. “Lasciate fare a me”. L’individualismo si unisce all’antipolitica, dove Trump, così come Berlusconi, si rivolge a titolo personale all’elettorato, sottolineando la propria diversità rispetto ai partiti e ai politici, corrotti e interessati solo ai giochi di potere e ai soldi. Trump, così come Berlusconi, ha già soldi e potere. La loro esperienza come uomini d’affari e la loro singolare capacità di capire veramente la gente comune, di “sentire la piazza”, vengono piuttosto portate a garanzia della fiducia che chiedono per il loro ingresso in politica.

2. “I media sono contro di me”. Trump, così come Berlusconi, è estraneo al sistema tradizionale della comunicazione politica, ma allo stesso tempo ha abbastanza risorse da muoversi indipendentemente e utilizzare canali di comunicazione propri per diffondere il suo messaggio. Il nuovo linguaggio politico rispetto al passato, semplice e, se necessario, politicamente scorretto (perché loro sono come il popolo, non parlano politichese) privilegia l’apparenza alla sostanza, assumendo notevole rilievo in quanto quantitativamente preponderante all’interno dei canali di informazione. I media, analizzando le loro posizioni, incrementano più o meno volontariamente l’attenzione della gente verso la loro figura.

3. “I miei avversari mi odiano”. Il loro affermarsi ha inizio con la denuncia degli avversari politici, che inizialmente li sottovalutano, non comprendendone l’attrattiva per gli elettori. La mancanza di un reale confronto, riguardo a proposte e temi concreti, incoraggia la vaghezza nelle loro posizioni e lascia loro campo libero per incedere verso il successo. Una volta realizzata la loro forza elettorale, più gli avversari politici parlano di loro, dedicando tempo, energie e denaro a costruire una campagna denigratoria, più loro acquistano peso e spessore, radicandosi nell’elettorato come coloro che trasmettono ottimismo, che credono nel futuro della nazione, e non hanno timore di prendere posizioni impopolari su temi spinosi.

4. “Voi potete (e volete) essere come me, perché io sono come voi”. L’elettorato non vota per il programma o la piattaforma elettorale, ma per la persona: in una fusione non sempre coerente di liberismo economico e conservatorismo dei valori, la loro morale personale e soggettiva diventa paradigma politico. Ciò che dice il leader è il programma politico, in continuo mutamento. Ne scaturisce una campagna materialista, a volte anche misogina, omofoba; che interpreta la legalità in modo elastico (perché i giudici sono contro di lui, dice Berlusconi; o perché sono le leggi stesse a dover essere cambiate, sostiene Trump); che fa riferimento ad un liberismo molto personale, impermeabile al fact checking. Gli elettori legittimano le proprie convinzioni, non sempre inserite in uno schema tradizionale che contrappone destra e sinistra, attraverso la pubblicizzazione e sublimazione di una figura chiave.

Al di là di questo primo quadro generale, permangono tuttavia alcune importanti differenze:

1. Il successo del primo Berlusconi è in reazione a vari fattori, primo fra tutti, Mani Pulite. Si presenta come l’uomo della provvidenza, il salvatore della patria in una situazione di crisi nazionale: tangentopoli, la transizione da un sistema elettorale ad un altro, l’implosione del vecchio sistema partitico, la crisi economica. Uno scenario simile non ha corrispettivo negli USA: Trump è in grado di intercettare il malessere della gente comune rispetto a dati concreti che vedono il paese in ripresa, i posti di lavoro in crescita, la copertura sanitaria in aumento. L’elettore medio americano però non vive questo, e prova rabbia verso i politici e i media che tentano di convincerlo che tutto va bene. Nonostante Trump e Berlusconi siano entrambe espressione di una diffusa disaffezione al mondo della politica, le circostanze da cui questa origina sono diversissime.

2. Berlusconi avanzava “visioni”, specie in campo economico, puntellate da studi compiuti dai “suoi” centri di raccolta dati. Fonda un partito estremamente leggero, strutturato perlopiù come comitati elettorali, gestito dalla sua azienda di pubblicità, solo per candidarsi; in seguito realizza di aver bisogno di un partito vero e proprio, che dal 1998 in poi va a costruire. Il progetto di Trump è invece sorprendentemente vago sulle proprie proposte politiche, così come sulla sua organizzazione e sulla sua squadra di collaboratori (da qui i tentennamenti nel gestire il caso Lewandowski). Ha avuto meno successo negli appuntamenti elettorali più strutturati e capillari come i caucus, che richiedono disciplina e strategia. Mancano studi approfonditi, think tank che aspirano a fornire profondità intellettuale, stesura di proposte programmatiche.

3. Berlusconi si afferma con una missione chiara e forte: io vi salverò dal pericolo comunista. Crea dunque una minaccia sullo sfondo di una situazione internazionale in cui si sentono fortemente gli effetti del crollo del regime sovietico e, in Italia, la perdita del riferimento principale del partito comunista italiano. Il suo successo si basa sulla reazione ad un supposto pericolo interno e ad una situazione di crisi riconosciuta. Trump trasforma piuttosto le difficoltà oggettive degli Stati Uniti (la crisi del mondo unipolare e il declino della potenza americana dopo le fallimentari esperienze in Iraq e Libia) in ragioni della crisi migratoria e del terrorismo, mettendo in relazione elementi in realtà scollegati in un artificioso schema di causa-effetto, che minaccia l’America.

