di Chiara Moroni

La parabola berlusconiana è stata descritta, analizzata e criticata in molte occasioni e da molte voci con risultati anche discordanti sulle ragioni della sua longevità politica, sulle conseguenze della diffusione del suo modello di leadership e in generale sugli effetti della sua presenza nel sistema italiano.

Il giorno dopo il voto sulla decadenza – che non segna la scomparsa dalla scena pubblica e politica di Berlusconi, ma certo determina un grande limite alle sue possibilità di intervenire concretamente nelle vicende politiche e istituzionali del Paese – il dibattito pubblico è di nuovo impegnato a capire e spiegare le trasformazioni di un leader e di un movimento politico che sono, oggi, realtà completamente diverse da quelle che sono state agli inizi e da quelle che avrebbero potuto essere.

Berlusconi ha progressivamente perduto la sua straordinaria capacità di convincere – gli elettori, gli alleati, gli uomini di cui si è circondato – qualità che costituisce la vera grande risorsa di un leader politico, sostituendola con una vocazione ad imporre la propria volontà minacciando, lusingando, mercificando l’appoggio politico e il consenso elettorale.

L’estremizzazione del dibattito e dello scontro politico, alla quale hanno volontariamente ed efficacemente contribuito anche le forze che a Berlusconi si oppongono, ha trasformato la politica italiana in uno spettacolo quotidiano nel quale vanno in scena questioni per lo più irrilevanti per la risoluzione dei grandi problemi dell’Italia di oggi e di domani. Di questa messa in scena i protagonisti indiscussi non sono i cittadini, ma le diatribe di potere e di posizione mascherate, sempre meno efficacemente, da questioni di responsabilità politica e di dedizione alla causa pubblica.

Berlusconi è sicuramente un grande alimentatore di questo sistema distorto e inefficiente con le sue battaglie ormai esclusivamente private sostenute da un esercito, forse sempre meno nutrito, di fedelissimi che sono tali perché senza il Cavaliere scomparirebbero dalla scena politica con la stessa facile immediatezza con la quale vi sono comparsi.

Nel frattempo, nel centrodestra, un uomo come Angelino Alfano – che costituisce l’esempio più efficacemente descrittivo dell’evoluzione politica di un “giovane berlusconiano”, forgiato sulla base della cultura aziendalistica del suo leader, fedele, acritico, non particolarmente brillante ma estremamente capace di adattarsi al modello di uomo politico per lui scelto da Berlusconi – è riuscito dove altri con più esperienza politica, ma certamente meno lungimiranza e meno capacità strategica, hanno tristemente fallito: costruire una alternativa politica non al berlusconismo, ma alla presenza attiva di Berlusconi in politica.

Si è detto più volte di come Berlusconi non si sia mai preoccupato di formare e legittimare una classe dirigente nel suo partito dalla quale, al momento opportuno, sarebbe emerso il suo successore, e di come abbia ripetutamente delegittimato, e di fatto politicamente demolito, i leader alleati che hanno tentato di proporsi come alternativa a lui. Alfano ha probabilmente capito che per ottenere la possibilità di occupare uno spazio e un ruolo non avrebbe dovuto porsi “contro” Berlusconi – come hanno fatto in maniera del tutto irragionevole Casini prima e Fini poi, divenendo più antiberlusconiani degli uomini di centrosinistra – ma aggirare l’ostacolo pericoloso dello scontro diretto, proponendosi come prosecutore del berlusconismo di destra, legittimato dalla responsabilità di Governo.

Alfano, contro ogni aspettativa, ha saputo agire nei tempi e nei modi giusti, stemperando lo scontro con Berlusconi ogni qual volta questo si alzava nei toni e nelle minacce, scegliendo in alcuni casi la fedeltà – come probabilmente accadrà per il voto sulla decadenza – ma continuando con fermezza a definirsi la “nuova destra” che al momento giusto saprà sostituirsi a Forza Italia senza la necessità di “uccidere” il suo padre politico.

In tutto questo le forze di destra, che in questi anni si sono proposte in vario modo e con diversi risultati – per lo più non molto rilevanti – come alternativa a Berlusconi, non potranno che assistere impotenti all’occupazione da parte dell’iniziativa di Alfano, dello spazio politico ed elettorale che inefficacemente da qualche anno stanno cercando di coprire.

Che il progetto di una nuova destra per il nostro Paese finisse con l’avere un’unica reale occasione di realizzarsi nel nome di Alfano è davvero una conclusione che pochi analisti politici avrebbero saputo prevedere. Certamente il percorso che Alfano dovrà attraversare è tutto in salita e irto di ostacoli, non ultimo dare una sostanza culturale e progettuale politicamente credibile e sostenibile al suo nuovo movimento, come d’altra parte, da uomo delle istituzioni, dovrà realmente sostenere la realizzazione delle riforme istituzionali e strutturali di cui questo Paese non può più fare a meno.

Non è un uomo carismatico, Angelino Alfano, non è un oratore particolarmente coinvolgente ed efficace, non è uomo di “spettacolo”, come lo è il suo maestro, non è un uomo che entusiasma e trascina la folla con la sua visione di un mondo nuovo e possibile. Egli è, in definitiva, l’antitesi del leader politico del XXI secolo, però evidentemente agisce in un contesto e in un momento nel quale le sue capacità di adattamento e la sua vocazione al compromesso lo rendono più adatto di altri ad emergere e a costruire una promessa politica credibile.

È il ritorno vincente delle caratteristiche dell’uomo politico forgiato nella scuola della Democrazia Cristiana, proiettato sempre sulla via mediana, sull’accordo che accontenta tutti. A destra come a sinistra il futuro politico sembra in mano a coloro che riescono a stemperare i toni e abbassare il livello dello scontro politico. Naturalmente la necessità di soluzioni e risposte concrete spinge la politica ad abbandonare lo scontro frontale per trovare soluzioni di compromesso che però si riesca a realizzare efficacemente: un Governo di larghe intese.

Si obietterà che a sinistra in questo momento si sta realizzando il successo – per il momento più mediatico che politico – di Matteo Renzi. Innanzitutto deve ancora essere eletto segretario del Pd, poi sarà necessario vederlo svestire i panni del contestatore e dell’alternativa allo status quo del partito, per indossare quelli del leader impegnato in una costante ricomposizione delle tante anime dei Democratici e dei tanti reali bisogni del Paese. Non è escluso, che in futuro, le sue origini politiche centriste non lo spingano verso un modello di leadership meno da barricata e più da compromesso, sul modello Alfano-Letta.

 

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