di Montesquieu

indexNell’ambito dei sistemi istituzionali democratici sono in atto grandi sommovimenti, contestuali, diffusi e trasversali. Fino a prova di diversa democrazia, un sistema di quelli che chiamiamo “occidentali” (paesi europei, Stati Uniti, Israele, Giappone, grosso modo, non più la Turchia di Erdogan, certo non la Russia di Putin), si caratterizza sommariamente per alcuni elementi distintivi. Fra questi, la presenza di partiti politici fondati su valori e interessi possibilmente ad ampio spettro, con un grado di democrazia al loro interno tale da renderli almeno “contendibili” dalle minoranze; poi, una dialettica parlamentare in cui la maggioranza, garantita nel diritto allo svolgimento di un programma sottoposto agli elettori, si faccia garante di un nucleo di diritti alle minoranze, nell’ambito dell’esercizio di una funzione terza che spetta anche ai governi. Questo nucleo di diritti consiste fondamentalmente nella facoltà di esplicare un’azione di denuncia pubblica degli errori e dei limiti del governo in carica, e di illustrazione dei propri progetti alternativi, non già di tentare di rovesciarlo con colpi di mano o manovre di palazzo. Ancora, deve esistere un grado di distinzione e di separazione tra i poteri – quelli costituzionali classici, parlamento, esecutivo e giurisdizione, ma anche quelli sopravvenuti, come l’informazione –, che permetta l’espletamento delle funzioni degli uni senza interferenze e prevaricazioni da parte di alcuno degli altri. Con una modesta dose di approssimazione e di benevolenza, si può riconoscere al sistema italiano un pieno diritto di appartenenza al consesso, quale che sia l’esito del referendum costituzionale.

I sommovimenti accennati in esordio tendono a modificare il quadro di questi elementi di base, ed agitano progressivamente un numero sempre crescente di paesi. A prima vista, si nota che – a partire dalle democrazie meridionali, più fragili caratterialmente e più sensibili all’influenza di fenomeni socioeconomici – alle formazioni basate su valori condivisi si vanno aggiungendo, e poi sostituendo, movimenti basati su umori. I valori sono stabili, al massimo soggetti a vibrazioni od oscillazioni; gli umori cangiano, liquidi e sguscianti come il mercurio dei termometri, egoistici, e sono preda di esploratori di meteoropatia politica più che di tutori di grandi interessi e grandi blocchi sociali. Alle strategie di lungo periodo si sostituiscono toccate e fughe quotidiane, più simili al gioco in borsa che alla tenace costruzione e tutela di diritti; i giocatori stessi di conseguenza cambiano rapidamente, e l’attività politica tende a diventare una breve stagione, contratta e sincopata, che si chiude con la raccolta dei dividendi. Raramente succede che umori si calcifichino con umori successivi e diversi, e che forze settoriali, come la Lega prima di Bossi e poi di Salvini, divengano forza tradizionale sulla base di una successione di istinti conservativi. Ai cittadini elettori, tutto ciò viene teorizzato e mostrato alla stregua di un ossequio alla loro sovranità, fino al consumo di una prossima, fuggevole illusione. Finiscono inevitabilmente per rimanere scoperte intere aree di intervento, prima tra tutte la politica estera, estranea al metro di valutazione dell’interesse contingente dei popoli: anche qui, eccezion fatta per gli aspetti che toccano il nervo scoperto di interessi economici minacciati da politiche di solidarietà.

L’Italia non si sottrae a questa riflessione, ed al sottostante fenomeno. Per quarant’anni, ha sopperito alla mancanza di alternanza al governo, dovuta a cause legate più ad equilibri internazionali che interne, con un ammirevole gioco di reciproco rispetto tra maggioranza ed opposizione: reso possibile, questo, dalla solidità dei due grandi partiti presenti sul campo, capaci di garantire un sostanziale bipolarismo a ruoli sempre immutati. A partire dal 1994, dopo eventi rivolgenti quali i plebiscitari referendum elettorali e la drammatica stagione della reazione giudiziaria alla criminalità politica, il sistema ha inaugurato un vero sistema bipolare contrapposto, capace di una alternanza pressochè meccanica tra uno schieramento conservatore ed uno progressista.

Un buon balzo verso le democrazie decidenti più che dibattenti, da un lato, seppur venato di iniezioni di populismo dall’altro; una regressione in ordine a fattori quali il grado di dialettica interna nei partiti ed il reciproco rispetto tra istituzioni: particolarmente tra politica e giustizia.

Le imminenti elezioni comunali ci consegnano la sostanziale autodissoluzione di uno dei due pilastri del bipolarismo, quello di centro destra, con liberazione ed esasperazione di veementi spinte centrifughe. Fenomeno presumibilmente non contingente e di breve durata, almeno fino a completa ristrutturazione dell’area, od occupazione della stessa da forze sopravvenute ed estranee al nostro sistema politico. Qualcuno ipotizza con lo stesso Movimento 5 stelle, ancora privo di una propria definizione geopolitica e programmatica.

Nei primi commenti, questa dissoluzione equivale ad una vittoria , o almeno ad un regalo, al partito di governo, apparentemente senza avversari, soprattutto in proiezione delle elezioni generali; e a sua volta artefice di una sfuggente, ma non irrilevante alterazione dello schema bipolare ereditato, con la trasformazione in appendice del centrosinistra di un pezzo di destra, come testimonia il nome; e la contestuale espulsione dal centro sinistra di un pezzo tradizionale dello stesso, fino a lambire la minoranza postcomunista del partito democratico stesso.

Con maggiore approfondimento, si tratta di una vittoria senza vincitori, se lo sguardo va oltre l’interesse di una giornata o di una generazione; e di una sconfitta della solidità dell’ordinamento e del sistema istituzionale e politico. Quasi una zoppìa del sistema, che si trova d’un tratto a poggiare su un solo asse. Il rischio è quello di un periodo di monopolismo governativo, che attenta – per la forza delle cose e la debolezza degli uomini – all’obiettività di chi informa, all’autonomia dei corpi burocratici, di per sé precaria, e può favorire fenomeni degenerativi come quelli della migrazione politica e parlamentare. La presenza di una opposizione stabile e strutturale equivale, per il sistema politico, alla concorrenza per un sistema economico.

montesquieu.tn@gmail.com

Montesquieu è il “nom de plume” di alto funzionario dello Stato italiano, le cui analisi appaiono regolarmente sul “Sole 24ore”. Quest’intervento è stato scritto appositamente per il sito dell’Istituto di Politica.

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