di Simone Ros
La Repubblica Austriaca, come più volte ricordato su questo sito, mal si attaglia ad un sistema politico altamente competitivo in cui “the winner takes all”. Suturata la ferita (ancora oggi pulsante) della guerra civile tra socialisti e catto-fascisti negli anni Trenta e trangugiata l’umiliazione dell’annessione al Reich nazista, la novella Austria post-bellica si è avvolta nel confortevole manto della neutralità a livello internazionale e ingabbiata nella rigida, ma sicura, “Proporz”. Un sistema di irreggimentazione della società in “campi” contrapposti, ma entrambi pronti e dediti alla consensuale spartizione di cariche e aree di influenza. La Proporz regge ancora oggi, nonostante il progressivo e inarrestabile sfaldamento dei “campi” accelerato da un contesto post-ideologizzato e dall’emersione di nuovi imprenditori politici in grado di catturare più efficacemente il consenso degli strati più giovani e dinamici della società.
Alla gloriosa SPÖ del carismatico Bruno Kreisky (tuttora nel Pantheon della socialdemocrazia europea, alla pari di altri idoli di una stagione irripetibile come Willy Brandt e Olof Palme) e alla conservatrice ÖVP, si sono quindi aggiunti i Verdi e la FPÖ. Quest’ultima è la capofila di quell’ampia parte dell’opinione pubblica austriaca che si riconobbe nella fulminante parabola del governatore della Carinzia Jörg Haider e che sostenne la trionfale ascesa del carinziano fino alle soglie del governo, a cui i nazionalisti vennero innalzati dal Cancelliere popolare Schüssel a cavallo del Nuovo Millennio. Esaurita l’esperienza del gabinetto nero-blu e scomparso Haider (che nel frattempo aveva fondato la BZÖ, l’Alleanza per il futuro dell’Austria), lo scettro è passato al giovane e carismatico Heinz-Christian Strache. HC Strache, come ama firmarsi nei manifesti elettorali, è diventato la versione “machista” austriaca di Marine Le Pen, cavalcando con successo la strisciante diffidenza verso gli immigrati e rinvigorendo il nazionalismo haideriano con potenti iniezioni socialisteggianti. In tale panorama, già altamente destabilizzato rispetto ai canoni classici, altre forze sono riuscite nell’impresa di farsi strada nello statico regno della Proporz, soprattutto a destra. Se a sinistra i veri competitor sono Verdi e Socialdemocratici (con i Comunisti ridotti da sempre a percentuali da prefisso telefonico), il campo del centro-destra si è rivelato un ribollire magmatico di pulsioni e repentini rovesci. La BZÖ haideriana (gli arancioni) è stata spazzata via alle ultime elezioni parlamentari (2013) e giocherà il tutto per tutto alle Europee di maggio candidando la figlia minore di Haider, Ulrike (un esempio per il centrodestra italiano?). La FPÖ di Strache ha sfondato da tempo il livello di guardia del 20% e conta di fare man bassa alle Europee, in sella al cavallo vincente dell’euroscetticismo. Il Team Stronach, movimento di cartapesta fondato due anni fa dall’eccentrico miliardario austro-canadese Frank Stronach, si è avvitato su sé stesso ed è scomparso dai radar (lasciando in Parlamento un gruppuscolo di deputati privi di guida). La vera forza dirompente è quella incarnata dai NEOS, un movimento civico di stampo liberale che ha fatto del rosa il proprio simbolo. Trainati dall’empatico e bizzarro Mathias Strolz, un consulente aziendale in passato vicino all’ÖVP, i NEOS hanno scavalcato agevolmente lo sbarramento elettorale e sono piombati in Parlamento con tutta l’irruenza e l’energia dei neofiti. Un vero tornado, la cui portata sarà ora misurata alle prossime consultazioni per il Parlamento Europeo. Forti della loro dirompente freschezza, del loro radicale e gioioso filo-europeismo (a tratti quasi naif) e del loro approccio smaccatamente liberista (una bomba atomica in un contesto corporativizzato e consensuale come quello austriaco), i NEOS hanno compreso di essere in grado di mettere alle strette i fratelli maggiori dell’ÖVP. I Popolari, che hanno tagliato ogni ponte con la destra estrema, si vedono ora sfidare a sinistra da un avversario che raccoglie consensi principalmente dal loro stesso bacino elettorale e che proclama, spavaldamente, di essere la vera forza di cambiamento di cui l’Austria necessita. Dopo il botto del settembre 2013, Strolz aveva dichiarato al settimanale “Profil”: “Siamo il primo vero partito di centro in Austria, un movimento del centro moderno (“Moderne Mitte”) fatto di cittadini, che non può essere collocato nelle tradizionali categorie di destra e sinistra”. “Siamo il primo partito post-ideologico in Austria” continuava l’iperattivo Strolz, annunciando proposte radicali nel campo della tassazione, delle pensioni, del sistema scolastico. Chi scommetteva su eventuali frizioni interne dovute al successo troppo repentino ha dovuto (per ora) ricredersi. La fusione con il Forum Liberale (un controverso movimento che pre-esisteva i NEOS come tali) si è rivelata più semplice e indolore del previsto, lanciando l’ex leader del LIF, Angelika Mlinar, come capolista alle Europee alla testa di una forza ancora più coesa e strutturata. La coppia Strolz-Mlinar minaccia dunque di creare seri grattacapi al Vice-Cancelliere in carica (e contestato leader ÖVP) Michael Spindelegger. Alla testa di un partito lacerato dalle insubordinazioni dei governatori regionali (il cosiddetto “asse dell’Ovest”) e in profonda irreversibile crisi di identità. Strolz rischia