di Danilo Breschi
«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi». Così Bertolt Brecht nella “Vita di Galileo”. Temo la nostra terra sia abbastanza sventurata, in alcuni casi persino assalita dalla sventura, anzitutto quella prodotta quasi quotidianamente dall’uomo sull’uomo, anche se ogni tanto pure la natura si accanisce sull’uomo, tenuto conto che spesso l’uomo si accanisce sulla natura. Temo che sventurata, questa nostra terra, lo sia abbastanza da aver bisogno di alcuni piccoli eroi, piccoli perché quotidiani, perché quotidianamente normali ma capaci di interrompere la loro normalità e di farsi sottile ma capillare fronte di resistenza e di opposizione ogni volta il male morda, la malvagità aggredisca, la violenza si abbatta sull’innocente, sull’inerme, sul più debole. Donne, vecchi, bambini. Tutti loro chiedono amore, amicizia, soccorso, protezione. Eroi piccoli perché capaci di rientrare nella normalità ogni volta la loro resistenza e la loro contrapposizione abbiano esaurito la propria missione. Mi soccorre Guido Ceronetti che mi parla dell’eroe quale “formidabile rottura dalla passività animale, perciò dono degli Dei”. Fulminante. E poi, di fronte a quei mali che si chiamano nichilismo, cinismo, materialismo, sadismo e masochismo, odio ideologico, fanatismo, sento il bisogno di contrapporre quel sentimento ancestrale e universale che fece scrivere ad Ernst Jünger che «quando due persone si amano sottraggono terreno al Leviatano, creano spazi che egli non controlla». L’amore resistente al Potere. Nel “Trattato del Ribelle” lo scrisse. E mi viene in mente la coppia di amanti che si abbracciano sotto il Muro di Berlino, mentre “the guns shot above our heads” e che “we kissed, / as though nothing could fall”. Così che “the shame was on the other side” e che “we can beat them, for ever and ever”.
Il Ribelle, l’Eroe, “just for one day”, ma anche day after day, per nobiltà d’animo, per amore. Essere un guerriero del bene, essere quegli uomini liberi di cui vi è spesso penuria. Lo scriveva Leo Longanesi agli inizi del 1957, lo ha ricordato pochi giorni fa persino Benigni in tv. “Non manca la libertà, mancano gli uomini liberi”. Ed è ciò che sono i ribelli jüngeriani, questo è l’Anarca: sono tutti uomini liberi. «Quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce per i persecutori, anziché per le vittime, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che non si è ancora piegato».
È ancora Jünger a scriverlo, coinvolto nelle tempeste d’acciaio e melma in cui lo hanno scagliato i fanatismi del Novecento, lo hanno ammaliato, pietrificato, forse inquinato, persino reso equivoco, almeno ai miei occhi, non diversamente da Brecht. D’altronde, la Storia non perdona, passa e avvinghia o stritola quando si fa Tragedia. Ma qui conta la verità che il grande scrittore tedesco ha afferrato nel pensiero, e ha sigillato nella parola, dentro la pagina scritta. Scripta manent, et docent. Così nel rileggere questa pagina jüngeriana penso all’odio che esce oggi da molte moschee, da troppe moschee, e che si irradia anche contro i propri connazionali, i propri correligionari. E penso agli oltre 130 bambini e ragazzini trucidati a Peshawar, in Pakistan, dall’odio islamista.
Sono emersi dettagli raccapriccianti sulla strage. Secondo fonti dell’esercito pakistano raccolte dalla tv americana Nbc, i terroristi jihadisti avrebbero dato fuoco ad un insegnante, cosparso di benzina, e costretto i bambini a guardarlo mentre moriva arso vivo. Così in Pakistan si fa con i cristiani e coloro che rifiutano la conversione all’Islam: li si brucia vivi. E la strage di Peshawar è solo l’ultimo episodio aberrante, l’ultimo di una lunga scia di sangue innocente, e a cui altre stragi seguiranno. Prima Sidney, poi Peshawar, domani chissà. La barbarie avanza. Il contagio del morbo dilaga. Non esito a chiamarlo l’olocausto di questo secolo neonato. Questa è una sventura, una delle più annichilenti sventure dell’ancor giovane XXI secolo, una delle non poche sventure che attanagliano ampie fette della terra di oggi, una sventura per cui mi viene da dire che abbiamo bisogno di eroi, dentro quei popoli, in mezzo a quella gente, perché il male cessi di propagarsi, perché il male trovi contrasto, perché più di uno cominci a non piegarsi, a non più inginocchiarsi, genuflettersi, affinché più di uno si alzi, affinché la libertà possa cominciare ad arruolare nelle sue file ribelli al male, guerrieri del bene, uomini liberi. Pronti alla lotta.
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