di Emanuele Schibotto*

Negli ultimi anni i Paesi denominati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno cercato di dare sostanza al fortunato acronimo inventato dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill, portando avanti iniziative congiunte di dialogo e partenariato. Malgrado il peso economico crescente, le sinergie politiche si fermano alle dichiarazioni di intenti: il legame è dettato più dal desiderio di emergere sul piano internazionale che da una concreta alleanza politica.

I numeri rivelano che il gruppo dei cinque Paesi BRICS rappresenta oltre il 40 percento della popolazione mondiale e circa un quarto del pil mondiale; detiene riserve valutarie per oltre 4.000 miliardi di dollari; contribuirà, nell’anno in corso, a più della metà della crescita economica mondiale.

Queste cifre hanno convinto le cinque capitali ad organizzare iniziative congiunte quali i BRICS summit nel tentativo di rafforzare il partenariato ed accrescere la propria influenza a livello globale. Nell’ultimo vertice tenutosi a Nuova Delhi sono state annunciate misure che mirano ad aumentare gli scambi commerciali reciproci con l’obiettivo di ridurre la dipendenza economica dall’UE e dagli USA, ad esempio facilitando l’ottenimento del visto ed istituendo una banca per lo sviluppo Sud-Sud.

Molto più facile a dirsi che a farsi. Come ben spiega Dominique Moïsi il potere economico non si trasforma automaticamente in potere politico. Anzitutto, il peso economico dei BRICS rimane, almeno per ora, di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi membri del G7 (che diventa G8 con l’ingresso della Russia nel 1997, ma sarà più un fatto politico che economico). Certo, le cinque economie sono cresciute in maniera impressionante a livello assoluto, ma il Pil pro-capite rimane al di sotto della media OCSE. Inoltre, presentano modelli economici molto diversi tra loro: la Cina è un Paese export-led, l’India poggia il proprio sviluppo sul settore dei servizi mentre Brasile, Russia e Sudafrica dipendono in maniera eccessiva dalle risorse naturali. Infine, il rallentamento della crescita di Brasile e India (rispetto alle previsioni) registrato nell’ultimo anno preoccupa gli investitori che guardano al lungo periodo.

Per quanto riguarda l’aspetto politico, i BRICS sono un gruppo dove emerge un leader non dichiarato, la Repubblica Popolare, la cui economia supera quelle degli altri quattro membri calcolate insieme. Tanto quanto gli USA sono il leader del G7, lo stesso dovrà giocoforza essere per la Cina all’interno dei BRICS.

Tuttavia, non vi è nessuna ragione per credere che ciò possa avvenire. Cina e India vivono tensioni diplomatiche che proseguono da mezzo secolo; il Brasile si è schierato con le potenze occidentali nella battaglia contro la sottovalutazione dello yuan cinese; Mosca sta facendo prove tecniche di miglioramento dei rapporti politico-economici – senza grandi risultati – dopo decenni di rivalità ideologica; Brasile, India e Sudafrica hanno istituito un forum trilaterale chiamato IBSA attraverso il quale professano i valori democratici e spingono per riformare il Consiglio di Sicurezza ONU, in seno al quale trovano proprio Russia e Cina ad ostacolarli, entrambi membri permanenti (gli altri sono USA, Francia e Regno Unito).

L’acronimo BRICS, in lingua inglese, significa “mattoni”. Vero, sono i mattoni sui quali poggia la crescita mondiale oggi, ma sono ancora mattoni in argilla, fragili, e soprattutto non sono i soli: dalla Turchia all’Indonesia, le economie emergenti in rapida ascesa vanno oltre i BRICS.

*Dottorando di ricerca in geopolitica economica presso l’Università Marconi e Coordinatore Editoriale del Centro Studi di Geopolitica e Relazioni Internazionali Equilibri.net