di Michele Marchi

Una campagna elettorale piuttosto noiosa e dominata da due elementi chiave, l’antisarkozismo e la grande paura per la crisi economico-finanziaria, volge dunque al termine. Ai molti sondaggi tra poche ore si sostituirà il responso elettorale e il primo elemento da valutare sarà proprio la validità dei rilevamenti, che mai come in questa campagna ne hanno determinato il ritmo e scandito i momenti forti. Proprio seguendo l’andamento dei sondaggi si possono individuare continuità e fratture della campagna presidenziale francese del 2012.

Il candidato socialista Hollande, nonostante un certo appannamento nella parte centrale (compensato da una netta risalita nell’ultima settimana), non ha mai visto messa in discussione la sua partecipazione al ballottaggio del 6 maggio. Piuttosto che avanzare ricette particolari per il rilancio economico, si è limitato a sfruttare le difficoltà del presidente uscente, proponendo la sua immagine di “candidato normale”, ha avuto grande attenzione per l’elettorato “centrista” e si è garantito un appoggio pieno del PS, cosa troppo spesso non completamente riuscita ad altri illustri candidati della gauche (vedi Jospin nel 1995 e Royal nel 2007).

Assieme ad Hollande la continuità è stata rappresentata da Jean-Luc Mélenchon, ma in un senso differente. La sua è stata una continua e per molti aspetti inattesa cavalcata dal 5% di fine 2011 all’attuale 15%. Il “dissidente” del PS è riuscito nell’impresa, mai più verificatasi dopo il 12,24% raccolto da Marchais al primo turno delle elezioni del 1981, di coagulare attorno a sé sia ciò che resta della cultura politica comunista, sia quella galassia anti-capitalista e anti-globalizzazione che nel 2002, così come nel 2007, si era presentata scomposta in cinque o sei candidature. In sostanza dunque Mélenchon non ha aumentato in maniera significativa un bacino di voti che esiste e oscilla tra i tre milioni del 2007 e i sei del 2002, ma è riuscito nell’impresa di condensarli in un’unica candidatura. In prospettiva questo dato che erode in parte il voto PS del primo turno, può rivelarsi decisivo per Hollande al ballottaggio.

Altra costante è quella che riguarda Marine Le Pen. Dopo la chimerica speranza iniziale, quella dell’eliminazione di Sarkozy al primo turno per giocarsi il ballottaggio con Hollande, la figlia del fondatore del FN ha dimostrato di essere in grado di “difendere” i bastioni e le parole d’ordine del suo partito addirittura meglio dell’autorevole ma appannato padre nel 2007. Il 15-16% sarebbe un risultato storico per Marine Le Pen e quasi certamente contribuirebbe non poco alla sconfitta di Sarkozy. Non dimentichiamo,infatti che, parte della vittoria nel 2007, Sarkozy l’aveva colta andando a “rubare” voti al FN sui temi dell’immigrazione, dell’identità nazionale, della religione cattolica e dell’aumento del potere d’acquisto, sin dal primo turno. Oggi non solo Marine Le Pen sembra forte tra quelle classi medie e popolari che più stanno subendo gli effetti della crisi, ma addirittura parrebbe in testa nelle intenzioni di voto dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni.

Le due fratture maggiori riguardano invece il candidato centrista Bayrou e il presidente in carica.

Sempre seguendo i sondaggi Bayrou è molto lontano dall’exploit del 2007. Quali i motivi dell’arretramento del “terzo uomo”, addirittura ad una quasi certa quinta posizione (dietro a Mélenchon e Le Pen)? Intanto ragioni storiche: la cronica difficoltà del centrismo francese nel confrontarsi con il bipolarismo della V Repubblica. Allora viene da chiedersi perché il 2007?

Nel 2007 Bayrou più che i panni del candidato centrista, aveva indossato quelli del candidato “anti-sistema”, che costituiva una valida alternativa sia per chi non accettava la droitisation di Sarkozy (a caccia dell’elettorato del Fronte nazionale), sia a per chi metteva in discussione la credibilità di Royal. In questa campagna la candidatura “centrista” di Hollande e la presenza di due forti competitors “anti-sistema”, come Mélenchon e Le Pen, ne hanno limitato le potenzialità. Se a questo si aggiunge che i suoi due “cavalli di battaglia”, produrre francese e stabilità nei conti pubblici, sono diventati i cardini della campagna di Hollande e Sarkozy, non è difficile comprendere il crollo di Bayrou dopo una partenza sprint nel periodo dicembre-gennaio.

