di Massimo Zampini
“Ad Atene? In vacanza? Ma da quando uno l’estate va in vacanza ad Atene? E poi ora? Con la crisi, le proteste in piazza, le banche chiuse, le file ai bancomat? Sei pazzo?”.
La reazione più frequente, al mio saluto ad amici e colleghi informati dei miei giorni di relax nella capitale greca, è mediamente questa, con una rilevante novità last minute, nel disperato tentativo di farmi recedere dalla folle idea: “Atene brucia, guarda che incendi!”.
A metà luglio vado per qualche giorno in vacanza ad Atene. Lo faccio quasi tutti gli anni, a dire il vero.
Di solito, però, le reazioni non varcano i confini della compassione e del compatimento (sanno che ho origini greche, ma non riescono a celare sguardi piuttosto espressivi del tipo “ma che va a fare questo pazzo in una città bollente in piena estate?”), mentre stavolta siamo quasi ai saluti finali: sei sicuro di volerlo fare?
Atterro. Fortunatamente niente fiamme. Non che fossero inventate, eh, ma al nostro arrivo già non se ne vede più traccia. Il primo pericolo dovremmo averlo scampato.
Taxi. Venti minuti circa e siamo arrivati.
No, non siamo a Syntagma, l’ormai celebre piazza delle dimostrazioni, degli appelli, delle ribellioni.
Siamo a Glyfada, l’altra Atene, quella che raramente si trova nelle guide turistiche, se non in un piccolo paragrafo finale, perlopiù dedicato ai dintorni della città.
La capitale greca, infatti, oltre al celebre centro dominato dall’Acropoli, oltre alla piazza delle ribellioni, oltre alla crisi, che si fa sentire e preoccupa, possiede anche un’anima diversa, quasi mai raccontata: sia a nord, a Kifissia, nel quartiere delle ville nel verde, delle pasticcerie che sembrano gioiellerie, delle vie eleganti dello shopping, e sia nella costa sud – ma sostanzialmente in città, essendo appunto a 20 minuti dall’aeroporto – a Glyfada e Vouliagmeni, esiste infatti un’altra Atene.
Glyfada, con metropolitana e autobus diretti per Syntagma, è il quartiere dei negozi, dei mille locali aperti fino a notte inoltrata, dei tanti ristoranti – greci e internazionali –, dei club alla moda che si affacciano sul mare, come Akrotiri e Balux, aperto dalla colazione fino al mattino seguente, prima bar e ristorante con spiaggia annessa, poi discoteca piena di giovani ateniesi che hanno voglia di divertirsi e non pensarci, almeno quando è venerdì notte.
Quartiere da girare perdendosi nelle vie piene di caffè comodi e spaziosi, dove appena ti siedi ti arriva in omaggio un bicchiere d’acqua, mai così apprezzato come in questi giorni, e puoi ordinare il solito frappé, freddo, me gala glikò – con latte e zucchero – tenuto in mano ovunque, nei taxi, nei negozi, perfino dagli edicolanti che ti vendono il giornale.
A proposito, acquisto qualche giornale. “Certamente, ecco qua”. Mi dà il resto e… lo scontrino. Va bene il nero, l’evasione insostenibile dei soliti noti, ma dal giornalaio si esce con quotidiano e scontrino.
E’ venerdì, è vero, ma la sera i ristoranti sono pieni (“ma quindi non c’è la crisi!”, si direbbe dalle nostre parti) e all’interno di Ellinikò, locale sempre affollatissimo, con una lunga lista di ottimi mezé (piatti greci da condividere – magari accompagnati da un bicchiere ouzo, la bevanda nazionale a base di anice – che talvolta vanno a sostituire l’ordine di un piatto principale), Yorgos fa il cameriere e ci racconta che “qui, siamo sinceri, la crisi non si sente molto“.
La mattina seguente, ahimè, è dedicata allo shopping, e mentre mi tocca aspettare per la consueta prova delle scarpe di chi mi accompagna, parlo con la proprietaria del bel negozio, la quale mi dice che mancano i turisti, sia greci che stranieri. I primi hanno meno disponibilità di un tempo, i secondi sono forse spaventati dalle voci preoccupate che vengono dall’estero.
