di Danilo Breschi
Scrivevo su questo sito il 6 febbraio scorso, in un articolo intitolato “I 5 stelle cadenti”: “Per concludere: state tranquilli. Nessuna paura. Le streghe non son tornate, né tanto meno i diavoli, o i fascisti. Nemmeno gli anni di piombo. Quanto a Grillo, le sue 5 stelle sono in caduta libera. Il 25% di un anno fa va inteso come punto di arrivo, non di partenza. Frutto di una congiuntura del tutto particolare, ottimamente sfruttata”. Il 25% come punto di arrivo e non di partenza. Ho avuto occasione di dirlo anche in una bella trasmissione di dibattito e approfondimento politico (una delle pochissime), in onda ogni mercoledì sera su “Italia 7” e condotta da Zeffiro Ciuffoletti e Franco Camarlinghi (“Bianco & Nero” è il nome della trasmissione). Non convinsi un granché, anzi. Ma lo sapevo già, e per questo ci fu più gusto a dirlo, in una scommessa che in realtà tale non era; semmai era la conseguenza di un ragionamento.
Così adesso assisterete allo spettacolo degli stessi “osservatori” e “commentatori” e persino “analisti” che faranno a gara nel dire che loro lo sapevano, che era tutto facilmente prevedibile e che nessuno di loro, ma sempre “gli altri”, ha detto che Grillo avrebbe preso tra il 25 e il 28%, o addirittura (i più temerari!) il 30%, e che il PD rischiava il sorpasso. Ma comincia già a circolare una nuova storiella: adesso si configurerà un inedito scenario partitico con due formazioni che sono il PD e il M5S e un centrodestra in declino. E rieccoci! Ma perché non si leggono i dati per quel che sono e invece vi si sovrappone sempre il proprio wishful thinking? ossia preferenze e pregiudizi camuffati da pensieri razionali e ponderati? Che ci volete fare, è più forte di loro.
Ma vediamoli, i dati (fonte: Ministero dell’Interno, con 438 sezioni scrutinate su 440). Affluenza (Italia + Estero): 57,22% (contro il 65,87% nel 2009). Assai meno astensionismo del previsto, anzitutto. Voti alle liste: PD = 40,81% (11.202.796), M5S = 21,15% (5.806.883), Forza Italia = 16,81% (4.614.209), Lega Nord = 6,15% (1.688.186), NCD = 4,38% (1.202.309), L’Altra Europa con Tsipras = 4,03% (1.108.365); Fratelli d’Italia/AN = 3,66% (1.066.478), Scelta Europea = 0,72% (197.919). Dunque, il PD prende quasi il doppio di voti del M5S. Rispetto ad un anno fa, il movimento di Grillo perde quasi tre milioni di voti (aveva preso 8.689.458 voti nel febbraio 2013) finiti (o ritornati) anche nell’astensionismo. Il PDL, un anno fa, aveva preso 7.332.972 voti, ora Forza Italia ne ha persi quasi tre milioni rispetto ad una formazione che contemplava anche Alfano e i suoi, che hanno ottenuto un milione e duecentomila voti. Il centrodestra, nella sommatoria delle forze che erano dentro il PDL o stabilmente alleate ad esso (vedi Lega e Fratelli d’Italia, ancora coalizzati con Berlusconi nelle elezioni del 2013), raccoglie in queste europee una percentuale di voti che si aggira attorno al 31%. Si tratterebbe di forze non più coalizzabili fra loro? Altra storiella che sarà subito raccontata e che non tiene conto delle lezioni del passato e della scienza della politica, che resta sempre l’arte del possibile e della ricerca del potere.
Dunque cosa emerge da questa tornata elettorale europea in Italia? Il fatto, scontato, che queste elezioni sono state vissute come un giudizio politico nazionale, meno indirizzato verso l’Europa e più orientato verso il governo presieduto da Matteo Renzi. Un certo antieuropeismo c’è, ma meno del previsto, e mai disgiunto da un contemporaneo giudizio sul governo e sull’opposizione oggi presenti e attivi in Italia. Renzi ha convinto, per il momento, un ampio elettorato che tradizionalmente non votava il PD perché ritiene che, siccome sulla “barca” si sta e tocca starci, bisogna che questa torni ad “andare”, per usare l’immagine della celebre canzonetta di Orietta Berti. Spero, ma è una speranza vana perché mal riposta, che i commentatori e gli analisti politici non leggano come eterno ciò che è massimamente instabile, oggi come mai in passato. E in questo siamo davvero in una Terza Repubblica, nel senso che la mobilità dell’elettorato italiano è giunta a livelli come mai visti prima nella nostra storia repubblicana. E continuerà, statene certi. D’ora in poi, una fetta importante di elettorato, ampia e soprattutto dal significativo peso specifico, si sposterà su questa o quella scelta politica e partitica in base a cosa avrà fatto. Una fetta che è di votanti cosiddetti “moderati”, e che – tanto per capirsi – un tempo (forse; ripeto: forse) avrebbe votato DC (ma anagraficamente vi sono tanti che non hanno nemmeno fatto in tempo a conoscere quel partito) o i cosiddetti “partiti laici” (repubblicani, liberali, socialdemocratici, anche i radicali pannelliani e i socialisti craxiani). Ma l’esempio serve solo per i lettori meno giovani. E c’è poi una differenza storica fondamentale: “moderato” oggi vuol dire in Italia tutto tranne che conservatore dell’esistente. C’è un buon 10%, e oltre, di voti pronti a lasciare nuovamente il PD qualora le promesse di riforme non venissero portate avanti e, soprattutto, realizzate. Renzi lo sa bene, e dovrà ripeterlo ogni giorno a sé stesso e alla dirigenza del PD. Noncuranti dei peana e dei salamelecchi dell’ennesimo assalto al carro dei vincitori di turno.
