di Alessandro Campi
Il Front national di Marine Le Pen è il primo partito di Francia. Le previsioni della vigilia, stando ai dati diffusi subito dopo la chiusura delle urne, sono state dunque rispettate. In molti ora si strapperanno le vesti, gridando al pericolo nel nome della vera democrazia. Ma prima di lanciare l’allarme bisognerebbe avere almeno ben chiare le ragioni di questo successo. Che viene da lontano e solo in parte può essere attribuito alla paura che ha attanagliato la Francia dopo i massacri del 13 novembre. Non si cresce così tanto solo sul filo dell’odio religioso, dell’ansia di sicurezza e della collera sociale.
Si fa ancora l’errore di considerare il Fn un classico partito d’estrema destra, pericolosamente incline alla xenofobia e alla difesa oltranzista dei valori tradizionali. Ma così non si tiene conto dei cambiamenti che sono intervenuti al suo interno nel corso degli ultimi anni, specie da quando ad assumerne il controllo, in polemica diretta col padre Jean-Marie, è stata la figlia di quest’ultimo Marine.
Il Fn non è più da alcuni anni il partito dei nostalgici di Vichy, del collaborazionismo e dell’Algeria francese, ovvero il rifugio politico della destra controrivoluzionaria e ostile alla modernità. Questa sensibilità permane in una parte del suo elettorato storico, ma meno nel gruppo dirigente e al vertice. Chi era apertamente su queste posizioni, quelle del vecchio Jean-Marie, si è già accasato altrove. Ad esempio nel residuale Parti de la France.
Il Fn è oggi un partito che con la sua retorica anti-sistema e tipicamente populista, prendendosela ad esempio con le banche e i burocratici di Bruxelles, avendo peraltro una guida politica tutta al femminile e mediaticamente molto efficace, attrae fasce sociali molto diverse e politicamente eterogenee: operai, artigiani, commercianti, giovani disoccupati, anziani, agricoltori, anche nei contesti urbani. Costoro non sono tenuti insieme da una visione ideologica, ad esempio il nazionalismo o l’odio per lo straniero, ma dal fatto di essere, a titolo diverso, dei marginali, dei senza voce, dei perdenti in cerca di un legittimo riscatto. Si tratta di individui e gruppi travolti dalla crisi economica, dalla perdita delle vecchie certezze sociali, da una globalizzazione che spesso si risolve in competizione senza regole. Sono cittadini che hanno semplicemente smesso di fidarsi (non senza buone ragioni) dei partiti per cui tradizionalmente votavano e che vedono rappresentate le loro istanze e attese ormai solo dal Fn.
Se lo schema populista tanto biasimato dagli analisti politici ufficiali – i molti senza futuro contro i pochi privilegiati, il Popolo contro il Palazzo – funziona non è solo perché nella sua semplicità coglie una realtà obiettiva – la chiusura oligarchica delle democrazie –, ma perché prescinde dalla classica distinzione destra/sinistra, che era tipica della stagione in cui la politica era orientata dalle ideologie. Il Front national odierno è esattamente un partito ideologicamente trasversale, ovvero in grado di dire cose che possono simultaneamente suonare di destra (in materia di sicurezza) e di sinistra (sui temi economici e persino sul versante dei diritti civili). E questo fa la sua forza come quella di altri partiti con caratteristiche analoghe che negli ultimi anni si sono stabilmente insediati nel panorama politico europeo: dall’Italia (Grillo) alla Spagna (Podemos).
Ma non è solo l’onda lungo del populismo a spiegare la crescita, lenta ma inesorabile, del Fn. Essa è stata aiutata, anche se sembrerà paradossale come argomento, da tutti quegli avversari che gli hanno creato intorno un cordone sanitario. Nel nome della democrazia e dei valori repubblicani, per anni milioni di francesi sono stati considerati cittadini di serie inferiore e trattati a livello pubblico come degli appestati. In più ci si è messo un sistema elettorale che ha sinora impedito al Fn, per quanti voti potesse ottenere, di entrare nelle assemblee rappresentative e di mettersi alla prova del governo: l’unica in grado di svelare l’eventuale inconsistenza di questo genere di formazioni politiche, che più le si emargina e le si condanna in blocco, più crescono nei consensi.
Anche in occasioni di queste elezioni regionali contro il Fn era scattata la strategia dell’allarme globale. Dalla stampa agli industriali, dalla Chiesa ai sindacati ufficiali, ci si è massicciamente mobilitati contro di esso, additandolo come il nemico principale. Ma ciò ha finito per rafforzarne il profilo di solitario (e credibile) oppositore del sistema, sino a renderlo una soluzione politicamente più affidabile dei suoi troppi e stranamente concordi avversari. In un mondo che tende al conformismo e all’uniformità, ancora non si è capito quanto i cittadini siano sempre più portati ad apprezzare, a scapito di quelle ufficiali, le voci dissonanti e persino eccentriche. Era d’altro canto difficile, a tre settimane dagli attentati a Parigi e mentre tutto il mondo si mobilita contro l’Isis, convincere gli elettori francesi che il pericolo sia Marine Le Pen e non al-Baghdadi.
C’è poi da fare i conti con l’obiettiva abilità tattica della Marine Le Pen, dalla quale probabilmente non ci si aspettava un riposizionamento così rapido ed efficace rispetto alle posizioni del padre. Ieri sera, appena chiuse le urne, si è presa il gusto di proclamarsi il vero difensore della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità e della laicità. Si è insomma intestata i valori repubblicani e la retorica gollista. All’indomani degli attentati a Parigi, per fare un altro esempio, non ha inveito contro i musulmani, dando loro dei “bastardi” o chiedendone il bando civile. Pur condannando con parole di fuoco l’islamismo jihadista, ha evitato di prendersela pubblicamente con la comunità islamica francese. Quelli che nella crescita del Fn vedono una deriva razzista e un ritorno a Vichy – con i musulmani al posto degli ebrei – resteranno storditi dallo scoprire che probabilmente non sono pochi i musulmani di passaporto francese, socialmente integrati e alieni da ogni fanatismo religioso, che in questa tornata hanno votato per Marine Le Pen.
Bisogna poi considerare quanto abbia giocato a favore del Fn, ormai da anni, il vuoto di idee e progettualità in cui versano la destra e la sinistra tradizionali, le cui ricette sembrano aver fallito su tutti i fronti: dall’economia all’immigrazione. Se il Fn pecca di demagogia, i suoi avversari certo non brillano per capacità di governo e credibilità. Non solo, ma socialisti e destra gollista si somigliano ormai troppo (ad esempio quando parlano di Europa) per non destare sospetti negli elettori. Più che forze contrapposte, rischiano di apparire una joint-venture per la difesa e la spartizione del potere. Ed è ciò che impedisce, questa volta, che al ballottaggio del prossimo 13 dicembre destra e sinistra si mettano insieme per cercare sbarrare la strada al Fn, come sempre hanno fatto nel passato. Un simile amalgama, spacciata da difesa dei valori repubblicani, sarebbe questa volta il miglior viatico per la corsa di Marine verso l’Eliseo.
* Editoriale apparso sui quotidiani “Il Messaggero” e “il Mattino” del 7 dicembre 2015.
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