di Renata Gravina

“(…) To be attached to the subdivision, to love the  little platoon we belong to in society, is the first principle of public affection (…)”: le parole di E. Burke, nelle sue riflessioni sulla Rivoluzione francese sembrano evocare l’interpretazione della società  che il primo ministro britannico David Cameron  ha diffuso attraverso il  manifesto di Big Society, la cui declinante saga da sogno infranto sembra proseguire.
Al forum di  Davos,  Cameron ha accusato l’ Unione Europea di aver contratto gravi manchevolezze: «La Gran Bretagna non deve preoccuparsi di restare fuori dalla scena (…) non ho visto movimenti dai paesi dell’euro che andassero nel senso favorevole alla Gran Bretagna affinché ratificasse il  nuovo trattato». Quanto dichiara Cameron per la CNN durante il forum, vale un’aspra critica  alla Banca Centrale Europea  che a differenza della Federal Reserve e dalla Banca d’Inghilterra, sostiene  le banche mantenendosi attore esterno, senza restituire linfa economica al settore della  finanza pubblica. Il primo ministro  pone poi dubbi quanto all’eterogeneità dell’Unione le cui differenti nazionalità non hanno  giovato all’unificazione sociale, in altri termini manca un grado di omogeneità europeo che favorisca uno scambio  permanente sia di tipo intellettuale che economico dei cittadini, entro la comunità. Infine Cameron,  in contrasto con le politiche tedesche, sostiene che il veto sulle euro-obbligazioni, impedisca di far fronte ai disequilibri finanziari dell’intera zona euro.
La risposta di Bruxelles a questo attacco – una denuncia di rigidità delle politiche dell’Europa – si esaurisce nel constatare come esso cerchi di porre  in rilievo la  politica economica britannica, in grado, secondo Cameron, di coniugare austerità e velocità d’azione, in antitesi rispetto ad una politica europea paralizzata dai molteplici veti intrecciati e da politiche finanziarie erronee e spesso non supportate.
I fronti deboli del governo inglese possono intendersi però altrettanto chiaramente rispetto a quelli europei. Primo fra tutti il fallimento dell’intento di  Big Society  sia dal punto di vista sociale che  economico: le recenti sollevazioni dei Riots – gli indignati inglesi presenti a Londra da tre mesi a questa parte e da poco sgomberati dall’accampamento organizzato nella City, in pieno cuore finanziario – e le dimesse lamentele delle associazioni benefiche nate a sussidio del welfare e ora in declino inesorabile, sono il prodotto di un manifesto oltrepassatosi ancor prima di avere uno sviluppo. Se la politica interna vacilla, per quanto riguarda i rapporti con l’UE,  l’Inghilterra ha scelto il sobrio isolamento, ignorando gli umori dei britannici, soprattutto dei finanzieri, nettamente contrari a restare fuori dai favori che l unione offre o, perlomeno, che minaccia di sottrarre senza condizioni chiare. L’ esistenza in  agenda di un futuro referendum scozzese per l’ indipendenza resta allora solo l’ultimo dei nodi che ufficialmente il primo ministro non riconosce.
Le promesse della Big Society, sono legate all’idea di una  sussidiarietà di tipo conservatore, che attribuisce ad un certo grado di patriottismo la forza di connettere il tessuto sociale. Quello  stesso tessuto ora va tuttavia assottigliandosi nella disaffezione e nella sfiducia nel futuro, cosa che crea scompensi di tipo sociale ed etico.
Il partito conservatore ha rinnovato se stesso utilizzando temi cari agli elettori fidelizzati, da riproporre in chiave moderna. Ma la modernità attualmente è interpretata dal governo attraverso un attacco serrato ai banchieri. Il vice ministro Clegg si è dissociato da questo atteggiamento inneggiante un  capitalismo morale, che dimentica di  prevedere alternative sociali ed economiche a tale smantellamento, lasciando un  vuoto tra propri atti e propositi».  Il tentativo maldestro di costituire una crociata di capitalismo popolare resta di fatto impraticabile.  Forse il governo  si è lasciato travolgere da sogni di fasti thatcheriani, ricordati come fossero nuovamente reali attraverso i manifesti londinesi che  pubblicizzano  “The Iron Lady”  il film dedicato ad una Thatcher che a suo  modo ha inteso realizzare quel capitalismo popolare. Cameron sembra rimasto, per citare Byron, con «un  resto d’impero negli occhi».

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