di Alessandro Campi
“E se l’allarme sulle fake news, che ha preso prepotentemente piede anche in Italia sino a diventare tema saliente di polemica tra i partiti, fosse esso stesso una colossale fake news? Insomma, un allarme ingigantito, strumentale e sostanzialmente falso? Il dubbio è ingenuo ma lecito. Anche perché le tecniche di disinformazione si sono a tal punto raffinate che quelli che ci appaiono i buoni è facile che siano invece i cattivi. Può dunque darsi benissimo che chi denuncia le bufale altrui, invocando le parole d’ordine della trasparenza e della corretta informazione, ne sia in realtà un abile e scientifico propalatore. Come escluderlo se tutto, come ci si dice, è inganno?
Nella difficoltà a farsi un’opinione su questa complessa materia, e a decidere dove stia realmente il pericolo, forse possono soccorrerci il buon senso, un minimo di ragionevolezza e quel sano scetticismo che sempre dovremmo utilizzare quando ragioniamo di storia e politica. Che sono sì il regno dei valori assoluti, ma anche dell’effimero, del contingente, del reversibile e del relativo. Soprattutto del già visto e sperimentato. Se la parola è nuova (appunto fake news), la cosa, nel senso della menzogna utilizzata come arma politica, è infatti antichissima. Il potere, nella misura in cui include un nocciolo segreto e inaccessibile, lo ha fatto sempre, pretendend0 persino l’impunità per questo suo modo di agire. E quando non ha utilizzato la falsificazione, è ricorso alla dissimulazione. Non si capisce dunque il senso degli allarmi odierni, se non con l’ingenuità di aver pensato che la democrazia ci avrebbe liberati da ogni opacità e immessi nel regno della perfetta trasparenza.
Per capirci meglio, sempre nel segno di un prudente scetticismo. Davvero si può credere che oggi siano gli hackers e i disinformatori di professione a decidere le campagne elettorali e a scegliere chi debba comandare nelle grandi democrazie? Lo scenario è psico-orwelliano. La realtà forse è più prosaica e meno drammatica. Menzogna e propaganda, come detto, sono tecniche antiche. Così come la diffamazione pubblica, il dileggio, la creazione ad arte di paure e psicosi. La novità è che oggi tutto questo ti arriva a casa, direttamente sullo smartphone. Ma ciò non vuole dire che siamo nell’epoca dell’eterodirezione politica. L’impressione è che si tenda ad attribuire al potere condizionante delle bufale le sconfitte che ci bruciano o ciò che non riusciamo (o vogliamo) spiegare con argomenti più razionali. Il caso americano da questo punto di vista sembra lampante: i democratici hanno fatto di Trump il pupazzo di Putin e dei suoi elettori la longa manus dei manipolatori del Cremlino, scatenando una cagnara mediatico-giudiziaria universale, solo perché altrimenti avrebbero dovuto darsi motivazioni spiacevoli sulle cause vere della loro sconfitta. Meglio prendersela con l’ignoranza del popolo, manovrato ad arte, che con la propria supponenza intellettuale.
Ma c’è dell’altro. Le false notizie di pace (visto che sono esistite, splendidamente analizzate da Marc Bloch all’epoca del Primo conflitto mondiale, le false notizie di guerra, che viaggiavano da una trincea all’altra sulla bocca dei combattenti pronti a credere anche a quelle più inverosimili, come sempre capita nei momenti di confusione collettiva) sono effettivamente un problema nella misura in cui si immettono nella discussione pubblica dati falsati, notizie non vere, giudizi velenosamente artefatti. Ma se per contrastare tutto ciò si finisce, mossi persino dalle migliori intenzioni, con il ridurre gli spazi di libertà e di parola, con l’invocare misure restrittive, col mettere nelle mani di pochi il potere discrezionale di decidere ciò che è vero e ciò che è falso, bene, il rimedio così delineato rischia di essere peggiore del male che si intende combattere. Nel senso che l’alternativa alla menzogna, che fa male alla democrazia, rischia di essere la censura, che finisce per ucciderla definitivamente. Meglio l’anarchia della disinformazione che l’ordine della verità di Stato.
La verità è che per frenare e neutralizzare le bugie, o almeno per riconoscerle, servirebbe un’opinione pubblica vigile, critica e informata. Che è però ciò che oggi esattamente difetta. Non mancano i controlli dall’alto in vista di una verità ufficiale e certificata, mancano i controlli dal basso in vista di quella sola verità – mai definitiva o assoluta o unica o perenne – accessibile agli uomini. Ciò che andrebbe denunciato con veemenza, piuttosto che agitare fantasmi, è dunque il sommarsi di un’eccessiva credulità (ma anche questa è una costante umana, è il fascino primordiale del sapere magico) ad una crescente ignoranza di massa, che ci rende obiettivamente più vulnerabili rispetto alla massa di informazioni che riceviamo e che per sempre più persone significa non riuscire a distinguere tra il falso conclamato e il vero evidente. Ma ciò non dipende dall’abilità dei manipolatori, ma dal collasso dell’istruzione di massa, dal rigetto della conoscenza e del sapere, che un tempo erano uno strumento di ascesa sociale, mentre oggi vengono considerati un orpello inutile. Non è la propaganda che viene da chissà quali centrali occulte che si instupidisce. E’ semmai l’incompetenza dilagante e crescente (peraltro sempre più orgogliosamente esibita e nemmeno più ammessa o riconosciuta come tale) che ci porta a berci ogni cosa.
Beninteso, gli ingannatori esistono e vanno per quanto possibile fermati, senza però immaginare che siano una potenza occulta e sinistra come nel modo di pensare tipico dei complottisti. Ma l’isteria contro la fabbrica del falso, che rischia di condizionare a suon di accuse reciproche – falsario tu, no, tu falsario – la prossima campagna elettorale, dovremmo proprio risparmiarcela. Le prime avvisaglie dello scontro tra Pd e M5S sono purtroppo rivelatrici dell’abisso di insulsaggine nel quale rischiamo di cadere. Come se i cittadini in democrazia votassero per chi si erge a custode della verità e non per chi fa loro le promesse più ragionevoli e convincenti.
Non si dimentichi in conclusione una cosa, visto che tutti dicono a parole di tenere alla trasparenza, alla correttezza dell’informazione, alla libera circolazione delle idee e alla qualità della democrazia. La forma sublime e perfetta di fake news è il silenzio: non le notizie false che si propagano, ma quelle vere che si ignorano o si nascondono.”
Lascia un commento