Glyfada, infatti, è un quartiere che vive tutto l’anno, ma l’estate si riempie anche di visitatori: quest’anno stanno arrivando australiani, americani e sudafricani di origine greca, o al più chi ha qui una seconda casa, ma non quanti ne vengono di solito.
Il quartiere riesce ad andare avanti, afferma la gentile signora all’interno del suo negozio, non vive il dramma di alcuni posti del centro. Racconta che molti non vedevano di buon occhio Tsipras, ma ora sono convinti che stia facendo il possibile per ottenere un accordo che quantomeno salvi il paese: “saranno anni durissimi, ma cominciamo a intravedere la luce”.
Una cara amica greca, da sempre estremamente critica verso Tsipras, mi conferma questo cambio di percezione nei confronti del primo ministro: “ora finalmente sta facendo bene, ha capito che serve un accordo a tutti i costi e lo sta portando a termine a costo di perdere qualche fedelissimo”.
Gli oxi che diventano nai, i fautori del nai che appoggiano i promotori dell’oxi: accade anche questo, nella confusione di queste settimane.
Finalmente spiaggia, destinazione promontorio di Vouliagmeni: dieci minuti circa da Glyfada allontanandosi dal centro, con mare da isola e ristoranti che pare di stare a Miami Beach.
Scegliamo Astir Beach, spiaggia di lusso, con un tempio del sesto secolo avanti Cristo infossato tra la sabbia e le aree per fare sport, ritrovato casualmente all’inizio del secolo scorso. Nel weekend si deve arrivare presto per trovare posto, nonostante si paghino 25 euro a testa per lettino e ombrellone: c’è un bancomat all’esterno (senza fila) e si paga anche con carta di credito, tutto con scontrino, niente foglietti svolazzanti scritti a penna.
Ci si fa servire premendo un pulsante, sdraiati comodamente, e allora inizia il via vai di frappé, club sandwich e insalate greche fino al tuffo liberatorio in acqua, limpida come in una Ciclade.
Aperitivo da Moorings, alla Marina di Vouliagmeni, davanti a una fila di yacht (“sorry, no pictures please”): al piano terra splendido ristorante praticamente dentro l’acqua, illuminata di notte; salendo dei gradini all’esterno, cocktail bar con vista sul mare e sugli yacht, affollato da decine di giovani alla moda.
“Scusateci, ma il ristorante è tutto prenotato per un party, a nome Mr. Smith”, ci dice la bella signorina all’ingresso stoppandoci cortesemente: sarà il “no pictures please” di poco fa, ma quel Mr. Smith ci pare tanto un nome in codice, come un comune Sig. Rossi da noi, per nascondere chissà quale identità segreta.
Allora ci spostiamo lì vicino, da “Rafale”, con elegante spazio all’aperto, “siete fortunati, ci è rimasto proprio l’ultimo tavolo”. Alle 21 non c’è nessuno, ma alle 22.30 in effetti non rimane un posto: sia qui che da Moorings si spende circa il doppio di quanto si spenderebbe altrove in città e circa la metà di quanto costerebbe a Roma (ce ne fossero, a Roma…) un ristorante di quel livello, con quella vista e quel servizio.
Inevitabile, il giorno seguente, una visita nella macelleria Drakoulis.
Risparmiatevi quello sguardo diffidente, quella risatina quasi compassionevole: si tratta di gran lunga della più incredibile macelleria che mi sia capitato di vedere, con impianto da dj, luci e musica da locale in, proprietario che ci racconta che “certo, la crisi la sentiamo tutti, però qui un po’ meno: la vera differenza è che non c’è il clima per fare certi party, in questi giorni anche chi potrebbe cerca di darsi un contegno, un certo pudore”. Qui, in assenza di quella economica, siamo dunque alla crisi psicologica.
