di Andrea Frangioni*
Le settimane trascorse dai vili attacchi terroristici di Parigi non inducono all’ottimismo. In un primo momento, una cappa di paura sembrava essere calata sull’Europa ma già ora alla paura sembrano piuttosto essere subentrati l’oblio e l’indifferenza, destinati a durare fino alla prossima strage. La risposta politico-militare della comunità internazionale appare, per usare due eufemismi, debole e incerta, mentre continuano a crescere gli elementi di inquietudine (la situazione in Libia, la crisi dei profughi in Europa, i tragici episodi di Colonia).
Ma ci sarà modo di analizzare tutte le nostre mancanze. Prima è però necessario compiere, ad alta voce, così come nell’intimo delle proprie coscienze, una professione di fede. La fede che, come ci hanno insegnato i nostri maestri, in mezzo ai flagelli si impara sempre che negli uomini ci sono più cose da ammirare che non da disprezzare. E che la libertà non ha per sé il futuro, ma l’eterno. Non può avere invece futuro il progetto blasfemo del totalitarismo jihadista. Non potrà prevalere chi sottrae alle famiglie i bambini per plagiarli e trasformarli in assassini. Non potrà prevalere chi riduce in schiavitù le donne. Non potranno prevalere i responsabili del genocidio degli yazidi, dei crimini contro l’umanità commessi ai danni delle minoranze cristiane, delle condizioni di terribile oppressione delle popolazioni nei territori di Siria ed Iraq occupati dal sedicente Califfato.
Ma una fede deve essere anche testimoniata. Due cose, tra le molte, appaiono più urgenti. E’ necessario che gli uomini di studio (ma non solo loro) rinnovino il discorso sulla democrazia: la sua definizione “procedurale” (il sistema che consente di cambiare i governanti senza spargimento di sangue), che in passato era stata così utile per smascherare molte contraffazioni della democrazia, non basta più; non bastano più le fredde e astratte classificazioni della scienza politica. Occorre riscoprire che la democrazia, al pari delle libertà che essa garantisce, presuppone la condivisione del valore della dignità umana; occorre riscoprire le tradizioni religiose, spirituali e filosofiche che, lungo la storia, hanno elaborato l’idea dell’infinito valore di ogni singolo individuo, al di là della sua nuda esistenza materiale. Mary Ann Glendon, nel bel libro sull’elaborazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (Verso un mondo nuovo, trad. it. Liberilibri 2008), ricorda che nel ’47 l’Unesco promosse un’inchiesta sui diritti dell’uomo tra filosofi e uomini di cultura appartenenti a diversi contesti culturali. I risultati dell’inchiesta, con un’introduzione di Jacques Maritain, furono pubblicati anche in italiano da Comunità nel ’52: essi contengono le considerazioni, oltre che di Maritain, di Gandhi, di Croce, di Theilard de Chardin, di Aldous Huxley, di Tagore, del filosofo, musulmano bengalese, Humayun Kabir, del cinese, studioso della filosofia confuciana, Chung Shu-Lo e di molte altre personalità. Maritain nell’introduzione scrive che sulla difesa della dignità dell’uomo tutti gli interpellati si erano trovati d’accordo, salvo poi dissentire, in base ai diversi credi, sul perché la dignità dell’uomo andasse difesa. Si tratta quindi di trovare il modo per declinare oggi questo principio, con un dialogo che sia franco, senza reticenze, diverso dal facile irenismo di una certa “cultura dei diritti”, idea un po’ prêt-à-porter dei nostri tempi.
Ed occuparsi in questo modo della democrazia non suoni come una fuga dall’emergenza attuale: la rivoluzione della democrazia descritta da Tocqueville, con l’imponente processo di affermazione dell’eguaglianza delle condizioni e di abbattimento di antiche gerarchie che la caratterizza, fuoriuscita dall’area atlantica, prosegue nelle altre parti del Globo. E convincono le analisi di chi ha descritto l’insorgenza dell’islamismo jihadista, che ha sconvolto il tradizionale quietismo politico dell’Islam, come reazione e conseguenza di questo fenomeno. Si parla molto di “storia globale”, ma forse l’unica storia globale possibile è quella della democrazia.
Ma, e questa è la seconda urgenza, la dignità dell’uomo deve essere anche difesa in concreto. Occorre ritrovare il senso di comunità, uscire dal cinismo della quotidianità, avere il coraggio di guardare negli occhi le solitudini delle nostre città e, per usare l’espressione di un altro dei nostri maestri, “vivere nella verità”, rispettando la pluralità delle forme di esistenza umane, nel “lavoro minuto” quotidiano. E’ di più insegnanti, e di più “medici” (ricordate? “gli uomini che non potendo essere santi e rifiutando di ammettere i flagelli si sforzano di essere dei medici”) che abbiamo bisogno.
La forza delle antiche fedi trascendenti non può tornare, ma è ancora vero che, se vuole essere libero, l’uomo deve credere!
*studioso di storia contemporanea, è autore di Salvemini e la Grande Guerra.
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