di Simone Ros
“Lei non crede di essere troppo giovane per questo ruolo?” chiede sornione il cronista all’astro nascente della politica austriaca. Viene spontaneo immaginarsi il neo-ministro accarezzarsi nervosamente i capelli pesantemente “gellati” che lo hanno reso un’icona. La risposta è diplomatica, ma secca e tranchant: “Naturalmente lo penso. Nutro profondo rispetto per l’incarico che mi è stato affidato. Ho meno esperienza rispetto ai politici di lungo corso, ma anche molti vantaggi”. Incalzato dall’intervistatore della conservatrice Presse, il Ragazzaccio di Meidling (sobborgo di Vienna) snocciola, impietoso: una dose supplementare di energia e il valore aggiunto di un punto di vista giovane. “Quello di una generazione per cui l’Europa è qualcosa di scontato, anche come progetto di pace”. Il vento del rinnovamento ha iniziato a spirare anche nella pigra Repubblica Alpina della Grande Coalizione perenne? Quello di Sebastian Kurz, 27 anni, Ministro delle Politiche Comunitarie e degli Affari Esteri da dicembre 2013, è una storia che merita di essere raccontata. Soprattutto nell’anno di grazia 2014, in cui la gerontocratica Italia si è chinata alle mire rottamatrici del Segretario Fiorentino.
Nell’aprile 2011 i commentatori politici della stampa austriaca non credono ai propri occhi. Gli sguardi cadono, attoniti, su una cifra ben precisa: ventiquattro. Il neo-Sottosegretario di Stato all’Integrazione ha infatti 24 anni: si chiama Sebastian Kurz, un nome che appare quasi una condanna all’evanescenza e alla scarsa incisività (significa “breve” in tedesco). In un paese in cui i titoli accademici sono il vero vanto di ogni professionista (e quasi un’ossessione) e nomi e cognomi tradiscono spesso l’orientamento politico del clan famigliare d’appartenenza, non è un dettaglio di poco conto. All’ombra della coppia d’oro di nemici-alleati per la pelle, Faymann e Spindelegger (rispettivamente Cancelliere e Vice) e circondato da pesi massimi come i ministri Heinisch-Hosek, Mikl-Leitner, Hundstorfer e Mitterlehner, anche qualche lettera in più può fare la differenza. Dopotutto l’eccentrico miliardario Frank Stronach, incrocio populistico tra un self-made man alla Berlusconi e un outsider spregiudicato alla Beppe Grillo, ha sapientemente ritoccato l’imbarazzante cognome originario “Strohsack” (pagliaio) una volta giunto al successo e alla notorietà. La stampa all’epoca non è tenera con il giovane popolare dell’ÖVP, chiamato al governo dal suo mentore, il Vice Cancelliere Spindelegger. L’aspetto trae facilmente in inganno: pelle d’avorio, viso levigato e rotondo quasi infantile, capelli spalmati all’indietro da abbondanti dosi di gel, orecchie a sventola. Gli occhioni da cerbiatto e il sorriso fin troppo pronunciato fanno il resto: un bellimbusto (“Schnösel”), borbottano piccati gli analisti. Il liberale Standard ruggisce: “una presa per i fondelli”. I cugini dello Zeit tedesco, per niente teneri, lo bollano come uno sprovveduto venditore di fumo. Sebastian Kurz si trova di fronte alla sfida più importante della sua (breve) vita. Famiglia normale alle spalle, infanzia e giovinezza nella rossa Vienna, roccaforte socialdemocratica, Kurz decide di aderire al Partito Popolare a soli sedici anni. È lui stesso a raccontare l’episodio durante la campagna elettorale del 2013: il responsabile di quartiere gli rispose di lasciar perdere, perché tanto nella sezione non si riuniva mai nessuno. Il giovane Kurz non desiste e va a bussare alla porta della sezione ÖVP di un altro distretto viennese. Il fatto che il Partito Popolare sia totalmente fuori dai giochi in una metropoli che sta alla SPÖ come Bologna al Partito Democratico (o meglio al vecchio PCI), non spaventa il neo-attivista. Sono forse le condizioni proibitive, probabilmente, ad affinare enormemente il suo fiuto politico e a spingerlo a giocare l’asso della provocazione: se non puoi vincere con i normali strumenti di campagna elettorale, metti in difficoltà gli avversari con manovre inaspettate e slogan accattivanti. Il confine tra l’inventiva e quello che Dagospia bollerebbe come “cafonal” è piuttosto labile. Alla vigilia delle Comunali viennesi il giovane Kurz si presenta davanti al noto locale Moulin Rouge (di Vienna) accompagnato da ragazze seminude aggrappate ad un gigantesco fuoristrada. Il video è tuttora in circolazione e perseguiterà Kurz negli anni a venire. Le guance arrossate e la camicia provocatoriamente aperta, il rampollo democristiano dichiara compiaciuto ai microfoni: “Vogliamo dimostrare a tutti che anche in una città come Vienna il nero fa tendenza”. Nero è il colore