Infine la campagna di Sarkozy. Dopo una lunga fase di “assenza”, nella convinzione di dichiararsi solo all’ultimo, per sfruttare la sua immagine di presidente e uomo delle istituzioni da contrapporre a quella dell’inesperto candidato socialista (mai ministro in un trentennio di carriera politica), Sarkozy ha rotto gli indugi a metà febbraio. Per almeno un mese e mezzo è riuscito a creare una forte dinamica a suo favore, muovendosi in particolare sulla sua destra e così si spiegano i toni alti sull’immigrazione, su Schengen, così come le critiche sulla BCE eccessivamente a guida tedesca. Nell’ultima settimana però i sondaggi che lo avevano accreditato del 30% al primo turno hanno subito una netta inversione di tendenza e oggi lo collocano al massimo al 27%, mentre al ballottaggio mantiene un distacco abissale di circa 10 punti percentuali.

Insomma tutto già scritto sia al primo turno, sia al ballottaggio? Verrebbe da dire di sì, anche se qualche incognita non manca.

Prima di tutto bisognerà valutare quanto i sondaggi siano realmente rappresentativi degli umori e delle scelte di un elettorato che rimane, in particolare per quanto riguarda i votanti centristi ed ecologisti, molto indeciso.

Bisognerà poi osservare a che livello si fermerà l’astensionismo. Nel 2002 l’altissimo livello di astensione (28,4%) era stato alla base del clamoroso insuccesso del PS, mentre nel 2007 aveva raggiunto i livelli minimi del 16,2%, dovuti in larga parte ad una campagna elettorale ricca di interesse e di temi mobilitanti.

Infine si dovranno osservare con attenzione i piazzamenti dei tre candidati, presumibilmente Mélenchon, Le Pen e Bayrou che resteranno fuori dal ballottaggio. Come detto circa l’80% dei voti di Mélenchon dovrebbe confluire su Hollande, mentre il voto frontista solitamente al ballottaggio si tramuta, almeno per la metà, in astensione. Sarkozy dovrà lavorare su questo fronte, ma facendo attenzione a non alienarsi il voto centrista. Da questo punto di vista le voci circolate di una possibile proposta a Bayrou per la poltrona di Matignon potrebbe diventare un fattore importante nelle due settimane prima del 6 maggio.

Alcuni autorevoli commentatori hanno sottolineato le somiglianze tra le presidenziali del 2012 e quelle del 1981. All’epoca si era di fronte ad un presidente uscente di centro-destra (Giscard d’Estaing) mai completamente accettato dai francesi, un Paese in difficoltà sull’onda della seconda crisi petrolifera e un PS rappresentato da Mitterrand che non aveva mai conquistato la presidenza della Repubblica, ma che aveva finalmente ottenuto il primato a gauche, superando il PCF alle elezioni legislative del 1978. Indubbiamente il Sarkozy odierno assomiglia un po’ a quel Giscard, così come si potrebbe assimilare la coppia Mitterrand-Marchais a quella Hollande-Mélenchon e affermare che dopo diciassette anni di digiuno, per i socialisti sia giunto il momento di tornare all’Eliseo. I parallelismi in storia politica sono sempre pericolosi. Molti elementi mancano rispetto allo storico scrutinio del 1981, tra gli altri è assente un competitor all’interno dello spazio della destra repubblicana, come fu Chirac per Giscard. Ma ciò che forse più separa i due voti riguarda il clima e la percezione del momento. Mitterrand nel 1981 riuscì a proporre un’idea differente di Paese (basti pensare al tema delle nazionalizzazioni), che poi sappiamo nel 1983 avrebbe dovuto profondamente rivedere, ma che comunque mobilitò energie e speranze e alla quale si contrapponeva una destra francese che stava elaborando una sua peculiare via al neo-liberismo di matrice anglosassone.

La campagna del 2012 ha, al contrario, certificato quello che sembra essere oramai un dato patologico delle democrazie continentali: l’incapacità di proporre visioni, di avanzare ricette originali per uscire dalla crisi e ricominciare a crescere. Il surplace della campagna presidenziale francese dovrebbe essere motivo di preoccupazione non solo per i francesi, ma per tutti i cittadini e i governanti europei.

 

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)