di Danilo Breschi

9a2b315cover25805.jpegIl volume di Roberta Sassatelli, Marco Santoro, Giovanni Semi (Fronteggiare la crisi. Come cambia lo stile di vita del ceto medio, il Mulino, Bologna 2015, pp. 338, € 28) è il frutto di una vasta ricerca promossa dal Consiglio Italiano per le Scienze Sociali e condotta tra numerose famiglie di ceto medio in due quartieri in forte mutamento di Milano e Bologna. La sua utilità è sia pratica che conoscitiva, e conferma che ogni buona politica nasce anche da una buona diagnosi socio-economica. Conoscere per agire, insomma. I tre autori partono dal presupposto secondo cui il ceto medio, esaminato nella sua ricca articolazione interna, resta il perno delle società postindustriali contemporanee.

In fondo, sin dai tempi di Aristotele si pensava che il miglior governo si fondasse sul consenso attivo delle classi medie, le più possibili numerose e in via di graduale ma costante espansione. In Italia il consolidamento dell’ordinamento democratico-repubblicano è stato senz’altro favorito nel secondo dopoguerra da una crescita economica che ha irrobustito status sociale e economico del ceto medio, andatosi progressivamente ad allargare.

Avvalendosi di strumenti analitici forniti dalla sociologia del processi culturali e della “consumer culture”, gli autori spiegano in modo convincente come i consumi siano indicatori precisi degli stili di vita fondamentali. Seguire il modificarsi dei primi fornisce informazioni preziose sul mutamento dei secondi. D’altronde si tratta sempre di scelte, motivate da aspettative e valutazioni, paure e speranze, che ci dicono delle differenze di gusto così come delle diseguaglianze e delle dinamiche della stratificazione sociale operanti all’interno di un Paese.

Cultura (e scuola), casa e alimentazione sono i tre ambiti entro i quali il presente studio ha esaminato cosa è mutato e cosa è persistito nei comportamenti del ceto medio italiano. Ansia, angoscia e paura sono i sentimenti diffusi tra i molti intervistati nel corso della ricerca. La percezione della crisi è soggettiva. Chi ha figli l’avverte con maggiore preoccupazione. I dati Istat e Ocse sono impietosi e confermano che il divario sociale è cresciuto. Dal 2008 al 2013 in Italia la disoccupazione è aumentata del 60%. Eppure le nostre famiglie di ceto medio non risultano per nulla rinunciatarie, e reagiscono nella quotidianità sia con una “retorica ottimista” sia con “piccole astuzie pratiche”. Da un lato, si tratta di coltivare la “capacità di cogliere il meglio dal peggio”, di “rifuggire sentimenti di ansia e angoscia che porterebbero all’inedia, a valutazioni sbagliate” (p. 249). Viene da aggiungere che, molto spesso, la retorica che potremmo definire “negativista” o catastrofista propalata da anni tanto dalla tv quanto dalla carta stampata e da internet non aiuta in tal senso, ma evidentemente l’istinto di sopravvivenza favorisce infine in molte persone l’elaborazione autonoma di una contro-retorica. Inoltre, dall’altro lato, si sviluppano le piccole astuzie pratiche messe in campo nella scelta oculata rispetto ai prezzi, ai luoghi, alle modalità, alla frequenza, all’opportunità degli acquisti e dei consumi in genere.

Se la paura c’è e assale in misura crescente un numero sempre maggiore di italiani, i dati di questa ricerca, comunque circoscritta nel tempo e nello spazio, lasciano sperare che la paralisi e la chiusura non siano le risposte più diffuse e durature. Con ciò, la classe politica non indugi nel trovare linee alternative di sviluppo, pena una crisi che da economica si sta facendo sempre più politica, con una democrazia che rischia di restare stritolata fra oligarchia e demagogia.

 

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