di Leonardo Raito*
L’ultima tornata elettorale amministrativa si è caricata, come spesso accade, di una valenza nazionale importante. Mai come in questo caso il risultato politico è stato chiaro: lampante vittoria del Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico in crisi, Centrodestra frammentato con una Lega incapace di sfondare aldilà delle tradizionali basi territoriali e una configurazione spezzettata poco attrattiva per l’elettorato. Ma alcuni segnali paiono essere anticipatori di prossime tendenze. Partiamo dal voto nella capitale: a Roma si è scatenato il voto punitivo contro tutti i partiti tradizionali, ritenuti responsabili dello sfacelo della città. Le inchieste di “mafia capitale” hanno decapitato gruppi dirigenti in modo trasversale, all’infelice passaggio della giunta Alemanno è seguito l’altrettanto scadente esperienza della giunta Marino, con di più il sindaco sfiduciato dal suo stesso partito (il Pd) e costretto a dimettersi anzitempo dopo un balletto non edificante. Nel marasma generatosi, i Cinque Stelle con Virginia Raggi hanno avuto vita facile su un Giachetti incoronato da primarie poco partecipate e sulle alternative generate da un centrodestra litigioso come non mai, tra un Bertolaso lanciato e poi ritirato (una figura barbina…) una Meloni e un Marchini che, da soli, non avevano la forza per sfondare. Lasciando perdere le manfrine sulla composizione della giunta, la sfida della Raggi va guardata, a prescindere, con curiosità e interesse. È la prima prova di governo davvero importante dei grillini. Riusciranno i nostri eroi a mantenere alta l’asticella della sfida o si scioglieranno come neve al sole? Di fronte a una sfida simile credo sarà possibile concedere prove d’appello.
2. Un sistema ormai tripolare?
La seconda repubblica ha ormai superato il suo tradizionale bipolarismo. Oggi il sistema politico italiano è chiaramente tripolare. Vedendo i sondaggi più recenti, Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle e Centrodestra (inteso come Forza Italia + Lega Nord) raggiungono quasi l’85% dei consensi degli elettori. Lasciato da parte il partito del non voto (ormai spesso oscillante tra il 30 e il 40% degli aventi diritto al voto) i tre poli sono ben delineati. Quanto era apparso chiaro nel corso delle elezioni politiche del 2013, e leggermente incrinato alle Europee del 2014, è parso sempre più certificato dal voto primaverile. In questo tripolarismo, se da un lato l’unica tendenza certa pare l’inarrestabile ascesa del Movimento Cinque Stelle, le variabili riguardano le altre parti in campo. Il Pd pare in crisi. La cronica avversione da parte degli italiani verso i partiti di governo (a prescindere dal fatto che operino bene o mare: governare fa perdere voti), le lotte intestine tra correnti sempre più insofferenti nei confronti del segretario-premier, stanno riducendo l’appeal di un partito che, con le elezioni europee, sembrava il contenitore in grado di incanalare verso il Pd l’elettorato volatile moderato e riformista. Ma oggi le cose non stanno come ieri. E il Pd perde consensi anche nelle tradizionali aree rosse, non verso sinistra, una galassia sempre più composita di movimenti e micro partiti, ma verso i grillini. Il centrodestra paga una grave crisi di leadership. Volente o nolente Berlusconi era stato il collante di una coalizione spesso vincente nel ventennio di seconda repubblica. Oggi, infiacchito dall’età e dalla perdita di costole e uomini di fiducia, l’ex cavaliere pare non in grado di consegnare a uno o più successori le chiavi di tenuta del proprio fronte. Salvini e la Meloni non paiono in grado di accreditarsi come leader unificanti e credibili. In vista di possibili elezioni anticipate, invito a tenere d’occhio una possibile candidatura a premier di Luca Zaia. Temo infatti che la partita referendaria autunnale, porterà, a prescindere dal risultato, al voto nel 2017.
3. Alleanze variabili
Il tormentone delle elezioni amministrative è stata la domanda posta ai leader dei tre schieramenti: in caso di ballottaggio con gli altri due partiti, per chi votereste? Le risposte, a volte chiare, a volte orientate, a volte meno, hanno dimostrato come, su scala locale, siano sempre più plausibili delle alleanze variabili. A Torino, ad esempio, come hanno dimostrato autorevoli studiosi (D’Alimonte e Diamanti su tutti), c’è stata una forte concentrazione anti Fassino da parte dei partiti avversari del Pd. Di fronte al ballottaggio, avevo pochi dubbi che la Appendino avrebbe catalizzato il voto del mondo contro. L’obiettivo di abbattere Fassino era l’espressione di un voto anti governativo. E anche altrove si sono generate alleanze variabili che potrebbero rappresentare un elemento da tenere in debito conto. Si tratta di un ulteriore indice di un elettorato stanco e sempre meno affezionato a partiti che sembrano aver perso i tradizionali ancoraggi con ideali e segni di riconoscibilità. Laddove si perdono identità e struttura, e con queste capacità organizzative, sarà sempre più difficile prevedere comportamenti e tendenze.
* Università di Padova
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