di Danilo Breschi
Nell’editoriale del 12 gennaio Giuliano Ferrara sul “Foglio” ha espresso nei confronti degli assassini di Parigi la propria “pena profonda e un’ammirazione per il loro fanatico coraggio”. Said e Chérif Kouachi e Amedy Coulibaly sarebbero – e anch’io credo siano – “combattenti islamici, militanti della causa islamica, del diritto come sharia, come legge divina, del Corano come parola di Dio dettata a Maometto”. Dunque, non sono solo terroristi, né tanto meno “lupi solitari” o schegge impazzite. Quel che questi tre hanno fatto a Parigi, migliaia di miliziani di ISIS, Boko Haram o Al Quaeda compiono ogni giorno in ampie, sempre più ampie, zone dell’Africa e del Medio Oriente, fino ai confini con l’Asia. Questo espansionismo militare, a colpi di guerriglia e attentati kamikaze (con uso di bambine come bombe umane), funge oltremare da modello vincente d’ispirazione e incoraggiamento, financo finanziamento, ora diretto ora indiretto, per le azioni dimostrative, sempre più sanguinarie e terroristiche, messe in atto dai loro seguaci nati e cresciuti in Europa.
Quel che non mi convince del ragionamento di Ferrara, come di Michel Houellebecq e altri, è che la nostra, solo la nostra, sia “una società secolarizzata e nichilista (sic)”. Non starò qui a soffermarmi sul fatto che la secolarizzazione non è tutta cosa negativa, anzi. Voglio invece riflettere un attimo sul concetto di nichilismo introdotto nel dibattito sullo jihadismo e i suoi attentati. Un nichilismo che viene sempre e comunque applicato a noi, europei e occidentali. Non c’è bisogno che, pur non usando il termine, gli integralisti islamici ce lo attribuiscano. Ci pensiamo già noi stessi a farlo. E non sarò certo io a negare che un virus nichilista serpeggi tra noi, e non da oggi: tra 1914 e 1945 non ci siamo fatti mancare nulla in tal senso. Mi chiedo però se il suo opposto sia la Jihad e il martirio armi in pugno contro l’infedele, uccidendolo. Domanda retorica, perché la risposta è immediata e secca: no. Se il nichilismo è volontà del nulla dopo che ogni altra motivazione o ideale è scomparso o eclissato, allora niente è più nichilistico della Jihad e del suo combattente. Una insana, malata voglia di distruggersi distruggendo, stroncare vite altrui per dare un sedicente senso alla propria vita, che acquisterebbe significato e direzione (ultraterrena, peraltro) solo nel sopprimerla dopo averne soppresse il maggior numero possibile. Vittime quasi sempre innocenti, perché ignare ed estranee ad un combattimento dichiarato a senso unico e spesso a volto coperto. E ingaggiato a tradimento, in modo vigliacco, alle spalle. Si pensi a quanto accaduto al supermercato kosher di Porte de Vincennes. Ma ancor prima a Tolosa, a Bruxelles. Quasi sempre sinagoghe, scuole ebraiche. Sennò gente comune, in mancanza di meglio. E penso così alle metro di Madrid (2004) e Londra (2005), per non risalire alle Torri Gemelle.
Oltre che nichilismo, vedo tanta vigliaccheria. Altro che il coraggio “ammirato” da Ferrara. Non vedo questo fior fiore di combattenti. L’unica cosa che può affascinare Ferrara è la loro disponibilità a morire, anzi il loro essere-per-la-morte. Ma questa fascinazione denuncia piuttosto il nichilismo negli occhi e nella mente di chi osserva questi killer della causa islamica.
Si avrebbe voglia di votare tutto se stesso per una causa più grande del proprio istinto di conservazione, più grande della cerchia famigliare e del proprio giardino di casa o della “roba” di verghiana memoria. Questa voglia matta – e comprensibilissima, si badi bene – di essere pronti a dare la propria vita per un ideale più elevato può però offuscare la vista e la mente. E così si confondono i piani e si finisce per scambiare questi tre assassini ideologizzati di Parigi per l’antitesi del nichilismo europeo-occidentale. L’opposto del nichilismo è una lotta sincera e senza quartiere al male, è l’amore e la gioia per la vita contro l’istinto e il piacere della morte. Eros (e, cristianamente, Agape) contro Thanatos. Ci sarebbe da chiedersi quanto nei fratelli Chouaki e in Coulibaly l’ideale fosse in realtà una pulsione patologica e deviata, cronicizzata tramite indottrinamento.
