di Alessandro Campi
Insieme a Leonardo Varasano (storico di vaglia, sebbene ancora fuori dal circuito accademico: ha di recente pubblicato un’imponente ricerca sul fascismo in Umbria) ho scritto una storia politica di Berlusconi (e del berlusconismo).
La prima puntata è apparsa ieri mattina sul “Foglio” diretto da Giuliano Ferrara, su una doppia pagina accompagnata da foto e ritratti del Cavaliere. Le altre diciannove appariranno al ritmo di due alla settimana, a partire dal prossimo martedì. La “Berlusconeide”, come personalmente l’ho battezzata, si concluderà dunque a ridosso del Natale. Probabilmente, dopo la pubblicazione sul giornale, il materiale andrà a costituire un voluminoso libro.
L’andamento scelto per questo lavoro – impegnativo ma anche divertente, durato diversi mesi (stiamo ancora scrivendo la parte relativa agli anni più recenti) – è stato quello storico-cronachistico: per quanto possibile asciutto, essenziale e privo di commenti dettati dai gusti (e disgusti) personali. Lo stile adottato – si parva licet componere magnis – dovrebbe ricordare un po’ quello degli annalisti classici. Per darci un’aura e per far capire quale modello abbiamo cercato di seguire abbiamo utilizzato come esergo al testo una citazione di Tacito (alquanto perfida a leggerla con attenzione) tratta appunto dagli “Annali”.
Più in generale, l’idea che ci ha guidati è che – dopo vent’anni – Berlusconi vada consegnato alla storia (alla quale, in realtà, per ciò che ha fatto nella sua vita, di buono e di pessimo, di grande e di meschino, in molti campi della vita sociale, s’è consegnato da solo). Nonostante sia ancora attivo sulla scena pubblica, sulla quale probabilmente resterà ancora per qualche tempo, si può considerare nel complesso conclusa (e non propriamente in modo felice ed esaltante) la sua parabola politica. E dunque del Cavaliere e delle sue gesta politiche – insomma, di ciò che ha rappresentato nella storia di questo Paese – si può offrire un racconto che a sua volta può considerarsi compiuto ed esaustivo nelle sue linee essenziali.
Che è appunto quanto abbiamo cercato di fare (che si sia riusciti nell’impresa è un altro paio di maniche e a deciderlo non possono essere che i lettori). Ma il punto che – fatto questo lungo spot auto promozionale – volevo sollevare è un altro. Sono rimasto colpito dalla reazione per così dire preventiva di molti potenziali lettori alla notizia che sul “Foglio” sarebbe apparsa una simile fatica letteraria. Qualcuno l’ha definito – prima ancora di leggerlo – un “lavoro inutile”, visto che di Berlusconi in realtà sappiamo tutto e dunque non c’è niente che meriti di essere ricordato.
In realtà, mentre scrivevamo ci siamo divertiti a fare un piccolo esperimento mentale. Abbiamo chiesto ad alcuni nostri amici e conoscenti, di quelli che si definiscono di solito persone ben informate, di rammentarci qualche episodio o gesto riconducibile al nome di Berlusconi relativo al periodo 1996-2001 (i cinque anni, per capirci, in cui Berlusconi è stato all’opposizione). Cinque anni non sono pochi, nella vita di un uomo e in quella di un Paese. Bene, di quel periodo nessuno ricordava nulla di politico che potesse essere associato al Cavaliere (basti dire, tanto per dirne una, che a quell’epoca ci fu l’esperimento della Bicamerale).