di essere colui che, lungi dal rivitalizzare il partito conservatore, ne decreterà lo sfarinamento e (forse) la scomparsa. Il sulfureo ex Vice Cancelliere (ÖVP) Erhard Buzek ha fatto sapere, compiaciuto, di aver votato NEOS alle ultime elezioni. Dopo la debacle delle Comunali di Salisburgo, in cui i NEOS hanno trionfato a spese dei Popolari, la discussione è diventata ancora più rovente, evidenziando il fatto che l’ÖVP governa solamente dove il voto della campagna controbilancia quello delle città, oramai inespugnabili. Il timido Haslauer, governatore del Land di Salisburgo proprio grazie al vitale supporto delle aree agricole, ha alzato la voce per reclamare un partito “più colorato e più urbano”. Più rosa NEOS, evidentemente. Ancora più drastico Bernd Schilcher, altra figura di peso dell’ÖVP, che ha sentenziato al quotidiano liberal “Der Standard”: “la ÖVP, come la Democrazia Cristiana italiana, è destinata ad essere trascinata via dal fiume”. L’immagine è dunque sconfortante: il mite Spindelegger come Mino Martinazzoli? La colonna conservatrice su cui si regge la Grande Coalizione perenne alla viennese erosa dal morso impietoso di Strolz, portabandiera di un elettorato urbano, liberale, liberal e post-ideologico? Il neo-segretario, l’algido trentenne Gernot Blümel, si affanna a proclamare una “rivoluzione conservatrice” che mantenga intatti i valori cristiani, mentre il neo Ministro degli Esteri, il ventisettenne Sebastian Kurz, calca il palcoscenico internazionale tenendosi a distanza di sicurezza dalle beghe di partito. Entrambi giovani, entrambi pupilli di Spindelegger, né Kurz né Blümel sembrano in grado di rispondere ad un quesito cruciale: perché un loro coetaneo dovrebbe scegliere di votare ÖVP e non NEOS?
La vera partita è quella per la conquista del ceto urbano, ammonisce “Die Presse”, quotidiano di centrodestra. Le comunali di Salisburgo e gli impietosi moniti di Busek (“I NEOS sono il vero Partito Popolare”) hanno fatto suonare la campanella di allarme. Le differenze ci sono, elenca puntiglioso il quotidiano. I NEOS aprono alle coppie omosessuali, all’adozione e all’eutanasia; la ÖVP di Spindelegger, abbarbicata ai valori cattolici, tentenna. I NEOS, meno legati alla struttura federale dello Stato, propongono l’abolizione dei Parlamenti regionali e del Senato Federale; anatema per i Popolari. Il filo-europeismo accomuna i neri e i rosa, pur con qualche sfumatura. La struttura partitica, al contrario, è distante anni luce. Il Partito Popolare si basa ancora sulla divisione novecentesca in federazioni a livello regionale, pronte a darsi battaglia e a disputarsi i posti in lista; i NEOS prevedono una semplice registrazione da parte dei cittadini e la possibilità di intervenire attivamente nella formazione delle liste. La ÖVP difende a spada tratta la leva obbligatoria, mentre i NEOS vorrebbero passare subito ad un esercito professionale. A ciò uniscono una visione più pragmatica del concetto di neutralità, che invece Spindelegger considera uno degli inviolabili principi-guida della politica estera austriaca. In campo economico le affinità si sprecano, anche se, ancora una volta, la ÖVP rivela un DNA profondamente novecentesco e corporativo. L’idea di eliminare l’iscrizione obbligatoria alle Camere di Commercio è un tabù per i Popolari. Il discrimine è dunque chiaro: da una parte una forza politica orgogliosamente conservatrice e imbevuta dei valori del cristianesimo sociale, convintamente aderente ai trend storici della politica austriaca e ancora intimamente legata alla comoda ripartizione dettata dalla Proporz (e alla conseguente segmentazione della società in categorie di riferimento, in primis imprenditori e agricoltori); dall’altra un movimento estraneo alle logiche partitiche novecentesche, aperto ed inclusivo, pronto a mettere in discussione i tabù della società e smantellarne le asfissianti strutture corporative. La partita è aperta e promette di rivelarsi, soprattutto dal punto di vista squisitamente politologico, altamente affascinante. Chi occuperebbe il vuoto lasciato da un’eventuale implosione del Partito Popolare? Su quali basi valoriali potrebbe nascere una versione 2.0 dell’ÖVP, senza scimmiottare il laicismo senza compromessi dei NEOS? Un’eventuale fusione potrebbe portare alla coesistenza, nello stesso contenitore, di un’anima catto-conservatrice e liberaldemocratica? Sono interrogativi che riguardano anche la sinistra socialdemocratica del Cancelliere Faymann, alle prese con la riscrittura del programma. L’eminenza grigia Josef Cap, a capo del think tank di riferimento, è impegnato da mesi nell’immane impresa. Mentre alcuni giovani del partito gridano “Torniamo alle radici! Torniamo al socialismo!”, Cap si affida al capo dei Pensionati, Karl Blecha, tra lo sconcerto generale. Una mossa che non deve sorprendere, nell’ambito di un partito che della difesa delle pensioni ha fatto la propria ragion d’essere. Punzecchiato da un giornalista su Renzi, Cap ha borbottato: “Funziona come modello comunicativo, ma è soprattutto populismo di sinistra”. Tramontata la Terza Via di Giddens (e Blair), lo spazio per nuove parole d’ordine sembra restringersi. Soprattutto se la SPÖ dovesse perdere il proprio gemello siamese di governo, l’ÖVP, nell’ipotesi di un collasso modello DC. Non è solo questione di identità, ma di sopravvivenza.
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