di Antonio Campati
I recenti studi sulle democrazie occidentali, quasi sempre riservano un approfondimento a un tema delicato e difficile da decifrare a causa di alcuni suoi caratteri ambivalenti: il populismo. L’esaltazione del «popolo» in modo demagogico e velleitario non è certamente una novità nella vita dei regimi politici, ma negli ultimi due decenni sembra aver riacquistato un ruolo di primo piano specialmente in alcuni momenti della vita democratica, come se incarnasse la versione aggiornata del famoso «spettro» che si aggirava per l’Europa diversi decenni fa.
Infatti, proprio perché continua a conquistare terreno all’interno delle democrazie contemporanee, il populismo preoccupa ed è visto come una minaccia per la loro stabilità. A volte, però, sono proprio i leader carismatici populisti che paradossalmente, per raccogliere consenso presso le opinioni pubbliche, si offrono come garanti dei principi democratici. Una prospettiva di questo tipo, la si può rintracciare tra le pagine del recente libro di Giuseppe Brienza, Evita Perón, Populismo al femminile (i libri del Borghese, Roma 2012, pp. 120) che ripercorre le tappe della vita e dell’impegno politico della moglie del generale argentino e che riproduce, in appendice, sei «dissertazioni», gli interventi radiofonici della leader Peronista durante la campagna di sensibilizzazione per il voto femminile, riassunte dal titolo emblematico «La donna può e deve votare» e pronunciate nei primi mesi del 1947.
Il lavoro di Brienza ha il pregio di sottolineare i passaggi cruciali che dimostrano come la «First Lady del Peronismo» sia stata in grado di influenzare l’attività del regime argentino seppur in un breve lasso di tempo e, soprattutto, in giovane età (morirà a soli trentatré anni nel 1952). Ma, come spesso accade, anche nel caso della moglie del generale Perón le ricostruzioni storiche non coincidono e Brienza, fra le altre, ricorda le diverse interpretazioni della visita a Pio XII il 27 giugno del 1947. Infatti, se in base ad alcuni studi, l’udienza si concluse in modo deludente per Evita perché non venne insignita di alcun titolo pontificio (onorificenza a cui avrebbe ambito), secondo l’Autore, l’atteggiamento del Pontefice nei suoi confronti fu ampiamente positivo, riscontrato anche dalla cronaca dell’incontro pubblicata all’epoca su La Civiltà Cattolica e dedotto dall’analisi di alcuni delicati passaggi storico-diplomatici (pp. 34-35).
Ad ogni modo, il rapporto fra il regime argentino di Perón e la Chiesa Cattolica rappresenta uno snodo centrale per la ricostruzione storica di quel periodo; nella prospettiva del libro, questa importanza viene discussa in un intero capitolo (il quinto) che adotta come linea di demarcazione il «prima e dopo Evita», riportando eventi che si intrecciano inevitabilmente con le circostanze che coinvolsero il regime, alcune delle quali determinanti per la sua fine.
La ricostruzione dei brevi ma intensi anni dell’attività pubblica di Evita Perón si conclude, come si ricordava, con la pubblicazione del testo degli interventi radiofonici presentati in qualità di principale esponente dell’Associazione per il voto femminile, diffusi in Italia durante la sua visita a Roma nel giugno 1947. E probabilmente proprio la lettura attenta di questi brevi passaggi può consentire una chiara comprensione del «messaggio» che Evita ha lasciato, dei caratteri della sua personalità e, soprattutto, dei contorni di quel particolare tipo di populismo che, in base ad alcuni segnali colti da tempo, riaffiora in maniera preoccupante nelle democrazie contemporanee.