di Danilo Breschi

renziLa domanda è d’obbligo. Che ne sarà di Matteo Renzi? E, soprattutto, che ne sarà di noi? L’ex sindaco di Firenze è davvero la nostra ultima spiaggia? Non credo. O meglio: l’avevo pensato per il governo Letta, ma visto com’è andata, credo ormai ci si debba convincere che per l’Italia ci sia sempre una caletta dietro il promontorio. Più o meno stretta, più o meno accogliente e rilassante. Però, è chiaro che se fallisce anche il trentenne, il “rottamatore” della vecchia classe politica, diventa quanto meno imbarazzante la ricerca del prossimo “traghettatore”. Verso dove, anzitutto? Verso quelle riforme che lo stesso Renzi ha annunciato di voler compiere una al mese: legge elettorale e revisione costituzionale (Senato, Titolo V), mercato del lavoro, pubblica amministrazione, fiscalità.

Ce la farà? Mah! La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: com’è che Renzi riuscirà là dove Letta è fallito, tenuto conto che ha la stessa maggioranza, quella delle “strette fraintese” degli ultimi tre mesi, peraltro, e non quella delle (presunte) “larghe intese” varate ma mai effettivamente praticate tra il maggio e il novembre del 2013? La sua situazione si annuncia persino peggiore, dal momento che Renzi, segretario neoeletto, a stragrande maggioranza e tramite delle primarie piuttosto partecipate, del PD, ha di fronte un gruppo parlamentare che è stato scelto dalle primarie del 29-30 dicembre 2012, quando Bersani era segretario e candidato alla Presidenza del Consiglio. La gran parte di essi non è sulle posizioni renziane, al contrario. L’idea di mantenersi ben saldo il seggio ancora per qualche tempo può indurre a riposizionamenti tutto sommato indolori e dunque un certo controllo sul suo gruppo in Parlamento, sia Camera che Senato, Renzi potrebbe averlo. Teniamo però conto che almeno il gruppo dei “civatiani” e quello, più occulto e subdolo, oltre che più ampio, che risponde al vecchio establishment PD, ha già annunciato di non dare niente per scontato alle richieste che giungeranno dal loro leader nonché, adesso, Presidente del Consiglio.

C’è poi la posizione del Nuovo Centrodestra di Alfano, che si è fatta assai delicata, persino problematica. Staccarsi da Berlusconi per sostenere quello che il presidente Napolitano aveva richiesto quale condicio sin qua non per la sua rielezione, ossia un governo di larghe intese che realizzasse alcune riforme improrogabili, come quella elettorale, poteva giustificare l’intera operazione scissionistica. Adesso andare a sostenere Renzi, che ha posto fine al governo Letta, e dunque andare a sorreggere con i propri voti al Senato il secondo consecutivo governo a netta maggioranza PD, risulta più difficoltoso. Ma non è poi tanto questo il vero problema per Alfano & C. La preoccupazione di NCD sta nel fatto che Renzi il 18 gennaio scorso ha incontrato Berlusconi, invitato al Nazareno, sede nazionale del PD. Nella conferenza stampa seguita alle oltre due ore di colloquio, per ben tre volte Renzi ha ribadito esserci con il leader di Forza Italia “una profonda sintonia sulla legge elettorale verso un modello che favorisca la governabilità, il bipolarismo e che elimini il potere di ricatto dei partiti più piccoli”. Lo stesso dicasi sulla riforma del titolo V della Costituzione, sull’eliminazione del bicameralismo e su interventi per l’eliminazione dei rimborsi ai gruppi regionali. Queste le parole di Renzi: “C’è una seconda intesa sulla trasformazione del Senato in camera della autonomie con il paletto che non ci sia una indennità per i senatori e non ci sia la loro elezione diretta e si modifichi il bicameralismo perfetto con l’intesa che il Senato non voti la fiducia al governo”.

“Si scordino di fare la legge elettorale senza di noi. Non possono farla e non la faranno”, e “si scordino anche di farla contro di noi”. Queste le parole con cui Alfano ha poi commentato gli esiti di quell’incontro di un mese fa. Ha poi anche twittato: “È inutile che ci inducano, per legge, a “tornare all’ovile” perché noi non torniamo indietro! Per noi la scelta è compiuta”. E anche su questo le certezze non sono affatto granitiche. Mi spiego meglio: Renzi ha dunque in dote da Letta una “piccola” maggioranza, molto stretta al Senato e molto fragile al proprio interno, perché pronta a paralizzarsi su molte questioni. Anche e soprattutto di questo Letta ha sofferto e infine pagato. Con l’incontro del 18 gennaio Renzi ha però, questa è la mia ipotesi, assaggiato la possibilità di una “grande” maggioranza, ovvero la possibilità di fare davvero quella Grosse Koalition di cui il Paese ha bisogno da almeno un paio di anni a questa parte. Quale l’intoppo finora apparso insormontabile? Dialogare con l’unico leader del centrodestra in Italia, riconosciuto negli ultimi vent’anni da ripetuti suffragi elettorali, che lo hanno per tre volte premiato fino al punto di mandarlo a Palazzo Chigi (1994; 2001; 2008). Può piacere o dispiacere, ma questo è Silvio Berlusconi. Renzi lo sa, da politico pragmatico e post-ideologico qual è, data l’età che lo colloca, come nascita, a ridosso della fine della Guerra Fredda. Credo iniziasse il primo anno di scuola superiore quando crollava il Muro di Berlino…