Lo dice mentre ci mostra la fantastica scelta di carni, dal kobe da oltre 300 euro al kg a rib eye e tagliate di ogni genere, anche a prezzi accettabilissimi. Arrivano altri clienti, la musica ne accompagna l’ingresso; usciamo, andiamo verso il mare.
E’ domenica, è passato mezzogiorno, le spiagge sono tutte stracolme.
Proseguiamo qualche minuto oltre Vouliagmeni e, dopo avere superato una serie di calette che paiono supplicarti di raggiungerle, andiamo verso Varkiza e poi Lagonissi, dove domina un resort di gran lusso, con 4-5 ristoranti e tante spiagge, ma accanto si può entrare anche da persone normali, da non clienti, pagando 17 euro di ingresso per il solito lettino e ombrellone. Quasi pieno anche qui, ma restano alcuni posti liberi.
Vado a prenotare un pranzo alla taverna Poseidon, pochi tavoli ben apparecchiati all’ombra all’interno dello stabilimento; mi accoglie Vassilis, greco che ha vissuto 4 anni a Chicago, riceve la prenotazione e si ferma volentieri per fare due chiacchiere. A
Accompagna il racconto della crisi con qualche risata, forse nervosa, e dice che lui la luce non la vede, che Tsipras l’ha tradito, perché “oxi vuol dire oxi, e non nai con qualche giorno di ritardo; qui già non viviamo più, io non faccio vacanze da otto anni, tra poco vorranno farle i miei figli, come faremo?”. Mi rendo conto di quanto sia altalenante, il giudizio su Tsipras: simpatizzanti e detrattori sono ancora tutti pronti a modificarlo, a seconda dei momenti e delle decisioni, giorno dopo giorno.
Gli chiedo di Varoufakis, lui si infiamma, alza la voce e gesticola: “lui è rimasto con la sua idea, siamo noi che lo supportavamo che ci siamo sparpagliati”.
Sì, gli faccio, ma con lui l’accordo non lo avreste mai trovato. Lui scuote la testa, chiedendo a bassa voce se l’accordo “farà davvero in modo che questa ridiventi vita, perché al momento non lo è“.
Ma tu sei di qui, Vassilis? “No, io sono di un paesino nel Mani, nel Peloponneso: in qualche modo ce la farò, semmai andrò nel paese della mia famiglia, che ha 5 abitanti, e vivrò col nostro olio e le nostre capre; tutto l’inverno lo passo lì, l’estate vengo qui a lavorare”. Guarda che ti vengo a trovare, eh. “Ottimo, tra quei cinque non dovresti faticare troppo a ricordarti di me”.
E tutta questa gente qui in spiaggia? “Guarda che sono molti meno degli anni scorsi: in passato era impensabile trovare dei posti vuoti di domenica a ora di pranzo, caro mio. Chi viene qui sta bene, con la crisi molti si impoveriscono, ma c’è anche chi diventa più ricco”.
Lo dice alternando espressioni preoccupate a quella risata, con la quale, ora che lo guardo bene, sembra quasi volermi consolare.
Ma dimmi la verità: vorresti tornare a Chicago? Perché non ci provi? Mi guarda come se fossi pazzo: “no, per carità, lì è inverno per dieci mesi all’anno, mentre guarda qui come stiamo, con questo sole, e il mio paesino è sempre lì che mi aspetta. Con le caprette e il mare che si vede sia da una parte che dall’altra, perché siamo in cima”. E gli altri 4 abitanti con cui fare baldoria, aggiungo io.
Ride ancora, ma mi deve lasciare, perché un suo collega che ci sta ascoltando lo chiama a preparare un altro tavolo.
Vassilis, bene il caldo, bella la Grecia, ma a Chicago ci sono i soldi e qua no, gli dico con fare amichevolmente provocatorio nel salutarlo.
“Sun is money, my friend”, mi fa lui, “sun is much more than money”.
Gli economisti di tutta Europa rabbrividirebbero, ma il collega annuisce, dice solo “nai”, e su questo non c’è referendum che possa dividerli.
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