di Antonio Capitano

I centri urbani rappresentano un “banco di prova” importante per verificare le potenzialità dei processi di valorizzazione della Cultura, in termini di miglioramento della qualità della vita dei cittadini, di rafforzamento degli elementi di identità e di coesione sociale, in tempi in cui la crisi economica accresce le divisioni e i contrasti sociali con il conseguente incremento del potenziale “attrattivo” per un ritorno concreto in termini economici. La Cultura, infatti, rappresenta per la Città un elemento imprescindibile di sviluppo e di crescita perché, conferendole un elemento di specializzazione ed identità forte, la rende in grado di proteggersi dal “pericolo” della competitività e crearsi una rendita di posizione ben consolidata.

Se guardiamo al nostro Paese, la prima cosa che viene in mente quando si pensa al ruolo che la Cultura può rivestire nello sviluppo urbano, sono i processi di valorizzazione legati al nostro patrimonio artistico e culturale, importante non tanto per la sua entità quanto per la continuità e l’intreccio con il contesto territoriale e antropico del Paese. A differenza di quanto avviene spesso in altri paesi, in cui le stesse realtà risultano isolate dai contesti che li circondano, la Cultura fa parte, da sempre, della nostra esperienza quotidiana, è inclusa nei percorsi di vita e lavorativi dei cittadini e, insieme alla straordinaria creatività diffusa, rappresenta il brand che ci contraddistingue nel mondo (deteniamo, giova ricordarlo, il 50% del patrimonio artistico mondiale). Anche se a quanto pare non basta.

Possibilità e risorse in ambito culturale, quindi, non sembrano mancare; rappresentano il capitale che potrebbe permettere alle nostre città di perseguire quello sviluppo “ottimale” rappresentato da una sinergica combinazione di elementi: ricchezza, equità, sostenibilità e istruzione.

E allora perché, viene da chiedersi, l’Italia non sembra voler cogliere questa opportunità? Quali sono le motivazioni che portano il nostro Paese ad appiattirsi passivamente dietro “rendite” di posizione che ne frenano lo sviluppo?

Il IX Rapporto Civita vuole rappresentare, in tal senso, un invito a raccogliere questa sfida: porre la Cultura al centro delle linee di governo più innovative che un’amministrazione, a qualsiasi livello, voglia mettere in atto. Per far questo occorre, però un discorso complessivo di strategia e di creazione di sinergie; se non si riesce ad aggregare il territorio, a costruire una vera progettualità, a coniugare identità e innovazione, non ci sarà strumento che tenga.

Siamo in un momento difficile per il Paese, certo, ma è proprio in queste circostanze che può – e deve – partire la spinta innovativa. Non solo siamo in un periodo di crisi economica e di profonda ridefinizione del senso dell’intervento pubblico nella Cultura, ma anche alla vigilia di un ciclo importante su scala europea, quello dei fondi strutturali 2014-2020. Per l’Europa non si tratta solo di una scadenza tecnica, ma strategica e di enorme valore perché intorno a questo ciclo si connettono tutta una serie di orizzonti. È questa la vera occasione per permettere alla Cultura di dimostrare, nel concreto, il proprio potenziale in termini di ricadute positive su tutti i settori, da quelli amministrativi, a quelli imprenditoriali e sociali, fino a quelli economici.

Attraverso l’analisi delle principali tendenze in atto in alcune città italiane e straniere e le riflessioni di alcuni dei massimi esperti in materia, il Rapporto ha tentato di tracciare un quadro delle principali condizioni e dinamiche che dovrebbero essere poste alla base di politiche che vogliano considerare la Cultura come uno dei principali, se non il principale, asset di una città e di un territorio.

