di Antonio Campati
Con l’approssimarsi degli appuntamenti elettorali, il numero di coloro che tentano di delineare gli scenari del post-voto sono ormai più numerosi di quelli che invece cercano di anticipare il risultato del voto, o per lo meno i flussi del consenso politico. Il momento elettorale diviene quasi un pretesto per allenarsi a immaginare cosa accadrà l’istante dopo la chiusura delle urne. Questa tendenza è probabilmente una delle conseguenze della cosiddetta «fast democracy», anzi di una sua eccessiva estremizzazione perché in realtà ragionare (soprattutto in termini di tatticismi) con lo sguardo al dopo elezioni ancor prima di condurre la campagna elettorale ha condotto non pochi leader politici verso cocenti sconfitte.
La tendenza a dipingere scenari futuri è però più che comprensibile specialmente quando sono proprio le previsioni degli analisti politici e, soprattutto, economici a influire direttamente sull’adozione di determinate politiche pubbliche e, talvolta, addirittura sugli assetti governativi. Diventa così molto importante studiare – e, per gli attori politici, qualche volta persino influenzare – tali analisi perché potrebbero rivelarsi davvero determinanti per il corso politico, forse più del voto dei cittadini.
Simili conclusioni derivano dal fatto che, negli ultimi decenni, si sono rivelate fallaci non poche previsioni basate sul comportamento che cittadini-razionali avrebbero dovuto assumere nel segreto dell’urna. Molti studi hanno infatti confermato, ancora una volta, che il cittadino razionale, che si informa sullo spettro delle opzioni da scegliere e quindi forgia la sua opinione dopo un’accurata comparazione fra di esse, semplicemente non esiste. E, conseguentemente, sembra del tutto inutile impegnarsi a prevederne le scelte in sede elettorale. Ma una simile conclusione è esatta solo in parte perché non si può neppure sostenere che tutto il discorso politico è basato su elementi irrazionali e, per così dire, sfuggenti all’occhio dello studioso.
Il discorso è indubbiamente complesso e per affrontarlo occorre ricorrere a diversi strumenti conoscitivi, che superano quelli della teoria democratica di radice normativa e necessitano anche di elementi propri della psicologia sperimentale e della scienza politica. È l’approccio, certamente ambizioso, che sottostà a Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico (Mimesis, 2016, pp. 206) di Gabriele Giacomini. Il quadro che delinea l’autore, utilizzando per l’appunto differenti approcci scientifici, è quello che ci restituisce una democrazia intesa come un «gioco imperfetto» laddove le decisioni politiche sono sì il risultato di un confronto ragionato fra gli individui, ma questo non è affatto immutabile perché può essere modificato dalle stesse persone che lo hanno determinato, le quali non sono certamente infallibili, bensì dotate di una razionalità limitata. Infatti, sostiene Giacomini, nonostante sia auspicabile che i cittadini e i politici si impegnino a prendere decisioni le più desiderabili possibili, è tuttavia compito della democrazia garantire la libertà di sbagliare e di prendere provvedimenti anche impulsivi, non meditati perché saranno eventualmente i correttivi previsti nella sua architettura istituzionale a offrire la possibilità di modificarli.
Giacomini delinea così i caratteri di quella che definisce «democrazia dialogica imperfetta», una democrazia in cui «la validità delle regole e dei principi di condotta devono essere prodotti attraverso una procedura di scelta che mira alla ricerca del consenso razionale degli agenti coinvolti, ricerca che tuttavia si può realizzare solo in maniera limitata, parziale ed imperfetta in quanto deve porsi in relazione ad altri fattori di tipo impulsivo ed emotivo» (pp. 146-147). In altri termini, ciò che viene sottolineato è che il principio dialogico è un elemento importante nella fase di elaborazione delle politiche pubbliche, ma questi deve convivere con l’insopprimibile idea secondo la quale la politica non sarà mai in grado di adottare sempre e comunque delle politiche frutto di decisioni informate, coerenti e perfettamente razionali.
Senza dubbio, Psicodemocrazia offre un’originale occasione per continuare la riflessione attorno alle trasformazioni della democrazia, specialmente attraverso un approfondimento della tendenza alla «derazionalizzazione», ossia al ripensamento della rigidità con la quale gli aspetti razionali hanno preso il sopravvento all’interno di taluni approcci interpretativi. Il tentativo di Giacomini, come lui stesso svela, è quindi quello di proporre un modello che mantenga in equilibrio razionalità ed emotività, capace di riconoscere i limiti della democrazia, ma allo stesso tempo in grado di individuare in essa anche la possibilità di prevedere e promuovere spazi di dialogo riflessivo.
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