di Montesquieu*

untitledSono passati quasi quindici anni, appena quindici anni, da quando l’allora ministro della funzione pubblica Franco Bassanini veniva invitato dal ministro dell’interno francese Nicolas Sarkozy a mostrare ai concittadini di quest’ultimo le virtù della pubblica amministrazione italiana, considerata un modello da esportare addirittura nella strutturatissima Francia. Chi non lo ricorda, ovvero la quasi totalità degli italiani, ha buon diritto a pensare che si tratti della mostruosa creazione di un’immaginazione frustrata, e non di un fatto realmente accaduto. Lo stesso Bassanini, pochi anni dopo, Sarkozy costituzionalmente regnante sull’intera Francia , veniva messo in posizione di riguardo assieme a Mario Monti dentro una supercommissione costituita per studiare e proporre un assetto di maggiore efficienza allo stato transalpino.

Circa quindici anni dopo, il ragazzo prodigio della politica e del governo italiani Matteo Renzi lancia la grande riforma dell’amministrazione, non prima di aver dichiarato guerra frontale alla burocrazia pubblica, descritta come il peggiore e il più colpevole dei mali nazionali, e di aver indicato i titolari di retribuzioni decise dalla politica o frutto di regolare contratto alla stregua di estorsori o ladri di Stato. Un po’ di confusione, perdonabile . Qualcosa di simile all’invettiva brunettiana contro i fannulloni: più facile avventarsi contro gli effetti che ricercare le cause, che spesso richiedono un’indagine su di sé, almeno per chi non pratica il concetto della continuità dello Stato. Cosa è successo in questo politicamente ed istituzionalmente brevissimo tempo? Praticamente, e purtroppo, non è successo nulla: nulla che servisse a trasformare un moderno ed ambizioso disegno normativo, quale quello che ci veniva invidiato addirittura in Francia, nella realtà concreta del nostro apparato pubblico. A proposito di continuità dello Stato: ammesso che ne fosse capace, perché un governo avrebbe dovuto adoperarsi per attuale una riforma che reca la firma di un altro esecutivo?

A chi spetta rinnovare e rendere efficiente una burocrazia, alla politica a alle strutture burocratiche? Ha senso che una politica che da più di quarant’anni – dai tempi del famoso “Rapporto Giannini”, dal nome del ministro e grande amministrativista Massimo Severo Giannini -, denuncia l’ inefficienza della macchina pubblica, se la prenda con quelli che non riesce a cambiare, ad organizzare? Si può onestamente pensare che lì dove sono falliti – il termine è necessariamente frutto di una sintesi oggettiva, non di responsabilità soggettive dei citati, anzi -, oltre agli stessi Giannini e Bassanini, personaggi del calibro di Sabino Cassese e della sicumera di Renato Brunetta, possa riuscire la coppia di belle speranze ma nessuna esperienza Renzi-Madia, capace di suscitare nello stesso tempo sentimenti opposti, quali tenerezza per la sperimentata gravosità dell’impresa e irritazione per la insolente superficialità dell’approccio?

Una certa superficialità è – detto con reale buona disposizione per il personaggio e per il suo tentativo – la cifra che consente al capo del governo di cimentarsi in imprese titaniche, quasi bastassero una forte determinazione e una quasi nulla considerazione per i predecessori. Oltre all’assenza, o quasi, di dubbi in se stesso e ,quel che colpisce maggiormente, nei propri collaboratori nell’impresa, scelti sulla base di una serie di criteri oggettivi quali età, sesso, assenza di esperienze precedenti, e di criteri soggettivi dall’impalpabile verificabilità, almeno quanto a meriti acquisiti.

Per una certa immaginazione, se non conoscenza, della difficoltà di mantenere le promesse in materia di sburocratizzazione, semplificazione, efficienza, adesione dei destinatari, partecipazione collettiva dell’impresa – aspetti per la realizzazione dei quali non sono sufficienti la determinazione e gli stimoli dall’alto – ogni atteggiamento ottimistico poggia su una fiducia preventiva e poco razionale nel responsabile dell’iniziativa, assai più che per altre iniziative del governo, nelle quali l’approvazione di una legge contiene già un risultato o la volontà espressa è di per sé impressiva di un possibile cambiamento.

Qui no, in materia di pubblica amministrazione non è così, lo dimostra l’esperienza, che in questo caso dovrebbe valere anche per l’autostima e l’ambizione (entrambe felicemente smisurate, a detta dell’interessato).

Depurata dagli insulti che arriveranno, la consultazione lanciata per la raccolta di suggerimenti potrà produrre qualche utile suggestione, ma comprova un possibile limite delle iniziative fin qui avviate: il limite della parzialità, della mancanza di visione complessiva, della frammentazione delle ricette, delle quali sfugge il disegno finale. È così per il futuro senato, che impedisce la vista di una strategia istituzionale complessiva del capo del governo , che prescinde dalla interfungibilità delle relazioni tre le istituzioni; così per la relazione tra pari opportunità basate sul merito, e scelte fin qui basate su appartenenze a generi, generazioni, categorie (queste ultime potenzialmente infinite, tra l’altro); così per i primi interventi sulle persone e sulle loro aspettative, che produrranno contenziosi anch’essi smisurati ma sacrosanti in uno stato di diritto, e non creano il clima migliore per il riassetto del paese; così per tanti pregiudizi , frutto di una “faziosità” periferica rispetto all’assetto dello stato, che non dispongono alle necessarie collaborazioni.

Sembra di intravedere, con il passare delle settimane e le difficoltà impreviste solo per lui, ammesso che lo siano state, una certa tendenza alla riflessione, forse una disponibilità a considerare anche le ragione degli altri, e a non tradurle meccanicamente in manifestazioni di inimicizia. Renzi deve imparare a distinguere, forse, tra gli avversari ideologici e quanti non riescono a ragionare con la testa degli altri , alla sola funzione di chinare il capo. Ora è lui che ha convenienza a non spegnere le voci, in una perenne prova di forza con il mondo, specie dentro il proprio partito, che è il suo partito.

Queste brevi considerazioni quanto al metodo: sul merito, ci sarà la possibilità di giudicare più in là, quando si conoscerà la reale sostanza degli interventi.

* Montesquieu è il nome de plume di un alto funzionario dello Stato.

 

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