Il fatto è che abbiamo la mente occupata dagli scandali a sfondo sessuale in cui Berlusconi è stato coinvolto negli ultimi anni. Insomma, molti si ricordano (e tutto forse conoscono) di Papi e di Ruby, delle Olgettine e della Minetti, e magari dell’amicizia di Berlusconi con Gheddafi e Putin (con la storiella del lettone), ma oltre ad essere ricordi di breve periodo su vicende assai recenti, si tratta anche di fatti e vicende che si riferiscono essenzialmente al costume (o malcostume, secondo i punti di vista). Il racconto storico, invece, è un’altra cosa: più completo, innanzitutto, e più profondo temporalmente. Esso può anche comprendere il gossip ma non può esaurirsi in esso. E dunque anche quelli che pensano di sapere e ricordare tutto, di e su Berlusconi, in realtà sanno e ricordano secondo una prospettiva parziale. Da qui l’utilità di rimettere in fila vent’anni di storia nel corso dei quali è in effetti accaduto di tutto, nei quali la politica e la sfera pubblica – proprio a causa di Berlusconi e del suo curioso modo d’essere e di fare – si sono spesso confusi con la dimensione privata e personalistica. E vi assicuro che abbiamo riportato a galla, rimettendoli nella giusta sequenza temporale, molti episodi che nel frattempo sono stati dimenticati o dei quali si ha solo un pallido (e spesso errato) ricordo.
Ma c’è anche chi ha detto che, più che inutile, la nostra operazione rischia di risultare oggettivamente agiografica o politicamente ambigua. Berlusconi, ora che sembra giunto al capolinea, non va raccontato o messo in prospettiva storica (un onore che un uomo così non merita), ma ignorato e consegnato all’oblio. E se proprio se ne vuole parlare lo si deve fare ricordandone una per una tutte le malefatte e le nequizie, senza concedergli nulla, nemmeno sul piano delle buone intenzioni. Non dunque una “storia politica” (peraltro in pillole) andrebbe redatta, come quella che abbiamo cercato di scrivere, ma semmai un bestiario, al massimo una “storia sub specie criminale” (questa sì davvero inutile, visto la quantità di volumi che sono stati scritti su Berlusconi con un approccio, come dire?, da polizia giudiziaria).
Un modo di ragionare (e criticare), quest’ultimo, davvero molto italiano. Espressione di un Paese che nel suo dna ha la politica intesa come tifo calcistico, come eterna discordia e divisione. Una mentalità che negli ultimi vent’anni, con la comparsa di Berlusconi e la conseguente divisione dell’Italia tra partigiani di quest’ultimo e suoi fieri e intransigenti oppositori, si è ulteriormente radicata e radicalizzata, al punto che non si ritiene né possibile né al dunque desiderabile uno sguardo sul nostro passato recente che non sia dominato dalle passioni e dai pregiudizi.
L’alternativa, quando si tratta di Berlusconi, è infatti tra agiografia e demonologia, il che significa che anche noi avremmo dovuto scegliere un campo o l’altro (quello del berlusconismo o quello dell’antiberlusconismo) e comportarci di conseguenza. Ma è un’idea che non ci ha sfiorati, nella convinzione che nell’Italia divisa e rissosa di oggi sia invece più utile (sebbene i protagonisti della storia che raccontiamo, a partire proprio dal Cavaliere, siano ancora tutti vivi e vegeti, dunque nostri contemporanei) adottare un’altra postura: quella che privilegia, rispetto allo spirito di militanza o all’intransigenza moralistica, l’osservazione critica e la capacità di giudizio (che a sua volta richiede serenità d’animo, libertà intellettuale e vocazione al dubbio). Di gente che sbraita e urla contro il nemico politico ce n’è già troppa. Di osservatori e giornalisti partigiani di questa o quella causa abbondiamo. Un racconto storico pacato ma rigoroso, affidato più che alla memoria soggettiva (che sempre inganna) allo scavo archivistico e a fonti per quanto possibile ufficiali, era forse quello che ci voleva per evitare di restare anche noi coinvolti in quella specie di guerra civile politico-culturale che da troppo tempo si combatte intorno al nome del Cavaliere.
Siamo riusciti a raccontare, con un minimo di plausibilità e rigore, il ventennio berlusconiano? Perlomeno ci abbiamo provato. E già un simile sforzo, di questi tempi, andrebbe apprezzato.