di Giuliano Gioberti

Dopo vent’anni esatti un altro imprenditore si appresta a “scendere in campo”: sempre con l’obiettivo di salvare l’Italia dalla rovina imprimendole una svolta politica liberale e modernizzatrice, nel segno dunque della crescita, dell’ottimismo, dell’efficienza e del rinnovamento. All’epoca si trattò di Silvio Berlusconi – e abbiamo visto come è andata a finire. Oggi si tratta di Luca Cordero di Montezemolo – e chissà che non si debba assistere allo stesso copione anche se recitato da nuovi attori.

Colpiscono, in effetti, le somiglianze tra i due percorsi: l’uno conclusosi irreversibilmente, l’altro che sembrerebbe sul punto di iniziare. Tanto da dare l’impressione che Montezemolo abbia deciso di ripercorrere scientificamente le orme del suo predecessore: con l’idea di ripeterne i successi, ma anche con la convinzione di poterne evitare gli errori e le cadute di stile.

La prima somiglianza riguarda il quadro generale. L’Italia di oggi – esattamente come quella del 1992-1993, che preparò il terreno all’ingresso del Cavaliere in politica – è attraversata da scandali, inchieste giudiziarie e vicende di corruzione. Presenta un tessuto istituzionale sfilacciato e paralizzato al tempo stesso. Ha una classe politico-parlamentare che non gode di alcun credito agli occhi dell’opinione pubblica. Si è affidata ad un governo tecnico che sta cercando di salvarne i conti pubblici e di arrestarne il declino economico (ma senza grandi risultati). Ha un sistema dei partiti rissoso e che sembra pensare solo a come salvaguardare i propri privilegi. I suoi cittadini sono da un lato sfiduciati e dall’altro disgustati, al punto da non avere più alcuna speranza nel futuro e di non volerne sapere della politica e dei suoi rappresentanti. Vede vedersela, infine, con un ritorno di fiamma del la minaccia terroristica e con trame criminali oscure (come dimostrano i recenti fatti di Genova e di Brindisi).

Dinnanzi ad un tale sfascio serve nuovamente se non un Salvatore (già Monti, dopo il Cavaliere, doveva essere tale), quanto meno uno capace di rompere le regole del gioco: qualcuno estraneo alle camarille e ai giochi di Palazzo, che abbia dato prova, nella sua vita professionale, di capacità, competenza e senso pratico, che sappia motivare il prossimo con le parole giuste, che abbia una visione o un progetto di grande respiro da proporre ai cittadini, che sia – infine – telegenico, simpatico e dalla parlantina sciolta. Appunto, Luca Cordero di Montezemolo.

Che in effetti somiglia al Cavaliere dei tempi eroici come una goccia d’acqua – non sul piano fisico, ovviamente, ma nell’immagine che sembra accompagnarlo, nel modo di proporsi e nel disegno politico che sembra avere in mente.

E’, per cominciare, un miliardario – meno ricco del suo peraltro inarrivabile modello, ma ricco a sufficienza per poter dire anche lui, come fece a suo tempo Berlusconi, “non ho bisogno di rubare come fanno di solito i politici” (un argomenti che di questi tempi potrebbe dare nuovamente presa sugli elettori). È personaggio notissimo alle masse grazie allo sport: nel suo caso la Ferrari, in quello di Silvio il veicolo della popolarità era il Milan. È un vincente dal punto di vista professionale – da sempre al vertice di qualcosa: il Comitato organizzatore di Italia 90, poi Confindustria, poi la Fiat. Non è – diversamente dal Cavaliere – un imprenditore in senso stretto o proprio, ma è comunque sempre stato vicino ai grandi capitani d’industria: un tempo Gianni Agnelli, oggi Diego della Valle, grazie alla cui amicizia si è comunque cimentato a sua volta in fortunate imprese affaristiche. Come se non bastasse – e ammesso che interessi a qualcuno – ha anch’egli il suo bel conflitto d’interessi: non gigantesco come quello che s’è portato dietro per un ventennio il fondatore di Fininvest-Mediaset, ma essere a capo di una compagnia ferroviaria che agisce su concessione dello Stato qualche problema di opportunità potrebbe pur darlo, ma siamo in Italia e dunque il problema non si pone.

