di Franceco Guardabassi
Quanto potrà durare? Come finirà? L’impressione è che nel centrodestra ci si stia avvicinando a passi rapidissimi verso una cruenta e definitiva resa dei conti. Con quel che sta accadendo nel mondo berlusconiano (senza contare le turbolenze in casa leghista) difficile immaginare che l’attuale legislatura possa giungere al suo termine naturale, fra due anni.
Ormai non si tratta più di contrasti interni o di divergenze, di vedute e di programmi, entro certi limiti fisiologiche. Sembra saltata ogni regola di convivenza tra ministri del governo e appartenenti alla stessa area politica. Si è innescato un meccanismo perverso, fatto di accuse incrociate, insulti manifesti e retropensieri torbidi, che sembra annunciare la cupa dissolvenza, al limite dell’autodistruzione, di una lunga stagione politica e dei suoi principali attori. Il tutto mentre il Paese, sul quale incombono parecchie incognite, dalla crisi finanziaria alla montante protesta sociale, senza contare l’ombra lunga di una nuova questione morale, procede per inerzia e senza alcuna guida, che non sia quella solitaria, troppo sovraccaricata di responsabilità e doveri, del Capo dello Stato.
Giulio Tremonti ha dato del cretino e dello scemo – a mezza bocca, ma con le moderne tecnologie informatiche anche un bisbiglio diventa pubblico – al suo collega Renato Brunetta. Potrebbe trattarsi di uno sfogo episodico o del venire a galla, puramente momentaneo, di un antico rancore. In realtà è il segnale di come nel governo virtualmente presieduto da Silvio Berlusconi ognuno vada ormai per la sua strada, insofferente o indifferente al destino e alle volontà degli altri membri della compagine. Non c’è più alcuna responsabilità condivisa, tantomeno decisioni collettive vincolanti. È solo un reciproco posizionarsi in attesa di un futuro che a tutti i protagonisti appare incerto e denso di incognite, rispetto al quale conta solo salvare se stessi.
Tutti contro tutti, tra smentite e inganni. Nessuno, ad esempio, ha ancora capito chi abbia voluto l’inserimento nella manovra finanziaria della norma, poi ritirata, che avrebbe potuto risparmiare alla Fininvest il salasso finanziario che s’annuncia. A mezze parole o con quel silenzio che di solito si definisce imbarazzato i ministri interessati hanno lasciato intendere che la colpa sia stata del solo Berlusconi. Quest’ultimo, invece, ha detto chiaramente di non averne saputo nulla e che a volere quella misura siano stati, espressamente, il ministro Tremonti e il fedelissimo Alfano: il primo ha prontamente negato, spalleggiato dai leghisti, il secondo ha fatto finta di non aver sentito un’imputazione tanto grave.
Ma il Presidente del Consiglio, nell’intervista concessa ieri a “Repubblica” e in alcuni conciliaboli talmente privati da essere subito finiti sui giornali, s’è spinto oltre, sino al parossismo, addossando al Capo dello Stato la responsabilità dell’intervento militare italiano in Libia e al solo Tremonti la responsabilità di misure finanziarie che stanno creando un crescente malcontento fra gli italiani. Quanto a lui, l’eletto dal popolo, il capo supremo, sembra quasi che nulla c’entri con ciò che di grave e impegnativo decide il suo stesso governo. Accadono cose tremende e disdicevoli, ma sempre all’insaputa dei diretti interessati, secondo la teoria formulata per primo dal dimissionario ministro Scajola, quando gli si fece notare che viveva in una casa acquistata con soldi altrui. Comico questo scaricabarile dei nostri vertici politici, se ciò non risultasse anche drammatico.
Se la contesa tra Tremonti e Brunetta presenta un lato infantile, impegnati come sono entrambi a dichiararsi uno più intelligente dell’altro (Prezzolini sosteneva che l’intelligenza è la materia che più abbonda su questa terra, il problema non è quanta se ne possiede, ma come eventualmente la si usa), la diatriba tra il Cavaliere e Tremonti rischia invece di essere tragicamente esplosiva, anche in considerazione dei veleni giudiziari che si sono nel frattempo insinuati tra i duellanti, platealmente giunti al limite della reciproca sopportazione.
La notizia che il ministro dell’economia avesse nella sua privata disponibilità la casa affittata a peso d’oro da un suo amico e collaboratore, sul quale attualmente pende una richiesta d’arresto per reati assai gravi, Berlusconi e la stampa che gli è fedele non se la sono lasciata sfuggire, essendo indubbiamente ghiotta. Il primo ha prontamente silurato colui che “si crede un genio”, “che non fa squadra” e che vorrebbe fargli le scarpe annunciando che il suo successore nel 2013 sarà Angelino Alfano e non altri. La seconda ha preso ad imbastire una campagna, che certamente avrà sviluppi nei prossimi giorni, che tanto ricorda, sin dalle prime avvisaglie, quella violentissima dello scorso anno contro Gianfranco Fini.
Le affinità, in effetti, rischiano di essere impressionanti, e per chi abbia buona memoria tutt’altro che rassicuranti. Ci sono in ballo la successione al Cavaliere e le ambizioni di un erede assai credibile sulla scena internazionale (Giulio ben visto in Europa quanto Gianfranco lo era negli Stati Uniti). C’è di mezzo una casa che si presta a insinuazioni maliziose (quella a Montecarlo, questa a Roma). C’è da togliersi di torno un alieno politico: il Presidente della Camera all’epoca accusato di essersi venduto alla sinistra, il ministro dell’economia oggi liquidato come un socialista e uno statalista che nulla c’entra con la rivoluzione liberale berlusconiana. Siamo infine nella calura di luglio, stagione propizia – come l’esperienza insegna – ai regolamenti di conti e ai martellamenti mediatici. Finì ne uscì distrutto. A Tremonti andrà meglio o anche questa volta il vincitore sarà Berlusconi? Ma il pericolo, per come si stanno mettendo le cose, è che la rovina possa essere totale e definitiva per l’intero centrodestra. Nessuno scontro tra personalità singole, ma un naufragio politico collettivo che potrebbe persino lasciarci indifferenti se a farne le spese, vista la drammatica congiuntura nella quale ci troviamo, non fosse l’Italia tutta intera.