In primo luogo, occorre garantire una maggiore fluidità al rapporto tra amministrazioni pubbliche centrali e periferiche (Stato, regioni, Province, Comuni), oltre che una sua più puntuale definizione; ciò costituisce una delle manovre prioritarie, andando a favorire a livello operativo, la conoscenza e la diffusione delle buone pratiche. In chiave di politiche culturali, questo dovrebbe poter garantire una maggiore caratterizzazione, integrazione e armonizzazione dell’offerta culturale; iniziative su scala ridotta rischiano, infatti, di risultare frammentate o ripetitive, disperdendone gli effetti e le ricadute.

In ambito più specificatamente comunale si tratta di definire modalità di governo e strumenti di governance nuovi. Il piano strategico integrato, in questo contesto, risulta di primaria importanza; più che un ulteriore strumento, dovrebbe costituire un documento finalizzato a mettere in sintonia gli altri piani che investono il governo del territorio e i cittadini. Creando, quindi, sinergie ed elementi di complementarietà indispensabili per il modello di sviluppo urbano, i piani strategici ricoprono un ruolo determinante nella creazione di reti che si andranno man mano a rafforzare laddove il senso di identità e di appartenenza, lungi dal rappresentare un elemento di chiusura, costituisce una condizione importante di coesione sociale. Città come Bilbao, Barcellona e Lione – nelle quali l’adozione di piani strategici integrati è stata determinante – ci dimostrano l’importanza di una forte coesione interna.

Le politiche culturali vanno pensate come parte integrante di una strategia complessiva, nell’ottica di un sistema di governance a rete che coinvolga tutto il tessuto sociale, dai vari livelli dell’amministrazione, alle Università fino alle associazioni di cittadini per una condivisione allargata e quanto più corale delle iniziative da perseguire, anche e soprattutto in chiave culturale.

A fronte dell’impossibilità da parte dello Stato di garantire risorse maggiori di quelle stanziate e della riduzione delle capacità di finanziamento pubblico, il ricorso ad un rapporto con il settore privato (associazioni, fondazioni, imprese ecc.), in materia di produzione, tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale, appare quanto mai necessario. Al momento, il ruolo riservato ai privati risulta troppo marginale e vanno rese più “appetibili” le condizioni di intervento: coinvolgendo le collettività locali nella elaborazione, realizzazione e monitoraggio di strategie e progetti; semplificando le procedure amministrative e fiscali; favorendo l’imprenditoria giovanile e le imprese del terzo settore; offrendo opportunità di ritorni in termini di immagine e visibilità, o strumenti che accrescano il senso di appartenenza e di identità, per i privati (imprese e cittadini) che intendano investire in Cultura anche attraverso lo strumento, per ora quasi disatteso, delle erogazioni liberali.

Entrata oggi a pieno titolo nella definizione dei livelli di qualità della vita dei cittadini, capace di accrescere la coesione sociale e produrre effetti significativi nei processi di rigenerazione urbana, la Cultura rappresenta, sempre di più, una “cartina tornasole” della percezione che si ha dell’immagine di una città anche dall’esterno. Malgrado il vantaggio competitivo “ereditato” dalle nostre città d’arte e la straordinaria creatività diffusa, l’Italia risulta agli ultimi posti, quando non del tutto assente, nelle principali graduatorie relative alle città che, più di altre, hanno puntato sulla Cultura e sulle industrie creative per sostenere i loro processi di sviluppo.

Sono molti e concreti gli interrogativi intorno ai quali si concentra il dibattito sul rapporto tra città, cultura ed economia, in particolare quando si vuole analizzare il ruolo che l’economia attribuisce alla Cultura e l’impatto che hanno su quest’ultima le politiche urbane Per un effettivo rilancio competitivo del Paese, oltre alla forte volontà di trasformazione, a cui sembrano tendere tutte le città analizzate dal Rapporto, una strategia unitaria che preveda una particolare attenzione nell’utilizzo delle risorse, appare, quanto mai, di immediata definizione. Forse non c’è altro settore in cui il rapporto tra economia e cultura sia più diretto che in quello delle politiche culturali. Se la società civile e le istituzioni avranno voglia di mettersi realmente insieme per condividere questa sfida, allora l’occasione non sarà del tutto persa.

 

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