di Leonardo Raito*
Virginia Raggi e il Movimento Cinque Stelle hanno legittimamente e largamente vinto le elezioni di Roma a giugno. Hanno quindi il diritto di governare. Ma ci sono diversi aspetti però che vanno affrontati, e voglio provare a farlo in modo intellettualmente onesto (come diceva Gaetano Salvemini) toccando qualche nodo che potrebbe essere utile, di qui a qualche tempo, per una riflessione scientifica seria.
1. Roma non è una città qualunque.
No, non lo è. Il governo della capitale non ha la valenza esclusiva di una semplice amministrazione di una città. Il governo della capitale è una prova fondamentale, che può valere anche la sfida del governo dell’intero paese. La cosa non va sottovalutata. Gli stessi grillini hanno festeggiato la conquista di Roma come il preludio per una prova di governo nazionale. I primi passi della Raggi, però, hanno denotato che un conto è fare la politica con il megafono, un conto dover prendere decisioni e gestire un potere molto significativo. Il sindaco di una grande città deve cimentarsi, in primis, nella costruzione di una squadra di governo. Se non ha molta esperienza (come la Raggi, ma come molti volti “nuovi”), incorre in un duplice rischio: o nominare gente ancora più inesperta di lui, o cercare esperienze e qualità che rischiano di offuscarlo… approfondiremo tra poco il concetto, perché non è banale e consiste anche nei meccanismi di selezione della classe dirigente.
2. Le nomine chi le fa?
Ma chi costruisce la squadra di governo? Le nomine degli assessori sono prerogativa del sindaco, che su di loro ha potere di revoca. Nelle grandi città però le scelte sono spesso mediate dai partiti. Nel caso di Roma, credo che la Raggi avesse selezionato la sua giunta con scelte condivise con il Movimento Cinque Stelle. L’obiettivo pareva quello di costruire una squadra di persone competenti per governare settori molto delicati della città e che erano andati in crisi nelle precedenti esperienze amministrative. Ma la partenza non è stata brillante. Nella composizione della giunta romana ci deve essere almeno una certezza: o la Raggi ha scelto male, o il M5S ha scelto male. Comunque sia, è innegabile ci siano stati errori di scelta e di valutazione. Una partenza ad handicap che si può perdonare a chi non ha molta esperienza. Ma che pare sia stata digerita male. In fin dei conti, fare rimpasti di giunta (per carità, succede in molti posti) non è mai un bel vedere. E neanche un bel sentire: perché ogni posto rimesso in discussione apre appetiti frutto delle naturali ambizioni degli uomini. E crea fratture che possono anche essere insanabili, anche in un movimento che si mette in antitesi con il tradizionale sistema dei partiti.
3. Sulle partecipate esistono bacchette magiche?
Dopo il libro di Stella e Rizzo (l’ormai arcinoto La casta) le aziende partecipate hanno gli occhi puntati addosso sia da parte dei cittadini che del sistema dell’informazione. Le partecipate del comune di Roma sono molte e costringono il governo della città a tutta una serie di nomine di consigli d’amministrazione, direttori ecc. La Raggi aveva promesso uno stravolgimento alla velocità della luce (le sue parole in campagna elettorale fanno quasi tenerezza oggi…) probabilmente non consapevole delle difficoltà che si incontrano in queste strutture di potere. E qui veniamo al punto: chi governa esercita un potere e deve fare delle scelte. In che modo? La base grillina ha attaccato la spartizione partitocratica invocando la meritocrazia. Bene. Come identificarla? Scegliendo dei tecnici? E se i tecnici non rispondessero al movimento? Facendo selezioni o concorsi (i tempi diverrebbero biblici)? Fidandosi dei consigli e dei suggerimenti di qualche persona affidabile? Davvero non è una situazione facile, ma va affrontata. Eppure anche in questa prima prova, Raggi & C. non hanno brillato. Così come non hanno brillato nella gestione della partita compensi dei collaboratori, con cifre che sembrano non discostarsi da quelle delle giunte precedenti tanto vituperate. Si tratta comunque sempre di scelte (le nomine) che vanno fatte per garantire la funzionalità degli enti. Non sono rinviabili o sacrificabili. E rappresentano una vera prova di governo.
4. Iper-trasparenza come modello di democrazia efficace?
Un altro dei problemi che pare abbia fatto schizzare alle stelle la pressione della base è quella della trasparenza. Le domande sono: come ha fatto la Raggi a nominare quel tale? Come potevano non sapere (e infatti sapevano) dell’inchiesta sulla Muraro? Chi ha fatto circolare alla stampa i messaggini tra il mini direttorio e Di Maio? C’è da chiedersi però se ogni scelta, ogni valutazione o ogni idea possa essere condivisa da tutti e con tutti. Non è che questa forma di iper-trasparenza e di iper-democrazia possa invece rischiare di inceppare il meccanismo? Di Maio ora può sembrare l’uomo che sapeva, che ha negato e che ha detto una bugia. La Taverna anche, la Raggi (stando a quanto ha dichiarato in audizione in commissione parlamentare) pure. Che cosa si sono detti nella riunione del gruppo di maggioranza consigliare? Si tratta di dubbi legittimi, tant’è che persino il leader maximo Beppe Grillo si è dovuto muovere per richiamare ai principi del movimento. Eppure anche il sistema dei comuni si basa su una democrazia rappresentativa, in cui i cittadini delegano a un’assemblea la propria voce e le proprie istante. Ma la partenza zoppicante della Raggi a Roma potrebbe essere un emblema: possibile che sia già andato in cortocircuito il modello alternativo (grillismo, democrazia diretta) a un sistema in crisi (democrazia rappresentativa?)
Per concludere.
Ritengo che questi problemi siano soltanto l’inevitabile frutto della “partitizzazione” del movimento cinque stelle e del difficile superamento dei tradizionali modelli di governo locale. La realtà è che per governare a ogni livello non si è ancora inventata una forma alternativa alla democrazia dei partiti. E che questa potrà essere rivitalizzata esclusivamente attraverso la formazione e la selezione di una nuova classe dirigente competente, consapevole e onesta. Solo la storia potrà dirci se l’esperienza della Raggi, una volta riassestata, avrà la possibilità di dire qualcosa di nuovo. Per ora non resta che fare da spettatori e attendere.
* Università di Padova
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