In altre parole, a Renzi è stata data una chance: “Ok, sembri sincero e deciso: allora provaci, Matteo!”. Questo è il messaggio più significativo uscito dalle urne del 25 maggio 2014. Grillo è stato lo sfogo di un freddo mattino di febbraio del 2013. Come scrivevo il 5 febbraio scorso – e meglio preciso adesso – un movimento politico di tale genesi e sviluppo, e soprattutto di tale fattezze e consistenza, non crescendo o non restando al livello raggiunto, inizia da subito un percorso che lo porterà a dissidi e divisioni, prima striscianti poi sempre più palesi, cosicché l’ulteriore decremento di consensi è dietro l’angolo. Questo non toglie che resti il disagio sociale e politico profondo di tantissimi cittadini, da una parte, né toglie che tale disagio potrà rapidamente incanalarsi in altre e ben più solide proposte di opposizione e protesta qualora si rivelasse un bluff l’ennesima promessa del “fare”. Fare cosa? Ma è chiaro, con queste elezioni più che mai: riforme strutturali, dalla Costituzione – soprattutto nel senso di dare più forza, rapidità e riconoscibilità/responsabilità al processo decisionale – passando alla burocrazia, statale e sindacale, dal mercato del lavoro per finire alla riduzione delle tasse per le imprese.
Al centrodestra il messaggio è stato altrettanto forte: “così come sei, non puoi più andare avanti!”. O il dopo-Berlusconi dà vita ad un partito, o l’asso nella manica di Marina, figlia di Silvio, rischia di essere un altro exploit elettorale a cui non seguirà però alcun cambiamento virtuoso di sistema politico e partitico e, dunque, di sistema economico e sociale per il nostro Paese. Quel che oggi come ieri ci vuole, a destra come a sinistra, per una democrazia vitale sono partiti politici tanto moderni da avere ancora in sé qualcosa di tradizionale, come del resto accade in tutta Europa. Il Front National è arrivato dove è arrivato perché è un partito nato nei primi anni Settanta, e ciò gli ha consentito di vivere alti e bassi e ora di sfruttare la duplice crisi dei due partiti storici della Quinta Repubblica francese. Non ci voleva un mago dell’analisi e della comunicazione politica per capire che l’assenza di ricambio di leadership dopo vent’anni, che le liti interne e le scissioni più o meno personalistiche non piacessero all’elettorato di centrodestra (come non piacciono a quello di centrosinistra, che non avrebbe seguito un Renzi fuori dal PD). Berlusconi ha definitivamente esaurito il suo ciclo politico, finendo un credito elettorale di ampie dimensioni accordato per vent’anni. Dovrà passare dal partito carismatico e personale al partito con leadership forte e selezionata. Non sono la stessa cosa.
Forse, bisognerà che la classe politica – di destra come di sinistra – cominci a prendere sul serio la cittadinanza che esprime pubblicamente col voto la propria opinione e che i cosiddetti “opinionisti politici”, giornalisti e sondaggisti, tutti a vario titolo “politologi”, facciano finalmente un serio esame di coscienza. Credo non accadrà. Oggi pare averlo compreso il PD grazie a Renzi, il quale si sta imponendo – o sta cercando di farlo – dentro e sopra ad inveterati schematismi ideologici da Prima Repubblica e Guerra Fredda. Di qui il suo essere stato premiato più di ogni altro precedente leader della sinistra italiana. La “pancia” dell’elettorato italiano, quello che volente o nolente dentro la penisola continuerà a vivere e a lavorare, resta in osservazione. E giudicherà nuovamente alle prossime elezioni politiche sulla base di quanto sarà stato fatto di tutto quel che è stato fin qui detto. Quando la democrazia comincia minimamente a maturare, è così che funziona.
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