Capisco infine l’esigenza di qualcosa che spinga il nostro ego oltre l’imbelle e placida contemplazione del proprio ombelico ben pasciuto, ma allora si tenga presente l’insegnamento contenuto nel più recente, fazioso e comunque molto incompreso film di Clint Eastwood, “American Sniper”. Un film che vuole essere una parabola morale, piaccia o meno. Peraltro è questo il cinema di Eastwood, da sempre. Ebbene, il padre del protagonista insegna ai figli che il mondo è diviso in pecore, lupi e cani da pastore. I primi pensano che nel mondo non esista il male e quindi vengono regolarmente attaccati, i secondi sono il male e attaccano i primi, sempre e comunque, per istinto di sopraffazione, i terzi sono nati per difendere le pecore dai lupi e quindi nati per proteggere “quel che amano”. E non dei soli familiari o parenti, si tratta, beninteso. Nell’ottica di Eastwood, patriota americano, si tratta dei cittadini della propria nazione. Niente di nuovo, a ben guardare. È sostanzialmente la filosofia dei western da cui lo stesso Clint proviene, con l’aggiunta del patriottismo dal severo ascendente cristiano protestante. Elementare, se si vuole, ma è quello che ha alimentato i quasi quattro anni di guerra statunitense tra Pacifico ed Europa dal dicembre 1941 al settembre 1945. Contro giapponesi e tedeschi. Potremmo però cristianamente e cattolicamente, dunque universalisticamente, andare anche oltre il patriottismo ed estendere a tutti coloro che, nel mondo, sono pecore per natura o per necessità questa esigenza di difesa e protezione. Bambini, donne, anziani e milioni e milioni di innocenti o persone che non sanno farsi lupi degli altri. Non più di quel tanto che l’indole umana induce, o la società favorisce, ad essere.
Andando oltre il merito e il contenuto di quel film, mi interessa qui arrivare al cuore della questione sollevata da Giuliano Ferrara. Che cosa davvero amiamo noi europei, noi occidentali? Mi si obietterà che anche i combattenti islamici amano qualcosa. Sì, amano un Dio che chiede loro di dar la morte a chi in Egli non crede, o non vi crede nelle forme da Maometto trascritte e codificate. Amore? O sarebbe più onesto e corretto dire “sottomissione” e “ubbidienza”? Sottomissione silente e meccanica ubbidienza anzitutto a chi si arroga il diritto di interpretare il Corano e quindi il volere di Allah. Secolarizzato, tutto molto secolarizzato. Molto più di quanto un rituale o un frasario para-religioso possano indurre a credere. Ideologia, né più né meno. Ossia, religione secolarizzata e politicizzata. L’opposto del nichilismo è l’amore per la vita, riconosciuta come dotata di un senso a prescindere dalla nostra volontà. L’opposto del nichilismo è non lasciarsi vivere come pecore, indifferenti perché paurosi ed egoisti, né farsi lupi, perché più grossi e famelici. L’opposto del nichilismo è avere senso di pietà ma anche di giustizia. In questo senso, forse davvero cristiani. Laicamente, frutto di una buona secolarizzazione.
Il fatto è che molti di noi, europei e occidentali, abbiamo introiettato un malinteso senso di colpa storico e collettivo, per cui il nostro – sempre più relativo – benessere odierno sarebbe solo o soprattutto frutto dello sfruttamento dei popoli extra-europei. Noi sconteremmo così le colpe e pagheremmo i debiti di ingiustizia provocati dai nostri padri o fratelli maggiori. Finiamo così per dare ragione a Coulibaly, che nel suo ultimo paranoico videomessaggio dichiara di aver ucciso perché “non si può attaccare lo Stato Islamico e pensare che non ci siano reazioni”. E aggiunge: “Voi e la vostra coalizione bombardate e uccidete civili e combattenti. Perché? Siete voi che decidete che cosa succede sulla terra. No, non possiamo lasciarvelo fare”. L’argomento è il seguente: noi islamici siamo diventati lupi perché voi, cristiani, ebrei, laici, atei, liberali, socialisti, europei, occidentali, ecc. ecc., siete stati lupi e dunque chi la fa, l’aspetti. Accettiamo, o contro-argomentiamo? Ma soprattutto: a forza di genealogia, morale e non solo, Nietzsche uscì pazzo e noi finiremo tutti morti o sottomessi. Eternamente schiavi, e non solo dei sensi di colpa. Nichilismo è anche intellettualismo fine a se stesso, sconnesso ormai del tutto con ogni senso della realtà. Sconnesso con l’amore per chi e per ciò che siamo. Con tutti i nostri umanissimi limiti e difetti.
Ferrara avverte che “se li degradate a lupi, degradate voi stessi”. Io dico che lui li eleva al rango di eroi, o quantomeno combattenti coraggiosi e idealisti. Per me sono lupi, che si avventano su inermi e più deboli. Da che parte dunque si propende? È una di quelle situazioni in cui non si ammettono indugi eccessivamente protratti. Può non piacere, ma così è la realtà quando si fa dura. Caro Ferrara, è proprio qui che si decide chi è davvero nichilista e chi no.
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