di Michele Marchi

A tre settimane dall’apertura delle urne per l’elezione del nuovo inquilino dell’Eliseo, la campagna elettorale è segnata da due elementi di discontinuità rispetto all’andamento piuttosto lineare dei mesi passati. Da un lato Nicolas Sarkozy, definitivamente indossati i panni del candidato alla sua rielezione, ha invertito il trend negativo e secondo alcuni sondaggi addirittura supererebbe Hollande al primo turno. Dall’altro lato si deve registrare la crescita a sinistra di Jean-Luc Mélenchon, candidato del Front de gauche, che con il suo 13,5% ha superato il centrista Bayrou e sembra pronto a concorrere per il ruolo di “terzo uomo” della presidenziale, ad oggi ancora nelle mani di Marine Le Pen (15%). Come spiegare il rilancio delle possibilità di Sarkozy? E come il successo di Mélenchon? E ancora: i due dati quali ricadute potranno avere?

La “rinascita” di Sarkozy è prima di tutto legata alla decisione di accelerare la sua discesa in campo. Ancora qualche mese fa il presidente confidava la sua intenzione di cominciare a fare campagna elettorale molto tardi, ricordando che il mandato ricevuto nel 2007 gli imponeva cinque anni, e non quattro e mezzo, di presidenza. La solidità della candidatura Hollande e gli ottimi risultati del FN hanno spinto il presidente ad una rapida dichiarazione di candidatura. Da quel momento, era il 15 febbraio, Sarkozy ha cominciato una vera e propria progressione mediatica e propagandistica, nel corso della quale interventi televisivi, grandi riunioni pubbliche e presenza sul territorio sono stati saggiamente alternati. Dalla vittoria delle primarie socialiste di ottobre, la campagna elettorale era stata dominata dal candidato “normale” Hollande, pronto a tutto pur di non incrinare un quadro di sondaggi che lo dipingeva come sicuro vincitore. Hollande, insomma, ha giocato soprattutto di rimessa, cercando di non esporsi in maniera eccessiva e di puntare più che su radicali proposte di riforma, sulla necessità di “dimissionare” il presidente e sulla volontà di alternanza del Paese, dopo diciassette anni di presidenza post-gollista. Non appena però l’oppositore si è concretizzato, Hollande è parso in difficoltà anche perché, e questo è un altro dato che in parte può spiegare la risalita nei sondaggi, Sarkozy ha deciso di giocarsi il tutto per tutto: la sua France forte, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere in grado di ricomprendere e riconciliare la France du oui e la France du non. In sostanza al Sarkozy comandante in capo che mantiene salda la barra mentre il Paese arranca pericolosamente di fronte alla crisi del debito sovrano, si è aggiunto il candidato pronto ad ascoltare la voce di chi il 29 maggio 2005 disse “no” al Trattato costituzionale europeo e oggi cerca dal potere politico protezione e sostegno, da contrapporre alla “minacciosa” globalizzazione. Ecco spiegata la minaccia di sospendere il Trattato di Schengen, la proposta di introdurre una versione europea del Buy American o ancora, dopo i tragici fatti di Tolosa, il ritorno alla ribalta della questione sicurezza.

Fino a qui il recupero di Sarkozy, ma prima di fare qualche considerazione sulle sue reali possibilità di vittoria, bisogna volgere lo sguardo verso sinistra e spendere qualche parola sull’ascesa di Jean-Luc Mélenchon. Se Sarkozy ha trovato nel bagno di folla di Villepinte l’apice della sua ripartenza, Mélenchon il 18 marzo scorso ha riempito place de la Bastille, luogo simbolo della sinistra francese dalla rivoluzione del 1789 passando per la Comune, il Fronte popolare del 1936, il ’68 e la vittoria di Mitterrand del 1981.

