di Alessandro Campi
I critici del progresso sono quelli che spesso meglio ne intendono il movimento, ivi comprese le pericolose degenerazioni. E’ il caso di Gustave Le Bon, l’inventore ottocentesco della psicologia delle masse: una disciplina a lungo screditata, perché considerata politicamente reazionaria (Mussolini ne era un cultore, come del resto tutti i dittatori) e troppa intrisa di determinismo positivista per essere considerata affidabile, ma che può tornarci utile nella discussione sui rapporti tra web e democrazia e, in particolare, sul rischio che la rivoluzione digitale in corso possa favorire, dietro il mito della democrazia diretta, pericolose forme di condizionamento psicologico e politico.
L’intuizione di Le Bon, appassionato sin da giovane di medicina e fisica, testimone diretto dei tumulti e dei massacri che avevano caratterizzato la Comune di Parigi (1871), fu quella di considerare la folla un soggetto sociale a sé, le cui azioni si spiegano scientificamente in modo diverso da quelle dei singoli individui. Quando gli uomini diventano massa perdono infatti la loro capacità razionale, smettono di calcolare i loro interessi, si abbandonano all’emozione e agli istinti, non distinguono più tra verità e menzogna, sino a smarrire il contatto con la realtà delle cose.
La folla, per come Le Bon la descriveva nei suoi saggi, è un’entità magmatica e porosa, che si comporta in modo irrazionale e imprevedibile, facilmente suggestionabile da una propaganda ben organizzata, pronta ad accendersi come un cerino se qualcuno sa toccarne le corde profonde, che pensa non per nessi logici ma per immagini e sulla base di associazioni elementari (se non intellettualmente primitive).
Come non vedervi una prefigurazione, sul piano della psicologia collettiva, delle masse che oggi non si mobilitano più nelle strade o nelle piazze, ma si aggregano nello spazio virtuale del web? I comportamenti in effetti sembrano gli stessi: cambi repentini d’opinione, scoppi improvvisi di rabbia, un’eccitabilità che procede per contagio. E analogo è il rischio: che le nuove folle, come le vecchie, cadano vittime di abili manipolatori. Con in più l’aggravante che questi ultimi dispongono di strumenti tecnici di condizionamento assai più penetranti rispetto anche al recente passato. Per cogliere gli umori popolari e i sentimenti collettivi i capi un tempo si affidavano al loro intuito o al massimo alle loro letture. Oggi, come è noto, si usano le profilazioni anonime e i campionamenti attraverso algoritmi. E come se non bastasse anche i sentimenti e i desideri si possono facilmente instillare: li si soddisfa dopo averli artificialmente creati.
La folla anonima del web come soggetto dominante della politica contemporanea, essendo nel frattempo spariti o entrati in crisi gli attori politici che ancora rendevano possibile e riconoscibile l’impegno individuale (dai partiti a tutte le altre forme conosciute di mediazione sociale e di organizzazione degli interessi collettivi), sembrerebbe annunciare la lunga notte della democrazia, messa definitivamente in crisi dallo strumento, appunto la Rete, che avrebbe dovuto esaltare al massimo le libertà dell’individuo e le sue capacità creative.
In realtà, le masse che in certi momenti storici cedono al fascino della tirannia e del conformismo sono le stesse che si ribellano contro l’oppressione quando quest’ultima diventa insopportabile. Il buon senso del popolo, al quale oggi si appellano i populisti contro le élite ridotte a componente parassitaria delle società che vive solo di privilegi, serve per fortuna al popolo anche per capire quando qualcuno lo danneggia nel suo stesso nome. “Chi dice umanità, inganna”, sosteneva Proudohn. “Chi dice popolo, mente”, aggiungiamo noi, dal momento che il popolo come unità omogenea non esiste e che in ogni caso nessun può rappresentarlo nella sua totalità.
Così come non c’è propaganda tanto efficace, anche quella odierna basata sui Big Data e sulle più sofisticate tecniche di marketing, da non poter essere messa a nudo quando a sostenerla sono soltanto le menzogne o gli inganni (persino Goebbels sosteneva che la propaganda, per essere efficace, deve basarsi su fatti reali, per quanto ricomposti e manipolati). In ogni caso, si può manipolare un ampio gruppo sociale, mai una società intera, dal momento che la resistenza degli individui alle bugie è antica quanto il tentativo di utilizzarle come tecnica di controllo degli uomini. Per non dire di quei leader che, giocando sui sofisticati meccanismi che governano la comunicazione politica al giorno d’oggi, si affidano per vincere solo alla loro capacità di seduzione e alla popolarità: l’esperienza ci insegna che proprio per questa ragione il loro declino è spesso più veloce della loro ascesa.
Esistono insomma dei valori politici – la competenza tecnica, il merito individuale, la prudenza, la capacità di dialogo, lo spirito di moderazione, la tolleranza verso le idee diverse dalle proprie, il senso del dovere, il rispetto delle istituzioni, il bisogno di partecipazione attiva alla vita pubblica (cosa diversa dalla partecipazione virtuale o che si affida per delega al capo carismatico di turno), la conoscenza come premessa della libertà e dello sviluppo anche professionale della persona – che non possono essere occultati in eterno e che anzi costituiscono una riserva alla quale attingere proprio quando arriva qualcuno che sostiene che se ne possa fare a meno.
Il movimento della politica, come quello della storia, è fortunatamente ondulante e ciclico, fatto cioè di spinte e controspinte L’eccesso di ideologia, nella storia italiana recente, ha prodotto la cultura del disimpegno edonistico. L’annullamento dell’individuo nel collettivo praticato dai padri ha favorito il narcisismo e il culto dell’Io tipico dei figli. L’eccesso di ingerenza della politica (e dei partiti) nella sfera economico-sociale ha creato la ripulsa anti-politica e anti-partitica che ancora domina come sentimento tra i cittadini ma che probabilmente è in via di regressione, essendosi compreso che la lotta necessaria alla corruzione non ha niente a che fare col perseguimento di una purezza e di un’onesta assolute che semplicemente non appartengono a questo mondo.
All’irrazionalità congenita delle folle, momentaneamente sedotte da qualche pifferaio, si contrappongono infatti lo spirito di autoconservazione e la saggezza frutto dell’esperienza delle comunità politiche che, diversamente dai topi di Hamelin, sentono quando si avvicina il rischio di annegare nel fiume. Placata la rabbia collettiva di questi anni, spesso contro nemici immaginari o costruiti ad arte dai cattivi politici che noi stessi ci siamo scelti, presto si tornerà giocoforza ad una visione più pragmatica e ragionevole della democrazia. Di ciò che può essere (una forma di governo che affida a minoranze elette a maggioranza la gestione degli interessi collettivi) e di ciò che non sarà mai (il potere assoluto e diretto del popolo). Ma soprattutto di ciò che serve a farla funzionare: regole del gioco condivise e rispettate, governanti capaci e mediatamente onesti, cittadini dotati d’un minimo spirito critico e mediamente informati sulle cose del mondo. Purché gli uni e gli altri attaccati al valore supremo d’ogni politica: la libertà, propria e altrui, che è il vero antidoto a qualunque pericolo di manipolazione della volontà.
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