Il punto è questo: l’Italia sta pagando innumerevoli errori commessi da molto tempo. Alcuni risalgono addirittura agli ultimi vent’anni della Prima Repubblica (1972-1992 circa). Altri errori, quelli degli ultimi vent’anni, sono in buona parte frutto di un gioco al massacro che ha visto il bipolarismo configurarsi come una riedizione della guerra civile che tanto sembra piacere agli italiani da novantacinque anni a questa parte (1919-2014). Gioco al massacro fra destra e sinistra = gioco a somma zero per l’Italia, in cui nessuno vince e tutti noi, cittadini, perdiamo. Un gioco all’apparenza, un dramma nella sostanza, specie se continuiamo in questa paralisi politica e istituzionale. Bisognava andare alle elezioni, una volta appurata l’impasse di Letta? Mah! I leader si affermano sulla base di elezioni? Sì, e no, nell’Italia di questi ultimi vent’anni. Vedasi l’ultimo governo Berlusconi. Lui diceva di potere e dovere governare perché investito da milioni di elettori, gli avversari negavano ciò e lo delegittimavano in quanto corrotto e corruttore, indegno del consesso civile. E picchia e mena, la maggioranza gli si è sfaldata tra le mani, per tanti demeriti suoi come per tanti attacchi esterni, non politici, ma mediatico-giudiziari. È drammatico dirlo, ma sembra che in Italia non si riesca più a prendere decisioni politiche in modo continuativo e sufficientemente condiviso. Eppure ci sono molte questioni su cui la stragrande maggioranza delle forze politiche (se non la totalità) e tutti gli italiani concorderebbero pienamente. Sono, in fondo, quelle elencate da Renzi come oggetto delle riforme che si ripromette di portare avanti e realizzare da capo del governo: dalle riforme costituzionali alla fiscalità, passando per i tagli agli sprechi pubblici.

Riuscirà Renzi a stringere un patto costituente con Berlusconi e con ciò a mantenere una salda maggioranza in Parlamento? Berlusconi sarà fedele alleato, pur dall’opposizione, sul tema delle riforme? I sondaggi paiono favorirlo in un eventuale ritorno alle urne, ma potrebbe trovare più allettante ricevere una definitiva legittimazione dal leader della sinistra, o di quello che è di gran lunga il maggiore partito della sinistra italiana. Potrebbe allettarlo contribuire alla prima vera stagione di riforme che l’Italia attende da decenni. Chissà! Berlusconi potrebbe infine essere indotto a fare sul serio con Renzi dalla bruciante volontà di vendicarsi di Alfano e soci, che in tal modo risulterebbero sostanzialmente ininfluenti, “utili idioti” insomma. Renzi, dal canto suo, potrebbe non temere del tutto una scissione nel PD. Certo, sarebbe un evento epocale vedere quel che in Germania è prassi consolidata e piuttosto frequentata negli ultimi anni. E, guarda caso, la Germania è leader in Europa, anche a nostre spese. E, da bravi masochisti, ci abbiamo messo anche del nostro nel consentire indebite ingerenze straniere. Meglio la Merkel di Berlusconi, si è anche pensato. Meglio la Merkel di Renzi, si potrebbe ben presto arrivare a pensare. Specie se Renzi continua a “sdoganare” il leader di Forza Italia, trattandolo da leader politico dai larghi consensi democratici. Ad allettare l’ex sindaco fiorentino potrebbe però esserci la strategia, lungimirante, di apparire all’ampio bacino elettorale moderato come il futuro destinatario di voti una volta eclissatasi per sempre la stella berlusconiana. Orfani di Silvio, molti moderati italiani potrebbero valutare come leader votabile colui che, a suo tempo, trattò “bene” il Cavaliere e seppe reggere contestazioni “da sinistra”, interne al suo partito, pur di trovare accordi sulle riforme con l’opposizione di centrodestra. E Renzi è cinico e spregiudicato al punto giusto per pensarlo e tentarlo.

È altamente probabile che tutto questo non avvenga. Può pure darsi che il banco salti presto. E i tanti e soliti bravi intimeranno che “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. E così ancora una volta non riusciremo ad intravedere nemmeno l’avvio di una fase costituente, o comunque seriamente riformatrice. E continueremo al gioco al massacro, certi del fatto che gli italiani, dai tempi del crollo dell’Impero romano, hanno imparato un’arte politica poco nobile ma molto redditizia: quella del galleggiamento. Anche se sbrindellata e sbilenca, con ciurma ammutinata e divisa in due fazioni l’un contro l’armata e in assenza di nocchiero, finché la barca va lasciala andare. Perché purtroppo Sanremo è Sanremo, e l’Italia è l’Italia.

 

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