dell’ÖVP e l’aggettivo scelto (“geil”) è il corrispettivo austriaco di “cool”. Vi ricorda qualcuno? Da consigliere comunale Kurz si batte per l’introduzione della metropolitana notturna nei week-end (con successo). L’establishment rosso viene a sapere con sgomento di imbarazzanti manifesti (creati da Kurz, ovviamente) in cui una coppia di attraenti teenager (piuttosto svestiti) si guarda complice alludendo all’utilità delle corse notturne. Nonostante le trovate di dubbio gusto e gli slogan provocanti, Kurz brucia tutte le tappe e piomba a piè pari nel governo. Spindelegger, leader dei Popolari, vuole facce nuove e non teme i giovani: Kurz fa al caso suo. È a questo punto che il brillante anticonformista viennese subisce una vera e propria metamorfosi: Kurz è consapevole che il suo è un sottosegretariato scomodo, una patata bollente che in pochi avrebbero davvero desiderato maneggiare. La concorrenza della destra xenofoba post-haideriana è un pericolo concreto, il rischio di urtare la sensibilità degli alleati socialdemocratici va attentamente soppesato. Kurz se la cava con un profilo oculatamente basso, lasciando il ruolo di “bad cop” alla ferrea Ministra degli Interni Mikl-Leitner. Dal canto suo, il protetto di Spindelegger entra negli uffici ministeriali in punta di piedi, si rende disponibile ad accettare i consigli e il dialogo, lancia l’idea di istituire Welcome Desk per gli immigrati. Rinuncia alla cravatta, passa le giornate in un ufficio spartano e privo di ornamenti, usa la metropolitana e parla in modo spontaneo e informale. Ha un’idea pragmatica e funzionale di integrazione, una cortese via di mezzo tra il buonismo politically correct e il rifiuto identitario. Evita accuratamente di esporsi troppo su temi quali razzismo e diritto d’asilo, dichiarando di essere colui al quale devono guardare “tutti coloro che sono legalmente in Austria”. Astuta strategia politica? Umiltà del neofita, che lascia ai “grandi” il lavoro sporco? Probabilmente né l’una né l’altra. Nel frattempo Kurz spicca il volo: dopo lo tsunami iniziale di commenti caustici e sopracciglia alzate, il Bimbaccio di Meidling diventa uno dei volti più riconosciuti e amati del governo. Un risultato straordinario, se pensiamo all’ondata di polemiche suscitata dal Ministro all’Integrazione del governo Letta Cecile Kyenge. A maggio 2013, alla vigilia delle elezioni in cui il suo mentore spera di essere incoronato Cancelliere, Kurz viene chiamato ad aprire la convention del suo partito a Vienna. Un intervento che merita di essere guardato: Kurz appare intimorito dalla folla di grigi compagni di partito che lo applaude, ma riesce ad essere allo stesso tempo tagliente, profondo e persino irriverente. Racconta la sua storia, si lascia andare a battutacce su Vienna “la rossa”, attacca l’ideologia dei compagni di governo (“Abbiamo bisogno di nuove soluzioni e non della vecchia lotta di classe”), invoca il coraggio di dire la verità a dispetto dei sondaggi e della campagna elettorale. È un trionfo. I popolari restano inchiodati al secondo posto, ma Kurz è il più votato di tutto il paese: rastrella 35.700 preferenze nella sua Vienna e viene incluso di diritto in tutti i toto-ministri. Si parla inizialmente di un “Ministero del Futuro” che il capo del suo partito vorrebbe cucirgli addosso, ma già si inizia a fare il suo nome per la casella degli Esteri, lasciata libera proprio da Spindelegger. Il resto è storia, con qualche elemento di paradossalità. Kurz non è laureato e, vista l’età, è un coetaneo dei giovani austriaci che tentano il concorso per la carriera diplomatica. A piazza dei Minoriti, la splendida sede del Ministero, è circondato da dirigenti che hanno il doppio dei suoi anni e da tirocinanti di poco “meno giovani” di lui. Il tedesco Florian Gasser della Zeit ha acidamente commentato che la sua nomina sarebbe un errore solo se l’Austria fosse un paese rilevante. Cattiverie teutoniche a parte, il destino gioca a favore del giovane Kurz. Il suo capo, passato tra qualche borbottio al Ministero delle Finanze, è stato travolto dallo scandalo bancario più grave dell’intera storia repubblicana. La stessa leadership del partito è contestata sia dall’esterno (gli industriali di riferimento) sia dall’interno (i governatori delle varie province) con il giovane-vecchio Gernot Blumel (una sorta di Letta) a mettere le toppe. Kurz, nel frattempo, è stato incoronato dai sondaggi come membro più amato del governo. Il momento della rottamazione “soft” di Spindelegger appare dunque sempre più vicino. Meidling come Firenze?
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