di Alessandro Campi

imagesLa qualità di una democrazia è data da molte cose. Le modalità attraverso le quali vengono selezionati i rappresentanti del popolo (per merito e dal basso o per cooptazione dall’alto?). La sua capacità a esprimere governi stabili ed efficienti. Il grado di partecipazione alla vita delle istituzioni garantito ai cittadini. Infine, l’esistenza di un’opposizione parlamentare che funga da stimolo al governo, che lo controlli nei suoi atti e che venga percepita dagli elettori come un’alternativa politicamente credibile.

In Italia, nell’era cosiddetta renziana, esiste un’opposizione politica, oltre quella sociale che per definizione si esprime fuori dalle istituzioni e che non sempre coincide con la prima? La domanda è di quelle che, negli ultimi tempi, ricorre con più frequenza. Si ha come l’impressione, infatti, che il governo attualmente in carica si muova in una sorta di vuoto: in molti lo contestano, ma nessuno è realmente in grado di contrastarlo o condizionarlo nelle sue scelte. È un esecutivo, come dice qualcuno, senza alternative, che in democrazia invece dovrebbero esistere sempre. Al tempo stesso, il Pd guidato sempre da Renzi appare ormai un partito “pigliatutto”, onnivoro al punto da occupare da solo tutta la scena pubblica: pesca consensi in ogni direzione, è al tempo stesso di destra e di sinistra, e l’unica opposizione seria che deve affrontare – come dice scherzando ma non troppo Maurizio Crozza – è quella della sua minoranza interna.

Sulla carta, in realtà, un’opposizione ci sarebbe. I dati in Parlamento dicono che esiste un fronte parlamentare, politicamente significativo e variegato al suo interno, che si oppone nominalmente a Renzi. Ma si tratta, ecco il punto, di un’opposizione di facciata o simbolica (Forza Italia), di un’opposizione soltanto potenziale e drasticamente limitata dalla scelta di governarci insieme (Ncd), di un’opposizione talmente radicale e oltranzista da sfociare nella contestazione non del Governo, ma del Sistema (Grillo), di un’opposizione ideologica e di nicchia che ha scelto di investire unicamente sul tema della paura derivante dall’immigrazione o dalla crisi economica (Lega-Fratelli d’Italia).

Il caso del partito di Berlusconi è il più emblematico. Quello offerto a Renzi è a tutti gli effetti un sostegno parlamentare esterno, una collaborazione strategica messa nero su bianco. Sinora ha riguardato le riforme costituzionali e la legge elettorale. In parte si è già estesa ai temi del lavoro e della giustizia. Ma da quando Francesca De Pascale ha assunto le vesti di ideologa del berlusconismo, si è estesa anche alla materia dei diritti civili: se avremo una legge sui matrimoni omosessuali sarà anch’essa frutto del “partito unico” o super-partito che ormai governa il Paese. Scenario in parte imputabile al carattere onnivoro del renzismo, in parte più consistente al vuoto ideale e programmatico che caratterizza tutti i suoi potenziali avversari.

C’è poi la curiosa situazione in cui si trova il Nuovo centrodestra. Sin dal nome questo partito dovrebbe essere alternativo al centrosinistra, ammesso che le etichette della politica abbiano ancora un senso. Ma Alfano ha fatto una scelta, nel segno del moderatismo responsabile, e la sta perseguendo con coerenza. Magari questa scelta fa bene al Paese, ma quanti frutti elettorali possa dare è tutto da dimostrare (i sondaggi non sembrano incoraggianti). Scelta la strada della collaborazione, Alfano si smarca come può: ogni tanto alza la voce sulla sicurezza, polemizza con l’Europa sulle questioni dell’immigrazione, da ultimo si è intestato la difesa della famiglia tradizionale sperando di pescare consensi nel mondo cattolico.

Dura e radicale è invece l’opposizione dei grillini. Ma a tal punto da risultare quasi inutile. Dopo la kermesse romana dei giorni scorsi i tentativi di apertura e dialogo, che pure erano stati tentati nelle settimane scorse nei confronti del centrosinistra, sono andanti in soffitta per sempre. Grillo e i suoi hanno deciso di ripresentarsi come una forza antisistema a tutto tondo. Hanno deciso di misurare la propria forza e credibilità fuori dalle istituzioni parlamentari. Il referendum contro l’euro, per il quale Grillo ha intenzione di raccogliere milioni di firme, pur sapendo che si tratta di un percorso non previsto dal nostro ordinamento costituzionale, è la dimostrazione che intende giocare, nel prossimo futuro, la Piazza contro il Palazzo, il Popolo contro la Casta. Fautore della democrazia diretta ed elettronica, il movimento grillino ha capito che i suoi spazi di manovra sono assai ridotti dalla logica della democrazia rappresentativa, che per definizione spinge alla mediazione e al confronto. Grillo lo ha detto chiaramente: al suo movimento interesse andare al Governo, non stare in Parlamento, che dal suo punto di vista potrebbe anche essere chiuso, dal momento che rappresenta un inutile diaframma tra i cittadini e il potere.

Lega e Fratelli d’Italia sono la destra radicale che si sta riorganizzando su basi nuove, dopo che è fallito ogni tentativo di costruirne una moderata e liberale. Ha una leadership giovane (Salvini, Meloni), ma idee e tic ideologici vecchi: la xenofobia, il nazionalismo (padano o italiano poco importa), l’uso strumentale di valori religiosi, la battaglia del sangue contro l’oro, ecc. Quanto basta per sopravvivere e magari guadagnare consensi in un’epoca di grandi paure sociali, quando basta, al tempo stesso, per condannarsi ad una perpetua marginalità. E dire che questa stessa destra è stata al governo del Paese per alcuni anni!

Il pericolo qual è, se questo è lo scenario? Mancando un’opposizione in senso politico-parlamentare, perché finta e di facciata o perché radicale e assoluta, tale da non configurare, in ogni caso, un’alternativa plausibile o auspicabile, i cittadini o si alienano definitivamente dalla politica (divenendo, per così dire, oppositori esistenziali dello Stato e delle sue istituzioni) o danno vita a proprie forme di opposizione e dissenso, che per il fatto di essere frammentate e disperse, monotematiche e parziali, non possono che contribuire ancora di più alla frammentazione del tessuto sociale e istituzionale, oltre a risultare anch’esse improduttive a livello generale.

Non avere opposizioni cui rendere conto o con le quali fare i conti è il sogno segreto di tutti i capi politici, ma è l’incubo reale di ogni democrazia che aspiri ad una minima normalità.

 * Editoriale apparso su “Il Messaggero2 del 14 ottobre 2014.

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