di Alia K. Nardini
La vittoria di Mitt Romney in Michigan e Arizona conferma che, nonostante gli alti e bassi, il cammino dell’ex Governatore del Massachusetts verso la nomination Repubblicana – seppur lentamente – procede senza grandi ostacoli. Niente, insomma, a cui non sia in grado di far fronte una squadra di validi ed efficienti consulenti, che ha saputo rastrellare decine di milioni di dollari per la campagna più costosa di tutta la storia Repubblicana.
Il fattore principale che ha deciso gli esiti del recente voto in Arizona e ha sancito gli stretti margini della vittoria di Romney in Michigan (qui l’ex Governatore del Massachusetts ha prevalso su Rick Santorum di solo quattro punti percentuali) è quello che in gergo si chiama “electability”, ovvero “eleggibilità”: accade quando gli elettori preferiscono puntare su un candidato che magari non li convince completamente, ma che reputano solido e in grado di arrivare a fine corsa, piuttosto che rischiare di sprecare il proprio voto per un aspirante carismatico, ma che a loro parere non potrà mai conquistare la presidenza.
Oltre alla percezione di Romney come quella di uno sfidante all’altezza di Barack Obama, ha contribuito al successo dell’ex Governatore del Massachusetts l’elettorato femminile del Grand Old Party, che non sembra condividere appieno le posizioni di Santorum sui temi etici, in particolar modo riguardo alla contraccezione. Se la decisione di Obama, poi ritrattata, di obbligare le istituzioni parareligiose a coprire i costi assicurativi delle loro dipendenti anche per la contraccezione e l’interruzione di gravidanza aveva polarizzato il dibattito, ricompattando il fronte etico della coalizione conservatrice, pur vero è che si tratta di temi immensamente delicati, che ancora dividono il Partito Repubblicano. Santorum viene percepito come colui che mette in dubbio la validità della Roe vs. Wade (la celebre sentenza del 1973 che di fatto fornì il precedente giuridico più noto per permettere l’interruzione di gravidanza), e questo spaventa molte donne – anche a destra, e non solo nell’elettorato centrista.
Alla vittoria di Romney ha contribuito involontariamente anche lo stesso Santorum. L’ex senatore della Pennsylvania, già fiaccato dal dibattito di Mesa della scorsa settimana – performance giudicata dai commentatori politici parecchio deludente, in cui Santorum si è spesso trovato a difendere i suoi trascorsi a Washington e a fornire numerose spiegazioni per il suo record di voto al Congresso con digressioni che a molti sono apparse giustificatorie – ha cercato di rinforzare la propria immagine di conservatore “duro e puro”, commettendo però due errori imperdonabili.
Primo, l’aver attaccato Obama per la sua affermazione secondo la quale “tutti gli americani dovrebbero andare al college”. Era palese che il Presidente non intendesse affatto sminuire il valore delle scuole professionali, o di altri percorsi formativi che possono portare a traguardi altrettanto validi in ambito lavorativo quanto una laurea universitaria, come invece ha argomentato Santorum. Era altresì scontato che Obama intendesse ribadire l’importanza di poter accedere ad un’opportunità e, più in generale, ad una scelta che i giovani americani sovente non contemplano per motivi unicamente economici – e che quasi ogni genitore, se ne avesse le possibilità, non esiterebbe a raccomandare ai figli. Definendo Obama uno “snob”, Santorum non solo ha dimostrato di non saper comprendere appieno le sfaccettature del tema complesso sul quale interveniva; anzi, proprio in virtù delle sue lauree, l’Mba e i suoi figli maggiori che studiano al college, il Senatore della Pennsylvania è sembrato voler difendere un ordine prestabilito, uno schema all’interno del quale è accettabile che alcuni, e non altri, possano accedere all’istruzione accademica – con la conseguenza di risultare molto più classista del presidente che stava criticando.
Secondo, e ancor più grave, gli americani non hanno perdonato a Santorum l’insulto a Kennedy, o meglio il deplorevole “mi fa vomitare” con cui il senatore della Pennsylvania ha commentato il memorabile discorso sulla separazione tra Stato e chiesa pronunciato da uno dei presidenti più amati nella storia statunitense. Una pietra miliare nella difesa della libertà religiosa, e non dello stato aconfessionale – specialmente se ricondotto al momento in cui venne pronunciato: il periodo in cui un Presidente cattolico sedeva alla Casa Bianca, tra sospetti e bigotteria. L’antipatica uscita di Santorum, interpellato riguardo alla propria visione del rapporto tra politica e convinzioni religiose, è stata percepita da molti come un’ennesima prova di intolleranza e ottusità da parte dell’ex Senatore della Pennsylvania, se non addirittura come un’offesa alla nazione.
In ogni caso, la vittoria di Romney in Michigan è stata ancora una volta di misura. L’ex Governatore del Massachusetts ha potuto contare sui distretti congressuali nelle zone urbane e quelli legati all’esperienza positiva del governatorato di suo padre; mentre Santorum è prevalso tra gli evangelici, i blue collars e le classi meno abbienti, ottenendo un numero di delegati (14) pari a Romney (che però poi ha ricevuto due preferenze in più, con una decisione arbitraria della commissione Repubblicana che Santorum ha provveduto immediatamente a contestare in via ufficiale). Nonostante questo, è Romney ad aggiudicarsi lo stato: e la vittoria è un fattore non da poco, come lo stesso Santorum non mancò di evidenziare nel caso di Minnesota, Missouri e Colorado, quando gli si ricordava che quegli appuntamenti non prevedevano l’assegnazione di delegati. In Arizona, il successo di Romney è stato più netta (47% rispetto al 26% di Santorum, secondo); ma il partito potrebbe comunque scegliere di rivedere alla convention nazionale l’allocazione dei 29 rappresentanti, avvenuta secondo la formula del winner takes it all e per ora provvisoriamente assegnati a Romney, sostituendola con un meccanismo proporzionale.
In ogni caso, l’ex Governatore del Massachusetts si riconferma come un candidato che non entusiasma, più efficace quando getta fango sui rivali (lo ha fatto prima con Rick Perry, poi con Gingrich in Florida, e ora con Santorum) rispetto a quando ricerca consensi proponendo soluzioni proprie. È un candidato che non sa convincere fino in fondo, né energizzare la base Repubblicana: difatti, la partecipazione elettorale nel Gop è ancora piuttosto tiepida, per usare un eufemismo. Romney tuttavia sa mantenersi in sella quando la nebbia si dirada, e gli altri concorrenti – alla ribalta soltanto per una stagione, più o meno breve – ricadono nell’ombra. Quanto tutto questo possa avvantaggiare l’ex Governatore del Massachusetts a novembre, oppure Obama, rimane ancora da vedersi.
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Lynn26
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