Ma le somiglianze vere riguardano le modalità con cui Montezemolo – tra una smentita e una dichiarazione sibillina, tra un peana nei suoi confronti sulla stampa amica e un lancio d’agenzia pilotato ad arte – si appresta ad irrompere nell’agone politico con l’idea di guidare l’Italia dopo Monti (questo è quello che pensa lui, che ci riesca o che serva davvero all’Italia è ovviamente un altro discorso).

Prima di annunciare la nascita di Forza Italia, Berlusconi passò mesi ad incontrare politici dei più diversi partiti, a discutere di alleanze e candidature, a mettere in guardia contro il rischio di consegnare il Paese alla sinistra senza un coalizione dei moderati, a fare interviste e a compulsare sondaggi. Alla fine si decise ad operare in proprio.

Esattamente quel che – anch’egli da mesi – sta facendo il presidente della Ferrari. Dovrebbe candidarsi con questo o con quello, entrare nel Terzo Polo o stringere un’alleanza direttamente col Pdl, legarsi a Casini o fare il ministro in un qualche governo di qualunque colore, un  giorno incontra Fini, l’altro vede Letta. In realtà, da quasi due anni Montezemolo s’è creato una sua struttura operativa, spacciata come vuole la moda per un think-thank, che negli ultimi mesi – per chi non se ne fosse accorto – ha cominciato ad aprire sedi in giro per l’Italia, a mettere a punto un programma che sa già di campagna elettorale e a selezionare candidati per le prossime elezioni (la nuova classe dirigente dell’Italia, dicono i diretti interessati, esattamente come diceva il Cav. dei nomi  di perfetti sconosciuti selezionati all’epoca dai suoi “cacciatori di teste”).

In una fase di profonda depressione, economica e sociale, Montezemolo promette – senza spiegare come – “crescita, crescita  e crescita”, esattamente come Berlusconi promise “un milione di posti di lavoro”. La sua idea è velocizzare il Paese (come non credergli avendo appena varato un treno superveloce?), far tornare l’ottimismo (e magari anche il sorriso) tra gli italiani, fare l’interesse dell’Italia guardando in avanti (“Italia futura”, così ci chiama la sua associazione), dare vita ad una vera (dopo quella solo annunciata a e rivelatasi fasulla) “rivoluzione liberale”, fare spazio ai giovani (già sentita anche questa). Manca solo – ma è questione di giorni o settimane – la promessa di abbassare le tasse. Per il resto – retorica antipolitica e denuncia del professionismo politico compresi – siamo nel solco perfetto del berlusconismo.

Montezemolo, come accennato, pur non avendo proprietà diretta di mezzi d’informazione, gode del sostegno di quella che si definisce la “grande stampa”: dal “Corriere della Sera” alla “Stampa” torinese, dal quotidiano storico della Confindustria a molte testate minori. Se mai Berlusconi si convincerà che Montezemolo è il suo degno erede, è da presumere che si aggiungeranno a suonare la grancassa anche gli organi del circuito Mediadet-Mondadori.

Quanto al progetto politico, così come si sta delineando sempre più chiaramente, si tratta di proporsi come “federatore” o “unificatore” (ancora una volta sulla scia e sull’esempio di Berlsuconi) di quello che si definisce il “blocco moderato”, storicamente maggioritario in Italia ma in questo momento (esattamente come accade nel 1993 con l’implosione della Dc e del cosiddetto pentapartito”) privo di una credibile rappresentanza politica.

Un ruolo al quale in realtà ambiscono in tanti tra gli attuali leader di partito – da Alfano a Casini. Ma in tempi di qualunquismo galoppante la possibilità che ci voglia un non politico, come appunto Luca Cordero di Montezemolo, per realizzare un simile progetto è a dir poco concreta. E dunque prepariamoci ad assistere ad un film già visto, del quale tutti dovremmo già conoscere il triste e prevedibile finale.

 

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