di Davide Ragnolini
Nel suo articolo apparso il 10 febbraio 2019 sul “Corriere della Sera”, intitolato Il fascino dei Paesi illiberali, il prof. Angelo Panebianco osservava con lucidità e apprensione una certa deriva nella politica estera della nostra penisola. L’Italia giallo-verde è presentata come isolata dall’Europa, benché l’Europa stessa risulti forse già ‘isolata’, o quantomeno ridimensionata sul piano internazionale, avendo perso lustro e slancio nel corso della sua crisi economica e politica; l’Italia giallo-verde, ancora, accarezzerebbe velleità autoritarie, benché ad oggi non abbia proposto alcun piano di riforma della Carta costituzionale; l’Italia giallo-verde si scopre poco incline ai ‘valori liberali’, benché tali ‘valori liberali’ – più probabilmente, forse, i valori del cosiddetto “momento unipolare” della politica internazionale (1991-2014?) – siano già da tempo oggetto di discussione e ridiscussione dentro e fuori le accademie e i think tank occidentali; l’Italia di oggi, insomma, soprattutto per la sua componente ‘gialla’, si vorrebbe imporre come un attore internazionale ‘anti-occidentale’.
Eppure indubbiamente occidentale, collaborando di fatto al prolungamento delle sanzioni economiche alla Russia; promuovendo a Palermo, lo scorso novembre, una conferenza internazionale sulle sorti della (molto) vicina Libia; garantendo per un altro anno, il diciassettesimo anno consecutivo, dal lontano gennaio 2002, la propria presenza in Afghanistan; e manifestando perfino di rilanciare, nel contesto europeo, un curioso ‘asse Roma-Berlino’ proprio in un momento in cui – dati alla mano – la ‘Grosse Koalition’ tedesca ha iniziato a dare segni di logoramento.
Gli esperti sostengono si stia creando una latente lega degli Stati, una sorta di “internazionale dei sovranismi” di ostacolo alla globalizzazione e alle sue sorti progressive. Ma anche la “gente”, forse, se n’è accorta: non è del resto questo momento ‘populista’ della politica italiana una reazione di politica interna alla continuità degli assetti politici domestici ed esteri degli ultimi due decenni? E la ‘nuova’ Italia giallo-verde, in questo contesto, è davvero quel laboratorio di una nuova politica estera anti-liberale a cui perfino il “New York Times” guarda con apprensione? Qualcuno dubita perfino che l’Italia si trovi ancora nella fase della sua Seconda Repubblica. Certo c’è un cambio di passo, retorico e forse sostanziale, nella politica estera del governo giallo-verde.
I governi di centrosinistra della Seconda Repubblica si impegnarono a mantenere la linea geopolitica del ‘vincolo esterno’ (tanto agli obblighi strategico-militari atlantisti, quanto alle politiche economiche dell’Unione dopo Maastricht), la quale, paradossalmente, fu considerata proprio durante la Prima Repubblica come una posizione peculiare delle destre atlantiste anti-sovietiche. I governi di centrodestra e centrosinistra della Seconda Repubblica, pur con il susseguirsi di appassionati confronti elettorali e di accese rivalità combattute nella ‘guerra fredda interna’ tra berlusconiani e anti-berlusconiani, non hanno mai interrotto questo unilaterismo della vecchia Guerra Fredda. È forse questa ‘luna di miele’ bipartisan che oggi, dopo due decenni di pacifica intesa, sta attraversando una crisi di coppia. Il terzo incomodo sarebbe rappresentato proprio dalla coalizione giallo-verde che, come scrive il prof. Panebianco, intende “ridurre il grado di interdipendenza del Paese rispetto all’esterno”, e al prezzo di un costo “altissimo”, benché sia ben difficile da quantificare… la teoria delle relazioni internazionali, del resto, con buona pace di Kenneth Waltz, non è una scienza esatta…
Ma proprio il rinvio al politologo americano di orientamento realista torna forse utile per discutere un altro punto sollevato dal prof. Panebianco. La politica estera dell’Italia giallo-verde sarebbe, senza soluzione di continuità, la prosecuzione di una politica interna illiberale, quindi coerentemente allineata con altri attori internazionali simili. Waltz avrebbe presentato quest’idea come fallace: quella per cui gli Stati ricercherebbero buoni rapporti con altri Stati sulla base della generalizzazione del proprio modello di stato e società. Gli Stati liberali possono non andare d’accordo con altri Stati liberali, così come gli Stati socialisti non sempre ebbero buoni rapporti politico-diplomatici con altri Stati di ordinamento interno simile. Non di rado, sia gli uni che gli altri si combatterono con propri ‘simili’.
Del resto, proprio l’identità ideologico-politica del governo giallo-verde è accesamente discussa. È più facile individuare delle analogie con altri movimenti di opinione e inclinazione elettorale in altri Stati europei (dai Brexiters ai gilet gialli, o anche l’affinità con partiti euroscettici centro-europei dell’area Visegrad), che veri e propri ‘simili’ nella realtà geopolitica extraeuropea, come Venezuela o Iran (sic!).
Ad apparire meno rassicurante (almeno per il prof. Panebianco) è forse meno il tipo di ‘regime’ dell’Italia giallo-verde, e più la crisi di quella longeva tradizione di unilateralismo a cui eravamo abituati a guardare la politica estera italiana. Il Paese Italia può certamente condividere, oggi come ieri, tutte le ambiguità di una media potenza, decentrata rispetto al teatro primario dell’Europa centrale, geograficamente al centro del Mediterraneo, e – tuttavia – relativamente ai margini della geopolitica mediterranea più recente.
La polarizzazione della politica interna, piuttosto, non deve indurre ad una visione polarizzante dell’attuale politica estera italiana. Gli esempi di multilateralismo e di diversificazione dei canali diplomatici, infatti, non mancano: dal recente ‘endorsment’ del premier Conte alla coalizione di governo libanese di Hariri, invisa a Tel Aviv, al ricevimento dell’israeliano Reuven Rivlin a Palazzo Chigi; dalla posizione di neutralità assunta sulle tensioni domestiche in Venezuela (in cui – non si dimentichi – il governo attuale dichiara di non aver “mai riconosciuto le elezioni presidenziali tenutesi nel maggio 2018”), alla cooperazione energetica con Abu Dhabi; dall’accordo di Trump al “100 %” (sic) con le manovre politico-economiche italiane, alle voci ufficiose sulla necessità di allentamento della tensione con Mosca.
A ben guardare, insomma, è il multilateralismo più che l’illiberalismo ad apparire giocoforza la cifra della politica estera giallo-verde. Per quanto dai fautori del vecchio unilateralismo questo possa esser scambiato per un avventurismo politico illiberale e dilettantesco.
Ph.D Candidate – Consorzio Filosofia del Nord Ovest (FINO) – Università degli Studi di Torino
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