di Leonardo Varasano

Roma è ferita. Insieme alla città eterna è traumatizzata tutta l’Italia onesta e civile. Le immagini della guerriglia sono ancora vive, vivissime: auto incendiate, suppellettili divelte, vetrine infrante, scorribande, bombe carta, cariche, manganellate, danni e feriti. Molti feriti, 135 quelli ufficiali. Nessun morto, ma le condizioni perché la casella dei decessi non rimanesse a zero c’erano tutte.

L’appuntamento romano per la “giornata mondiale della rabbia”, celebrata in decine di paesi lo scorso 15 ottobre, verrà ricordato. Eccome se verrà ricordato. L’indignazione, di per sé legittima e pacifica, è stata sopravanzata, ed in fin dei conti completamente oscurata, dalla violenza. Insensata, cieca e brutale. Ma tutt’altro che imprevedibile. Anzi. Le premesse per un esito sciagurato c’erano tutte: prima l’assalto alla sede della Banca d’Italia a Bologna, con tanto di lancio di uova e di vernice; poi l’occupazione di chiese e monumenti in diverse città; poi, ancora, gli scontri di Venezia ed il tentativo di irruzione negli uffici della Fininvest e in quelli della banca statunitense Goldman Sachs, a Milano. La climax di disordini non poteva, a ben vedere, che concludersi come si è conclusa.

Diversamente da quanto avvenuto per analoghe – ma del tutto pacifiche – manifestazioni approntate nello stesso giorno in tutto il mondo, a Roma, durante l’“I-Day”, è avvenuto purtroppo quanto era intuibile: scene agghiaccianti, una profusione di violenze, una ferocia belluina, blasfema ed impietosa che non ha risparmiato neppure gli arredi sacri di una chiesa, inveendo contro una statua della Vergine e contro un crocifisso. Un simile risultato era, purtroppo, tutt’altro che inimmaginabile. L’humus per la violenza non mancava: dopo un risveglio tardivo rispetto agli omologhi spagnoli o newyorkesi, i “Draghi ribelli” italiani – così si fanno chiamare – hanno rapidamente trasformato l’avversione alla crisi economica in contestazione essenzialmente antigovernativa; hanno dato vita ad una composita accolita protestataria che come primo obiettivo aveva Silvio Berlusconi e hanno permesso che nelle proprie fila s’insinuassero aspiranti rivoluzionari, habitué dei cortei che non disdegnano la forza (dai “No global” ai disobbedienti, dai “No Tav” agli esponenti dei centri sociali). In un contesto di questo tipo, l’inserimento dei misteriosi black bloc era tutt’altro che un’eventualità remota.

Dopo la guerriglia di Roma restano i gravissimi danni – a proposito: chi paga? -, l’ennesimo sfregio all’immagine dell’Italia – ma questa volta non c’entra nessun uomo politico, né, tanto meno, la sua vita privata – e un’indignazione vera – non pretestuosa – e sempre più forte. Quella degli italiani perbene. Resta però anche una doverosa riflessione sui rischi di un possibile ritorno, paventato da più parti, di una violenza politica in stile anni Settanta.

Proprio di violenza politica, tema di assoluta attualità, si parlerà a Roma, mercoledì 19 ottobre presso la Biblioteca della Camera dei Deputati (Sala del Refettorio, Via del Seminario, 76), in un importante convegno – “Non siamo riusciti a far capire cosa è stato per noi”. I racconti della violenza politica sull’Italia degli anni di piombo – organizzato dall’Istituto di politica e dalla Rivista di politica. La giornata sarà divisa in due sessioni. Quella mattutina, dalle ore 10 in poi, sarà presieduta da Alessandro Campi e vedrà intervenire, nell’ordine: Angelo Ventrone (Università di Macerata) e Ugo Maria Tassinari (giornalista e saggista) sulla memorialistica, rispettivamente, dei terroristi di sinistra e di destra; Aldo Giannuli (Università di Milano) sulla memorialistica dei magistrati; Agnese Moro (Rete degli archivi per non dimenticare) sugli scritti delle vittime e dei familiari delle vittime; Danilo Breschi (Università Luspio di Roma) sugli intellettuali e il terrorismo. I lavori riprenderanno, a partire dalle 14,30, con una seconda sessione presieduta da Angelo Ventrone. Nel pomeriggio interverranno: Luca Falciola (Università Cattolica di Milano) sulla stampa dinnanzi al terrorismo; Demetrio Paolin (saggista) sulla letteratura e il terrorismo; Christian Uva (Università di Roma Tre) su “Il cinema e il terrorismo”; Isabelle Sommier (Università Sorbona di Parigi) sugli anni di piombo visti dalla Francia; Alessandro Orsini (Università di Roma Tor Vergata) sugli anni di piombo visti dagli Stati Uniti.

Alle 17,30 il convegno si arricchirà con una tavola rotonda (Come far capire agli italiani di oggi “cos’è stato per noi” il terrorismo) a cui, moderati da Giovanni Bianconi (Corriere della Sera) e Giovanni Fasanella (Panorama), parteciperanno Giuseppe Pisanu (Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia), Adolfo Urso (Presidente Fondazione Farefuturo) e Luciano Violante (già Presidente della Camera, Presidente Associazione italiadecide).

In programma da tempo, il convegno dell’Istituto di politica cade in un momento – i giorni immediatamente successivi all’“I-Day”- e in un luogo – Roma, ancora segnata dai gravi incidenti del 15 ottobre – che inevitabilmente ne aumentano i motivi d’interesse. Riflettere sugli anni di piombo è utile e perfino urgente. Ora più che mai.