Ma Mélenchon, di formazione trotzkista, poi mitterrandiano della prima ora e rappresentante di spicco della gauche socialista anti-rocardiana, in questi mesi ha fatto ben più che riempire una piazza. Il suo percorso viene da lontano, perlomeno dall’autunno del 2008, quando se ne è andato polemicamente dal PS (da ricordare che Mélenchon era stato ministro di Jospin dal 2000 al 2002) per creare il Parti de gauche. Ebbene da allora Mélenchon è stato in grado di assorbire in un primo momento la sinistra radicale all’epoca riunita nel Nouveau Parti Anticapitaliste d’Olivier Besancenot; in un secondo tempo è riuscito ad imporre primarie aperte ad un Partito comunista moribondo, nelle quali nel giugno 2011 ha sbaragliato il candidato comunista André Chassaigne e infine ha ridotto al lumicino l’offerta politica sia degli ecologisti (che hanno clamorosamente sbagliato candidatura proponendo la sconosciuta Eva Joly), sia di quella parte di sinistra radicale che non ha accettato di confluire nel Front de gauche (Nathalie Arthaud e Philippe Poutou non superano oggi l’1% delle intenzioni di voto). In definitiva Mélenchon ha fatto la scommessa, al momento vinta, di ridare voce a quel potenziale di sinistra più rossa che rosa, radicale, protestataria e antiglobalizzazione che, senza risalire ai fasti del PCF primo partito di sinistra ancora ad inizio anni Settanta, alle presidenziali del 1995 e a quelle del 2002, seppur divisa tra candidati ufficiali del PCF e candidati trotzkisti, arrivava al 14-15%.

La ripartenza di Sarkozy e il decollo di Mélenchon potranno essere due fattori determinanti della campagna elettorale?

Innanzitutto bisognerà in un caso come nell’altro considerare se i due trend si consolideranno e giungeranno sino al 22 aprile. È comunque un fatto che per la prima volta un sondaggio abbia accreditato Sarkozy del 29% e Hollande del 28% e veda Mélenchon superare Bayrou e puntare al terzo posto di Marine Le Pen.

In secondo luogo, e per quanto riguarda Sarkozy, il vero problema sembra essere quello del secondo turno. Con un Fronte nazionale secondo i sondaggi oltre il 15% e praticamente nessun altro candidato minore di centro o centro-destra in grado di raccogliere voti al primo turno, il presidente uscente avrà grosse difficoltà al ballottaggio, se non riuscirà perlomeno a ripetere l’ottimo 31,18% del 2007. È vero che il numero di elettori di Marine Le Pen che si dichiarano intenzionati a votare per Sarkozy al ballottaggio è salito al 50%, ma grande importanza rivestirà anche la scelta dell’elettorato di Bayrou, al momento stagnante all’11%.

Mélenchon, dal canto suo, è una risorsa o può tramutarsi in una minaccia per Hollande? Da un lato è sotto gli occhi di tutti che l’exploit del candidato del Front de gauche corrisponde ad un costante calo di quello socialista. D’altra parte è fuor di dubbio che la stragrande maggioranza del suo elettorato ha come obiettivo quello di battere la destra e dunque al ballottaggio il travaso di voti verso Hollande è molto più scontato rispetto a quello tra FN e Sarkozy. Resta un elemento da non trascurare. Come alcuni collaboratori di Hollande hanno ricordato Mélenchon al 15% può diventare ingombrante, soprattutto in vista delle elezioni legislative immediatamente successive al voto per l’Eliseo.

Con Hollande all’Eliseo, il Senato già in mano alla sinistra è evidente che il PS punti alla maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale. Mélenchon non ha al momento un seggio in Parlamento. Certamente la componente comunista del suo Front de gauche farà carte false per mantenere il controllo perlomeno dei suoi storici “feudi rossi” (tra gli altri la banlieue parigina). Il PS che ha già stipulato un accordo (scellerato) con gli ecologisti per la distribuzione dei seggi in vista delle legislative potrebbe trovarsi con un presidente all’Eliseo e qualche grana in più all’Assemblea Nazionale. Insomma, in queste ultime tre settimane, la noia dovrebbe aver definitivamente abbandonato la corsa all’Eliseo.

 

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Commento (1)

  • Chara
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