di Giuseppe De Lorenzo

La quasi quotidianità dei fatti di terrorismo di matrice islamica fa per sua natura nascere domande e dubbi sulle scelte fatte dall’Occidente in merito al rapporto con la religione di Maometto.
Il dibattito pubblico è frammentato, diviso tra chi denuncia l’imminente l’islamizzazione della società occidentale, chi condanna la scelta sociale del multiculturalismo e chi invece considera netta la distinzione tra Islam moderato e le cellule eversive che nulla avrebbero a che fare con le leggi del Corano.
di Giuseppe De Lorenzo

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La quasi quotidianità dei fatti di terrorismo di matrice islamica fa per sua natura nascere domande e dubbi sulle scelte fatte dall’Occidente in merito al rapporto con la religione di Maometto.

Il dibattito pubblico è frammentato, diviso tra chi denuncia l’imminente l’islamizzazione della società occidentale, chi condanna la scelta sociale del multiculturalismo e chi invece considera netta la distinzione tra Islam moderato e le cellule eversive che nulla avrebbero a che fare con le leggi del Corano. Infine, vi sono coloro i quali considerano il terrorismo la naturale conseguenza dell’imperialismo occidentale, delle sue scelte erronee nella gestione delle crisi in Medio Oriente.

Uno spunto, quest’ultimo, che porta con sé parte di verità, perché è forse innegabile l’incapacità dimostrata da parte della governance occidentale nell’affrontare le sfide presentate dai paesi arabi, errori che hanno portato a guerre iniziate e mal concluse (vedi l’Iraq) e alla perdita di capacità d’influenza nell’area. Fino ad arrivare alla lotta all’Isis, cui l’America ha dato inizio con il freno tirato e che ancora oggi non ha prodotto i risultati sperati.  Ma l’idea che il terrorismo islamico sia figlio dell’Occidente non è realistica. Questa ipotesi porta con sé una sorta di autoflagellazione della civiltà occidentale, che si riconosce come autrice di atrocità simili a quelle che stiamo vivendo oggi sulla nostra pelle. E seppur sia sempre saggio riconoscere i propri errori, è altrettanto intelligente capire che l’evoluzione di una civiltà si misura non solo nella capacità di ammettere di aver sbagliato, ma anche in quella di far emergere i lati positivi e contrapporli a quanto di irrazionale ancora vive nell’universo esterno al proprio.

Chi si ostina a considerare gli attentatori delle “vittime” deve considerare l’evidenza che in Occidente, seppur non sia un mondo perfetto, la libertà di stampa è variamente diffusa e le donne possono girare liberamente a volto scoperto.

Dall’altra parte vi sono coloro i quali denunciano l’islamizzazione dell’Europa, già iniziata e destinata a concludersi con il dominio dell’Islam sul mondo cristiano. Oriana Fallaci nei suoi libri e nei suoi articoli metteva in guardia dall’imminente creazione dell’Eurabia per mezzo di una «piaga contro la quale tutti gli antidoti sembrano inefficaci» e i cui portatori di germi sono «gli educatori cioè i maestri e le maestre che diffondono l’infezione fin dalle scuole elementari e dagli asili dove esporre un Presepe o un Babbo Natale è considerato un “insulto-ai-bambini-Mussulmani”». Il principale nemico non è dunque solo il terrorista o l’islamico, ma la civiltà occidentale stessa, che dimentica le proprie radici, relativizza ogni cosa ed apre le braccia al diverso senza discernimento. Accettandone, dunque, pregi e storture. Che però spesso si tramutano in conflitto con i propri princìpi fondanti, scontro da cui nasce il dilemma di quale convinzione applicare, se l’aderenza alle proprie credenze o il dogma della fratellanza. Chi prevede l’islamizzazione dell’Occidente conosce bene la soluzione del problema, cioè la chiusura delle frontiere, la limitazione delle Moschee e il rinvigorimento delle democrazie che, è convinzione diffusa, soffrono eccome di straziante debolezza.

Il terzo gruppo è meno influente e vede nel relativismo culturale, che eguaglia i valori, che fa della tolleranza il suo principio cardine e che spinge le comunità ad isolarsi singolarmente, l’ideologia su cui s’incardina il multiculturalismo. Il prof. Pierpaolo Donati, docente di Sociologia all’Università di Bologna, in un suo libro Oltre il Multiculturalismo, ha esaminato i limiti di questa ideologia. Limiti che sono epistemologici, etici e politici, perché promette tolleranza, ma genera conflitti, rapporti asimmetrici ed esclusione sociale, determinando l’incapacità di sviluppare una cittadinanza sentita e costruita sulla partecipazione dei cittadini. Il problema del multiculturalismo, dunque, è la mancanza di relazionalità tra le culture che istituzionalizza. La soluzione potrebbe essere l’adesione al sistema dell’interculturalismo, che ha nella tolleranza il riconoscersi come persone diverse mediante una relazione attiva.

Infine vi sono gli strenui difensori dell’incompatibilità tra islam moderato e quello radicale, invasato ed estremista. Sulle colonne de La Repubblica, Tahar Ben Jeullon, scrittore, poeta e saggista marocchino, in riferimento all’uccisione dei giornalisti di Charlie Hebdo ha scritto: «di fatto quest’atto criminale è un attacco contro l’Islam, contro i mussulmani che vivono pacificamente in Europa». E dichiarazioni in questo senso sono molteplici, a partire dalla Lady Pesc Federica Mogherini – che nel suo comunicato ha chiesto di «distinguere l’Islam dal terrore» -, fino alle scelte dei media, impegnati continuamente a tracciare un segno tra terrorismo (che talvolta diviene «islam meno moderato») e tutto il resto. Come se le parole potessero esorcizzare un problema che invece è centrale, cioè la posizione dei fedeli moderati nei confronti delle frange terroristiche. Che ricorda, in parte, quel brodo di coltura che la sinistra tenne troppo a lungo in caldo per le Brigate Rosse: le comunità islamiche istituzionali non hanno ancora preso posizione netta contro chi predica odio e talvolta lo materializza. Condanne a metà, vaghe reprimende, ma difficilmente vi è ferma condanna.

Il grido unanime di chi difende il multiculturalismo e la bontà dell’Islam moderato è: «non bisogna fare di tutta l’erba è un fascio». Tuttavia, vi è piuttosto la necessità di lasciar da parte il “fascio” di chi si ostina a non vedere le mancanze dei moderati. Insomma, la realtà delle comunità islamiche è in bilico tra la debole denuncia al terrorismo e il nascosto sostegno all’avanzata degli jihadisti.

Quel brodo di coltura, dunque, dev’essere l’obiettivo delle future politiche di contrasto dei paesi occidentali contro il dilagare dell’estremismo, contro le migliaia di fedeli che, con passaporto europeo ed istruzione occidentale, si arruolano nelle fila dell’Isis. Senza approfondire le ragioni sociologiche di tale fenomeno, rimane evidente che lo “scontro di civiltà” è ormai possibile nei fatti. Perché la crescita dello sconforto di chi si sente minacciato in casa propria non potrà che produrre ulteriori divisioni. La corsa incontrastata di movimenti come il Front National dimostra il senso di preoccupazione dell’elettorato. Continuare a bollarli come xenofobi, non servirà a fermarne l’avanzata.

Perciò, come accadde negli anni Settanta, quando gli ambienti vicini ai gruppi armati rivoluzionari erano costantemente monitorati, così in Occidente sarà necessario aumentare l’attenzione verso i luoghi di preghiera islamici. Viatico di indottrinamento e radicalizzazione.

 

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