4. Seppur contraddittorio, Berlusconi ha un rapporto continuo con i suoi alleati. Costruisce coalizioni con entità diverse, sdoganando la presenza in Parlamento di Alleanza Nazionale e portando la Lega Nord in una dimensione nazionale e governativa. Trump non dialoga mai con chi non lo ama: si limita a sminuirlo e a dileggiarlo. Il rapporto con i colleghi di partito che non lo apprezzano è distante, sprezzante, privo di qualsiasi dimensione dialettica o prospettiva di collaborazione.

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Is it only “bad hair, bad jokes and lots of money”, as the Daily Beast writes? Or is there something deeper that marks the parallel between Donald Trump and Silvio Berlusconi, which the international press is profusely writing about and only Italians seem surprisingly reluctant to examine?

Apart from any judgment of merits, political analysis requires us to extend our sights beyond Donald Trump’s social and cultural phenomenon, using our unique position as Italians to shed light on the often too lightly traced parallels between the New York tycoon’s campaign and the mannerisms of Silvio Berlusconi.

At first glance, it is certainly possible to detect some similarities:

  1. “Leave it to me.” Individualism combines with antipolitics, as Trump – just like Berlusconi – speaks to the public with a personal tone, emphasizing his distance from traditional parties and politicians, who are corrupt and only interested in power games and money. Trump, like Berlusconi, already has power and money. Their experience as businessmen and their unique ability to truly understand ordinary people and to feel the crowd, are portrayed as a guarantee for the soundness of their political enterprises.
  2. “The media are against me.” Trump, like Berlusconi, is alien to the traditional system of political communication, but at the same time, has enough resources to act independently and use his own means to spread his message. Political language marks a clear break with the past, it is simpler and, if necessary, abandons political correctness (because both Trump and Berlusconi are like the people, they do not speak the language of politicians). They favor appearance over content, gaining notoriety as they buy large chunks of time on various information channels. By analyzing their positions, the media willingly contributes to bringing further attention to them.
  3. “My opponents hate me.” Their rise begins with an attack on political opponents, who initially underestimate them, not really understanding how voters can consider them politically attractive. The lack of a real argument over concrete proposals and issues plays into the vagueness of both Trump’s and Berlusconi’s political positions, and leaves them with an open road ahead toward success. But the more time, energy and money is invested in building a coalition capable of defeating them, the more they gain momentum, winning over a wide range of people. They exude optimism, they stand for a bright future for the nation, and are not afraid to take unpopular positions on thorny issues.
  4. “You can (and want) to be like me, because I am like you.” The electorate does not vote for the program or the electoral platform, but for the person: in a mix of economic liberism and value conservatism, not always consistent, Trump’s and Berlusconi’s personal and subjective morals become a political paradigm. What each leader says is his political program, in constant making. The result is a materialistic, sometimes even misogynist, homophobic political platform; moreover, compliance to laws is elastic (because the judges hate him, says Berlusconi; or because it is the laws themselves that need changing, says Trump). They champion a very personal brand of liberal conservatism, impervious to fact-checking. Voters legitimize their own beliefs, beyond a traditional scheme of left and right wing politics, in the sublimation of their rising star.

Beyond this initial picture, however, some important differences remain:

  1. Berlusconi’s initial success is a reaction to specific events, first of all the Clean Hands investigation. He presents himself as the man sent by divine providence, the savior of his country in a situation of national crisis: the Bribesville scandal, the transition from an electoral system to another, the implosion of the old party system, an economic crisis. Such scenario has no counterpart in the US: Trump is able to tap into the malaise of common people, when hard data presents a country in recovery instead, with rising employment and growing health care coverage. The average American voter, however, does not connect to that, and feels anger towards both politicians and the media who are trying to convince him or her that all is well. Despite Trump and Berlusconi are both an expression of widespread disaffection towards politics, the circumstances of their rise are very different.
  2. Berlusconi was advancing “visions”, especially in the economic field, underpinned by studies produced by his own data centers. He founded an extremely light party, structured mainly as an electoral committee run by his advertising company, just to enter the political race. Later, he realized that he needed a real party, which he proceeded to build from 1998 onwards. Trump, instead, is astonishingly vague about his proposed policies, and does not seem to have a fully structured organizational campaign, or a coordinated team of collaborators (hence his hesitations in handling the Lewandowski case). He has not been as successful in more capillary, structured electoral venues such as caucuses, which require discipline and strategy. Trump is lacking in-depth studies, think tanks who aspire to provide him with intellectual depth, or coherent policy proposals drafts.
  3. Berlusconi set out with a clear mission: saving Italy from the communist menace. Therefore, he manufactured a threat from the left, against the backdrop of a specific international scenario: the aftermath of the collapse of the Soviet Union and, in Italy, the loss of the main reference point for the Italian Communist Party. His success was based on people’s reaction to a supposed internal danger, and to a clearly recognizable situation of crisis. Trump, instead, points at the US’s international weaknesses (the crisis of the unipolar world and the decline of American power abroad, after failed interventions in Iraq and Libya) as reasons for the migration crisis and for terrorism. He thus links elements which are really not connected in an artificial cause-effect model that supposedly threatens America.
  4. Although contradictory, Berlusconi had an ongoing relationship with his allies. He built coalitions with different parties, making the National Alliance party (the successor of the post-fascist Italian Social Movement) enter Parliament and giving the Northern League a national and governmental dimension. Conversely, Trump never forges alliances: he does not talk to those who do not love him. He belittles them and attacks their reputation. His relationship with party colleagues who do not appreciate him is unfriendly, dismissive, devoid of any real dialogue or perspectives of collaboration.

 

* Alia K. Nardini e Claudia Mariotti stanno conducendo una ricerca accademica sull’argomento, di prossima pubblicazione.Alia K. Nardini and Claudia Mariotti are conducting an academic research on this topic (forthcoming).

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