di Micaela De Cinque
Il regista australiano Andrew M. Niccol ci mostrava più di dieci anni fa nel suo primo film come regista, “Gattaca – La porta dell’Universo”, a cosa conduca la manipolazione genetica. Era il 1997, e un anno dopo scrisse la sceneggiatura di “The Truman Show”. Nel 2012 è ritornato nelle sale con una nuova pellicola fantascientifica dal titolo: “In Time”. Uno dei tanti slogan promozionali di Gattaca recitava in questo modo: “non esiste un gene per lo spirito umano”, in “The Truman show”, invece, lo spot recitava: “in onda senza saperlo”. Invece quello di “In Time” è “vivere per sempre o morire provandoci”.
Niccol nelle vesti di regista ci è piaciuto molto, anche per il suo gusto un po’ retrò di ambientare le sue storie, stile anni ’50, dagli abiti alle macchine. Tutto però proiettato nel futuro dell’informatica e della tecnologia. Guardando i suoi film, che ne sia il regista o che ne curi solo la sceneggiatura, non ci mette di fronte ad un semplice film, ma riesce a farci pensare e riflettere anche da un punto di vista filosofico. In Gattaca siamo proiettati verso un futuro (chissà poi quanto lontano) dove la scienza e la fabbrica di esseri umani sono solo alcuni dei protagonisti principali. Sono piovute molte critiche sui film di Niccol, dalle più puntuali a quella più superficiali. Penso però che il regista abbia centrato il suo obiettivo. Rivisti anche a distanza di anni, desta grande stupore l’attualità degli argomenti trattati nei suoi film. Si pensi, appunto, alla tematica della manipolazione genetica. Con “The Truman Show”, poi, c’è stato mostrato per la prima volta quel che da lì a qualche anno sarebbe stato un fenomeno a larghissima diffusione e fortissimo impatto: i cosiddetti “reality show”. Guardando quel film, almeno una volta abbiamo pensato: è una cosa tremenda e disumana vivere così; come può vivere una persona quando scopre che tutto quello che aveva intorno è un’illusione; vedere che la propria persona viene usata e sfruttata?
Oggi, purtroppo, la finzione filmica è divenuta realtà. Ci sono file lunghissime di uomini e donne di tutte le età che aspettano anche una giornata intera per fare un provino, per riuscire a partecipare ad uno di questi show. Come possiamo consentire che la nostra persona sia resa oggetto di consumo, e che si permetta ad un perfetto sconosciuto di giudicare i tuoi comportamenti? Si obietta che basta cambiare canale. Mah! Il problema è che non c’è un programma televisivo o radiofonico che non parli di altro se non di questo. Tutto ciò che impatto ha sulle persone? La maggior parte sono convinte che quello che stanno guardando sia la realtà e spesso si identificano con le persone che vedono sullo schermo. I problemi che si hanno nella vita sono gli stessi dei personaggi. Tutto ci appare reale e conosciuto perché sono le stesse cose che succedono nella nostra vita. L’apparenza inganna. Quello che ci appare vero e autentico non è altro che un bel film con tanto di trama e attori. Programmi che ci offuscano e confondo le menti. Ci anestetizzano.
In “The Truman Show” vediamo che intorno al protagonista è stato creato un vero e proprio carcere. Il filosofo utilitarista Bentham lo chiamava Panopticon, ovvero un carcere edificato in modo tale che una sola persona potesse controllare tutto e sapere tutto di tutti. Il filosofo inglese sottolineava come in questo modo le persone potessero essere manipolate anche mentalmente. Che poi la gabbia possa essere anche dorata non cambia di una virgola la condizione di privazione della libertà. Nel film abbiamo un solo carcerato che si oppone al meccanismo che gli ruota intorno e di cui è egli stesso ingranaggio. Truman si rivolta contro colui che l’ha creato. Il protagonista è stato paragonato ad un moderno Adamo che avendo mangiato dall’albero proibito se ne vorrebbe andare dalla città perfetta in cui vive. Il regista del programma, nel tentativo di persuaderlo a restare “in gabbia”, fa leva sul lato più sensibile di Truman, ovvero quello affettivo. Infatti cosa smuove di più il nostro animo di una scena di pianto o il disagio di una vita vissuta al limite?
Che tipo di società siamo o possiamo diventare? Quale insegnamento possiamo ricevere quando ciò che desta la nostra ammirazione, tanto da prenderlo come esempio, è falsato da terze persone, anonime e ciniche? Vedere costantemente, a tutte le ore del giorno e della notte, scene di violenza fisica e verbale non solo innervosisce, ma ci rende inclini ad avere lo stesso comportamento. Quale insegnamento si ricava da presunte discussioni in cui una persona cerca di prevalere sull’altra altra alzando la voce, strillando, inveendo, e a ciò segue immediato un fragorosissimo applauso? Alzare la voce per affermare la propria idea, imponendosi con la forza, silenziando il dissenso, non solo è legittimato, ma ti fa avere successo. Questo il messaggio veicolato. Dietro a tutto questo si nasconde spesso un unico disagio: il desiderio di essere accettati dagli altri. Per questo motivo le persone più fragili sono disposte a tutto. Ma Truman, alla fine, sceglie. Non ha dato ascolto alla voce esterna del regista (a cui non era in grado di dare un volto), che con tono paterno gli nascondeva l’ennesimo ricatto psicologico. Una volta appresa la verità (con la propria testa) ha scelto: di non conformasi al volere della società e, cosa più importante, di essere padrone della propria vita.
L’unica cosa che riesce a salvare l’essere umano dalla follia è la libertà di pensiero, essere libero di sognare e di creare. Tutto questo mi fa pensare a Nelson Mandela, a tutti quegli anni passati in carcere. Che cosa, se non l’avere sempre la mente attiva, gli ha consentito di non cedere ed arrendersi? Di mantenerlo capace, una volta libero, di parlare di amore e di speranza. Intorno a lui si era creata una società fondata sull’odio e sulla violenza, ma, nonostante tutto, egli ha proseguito nella propria predicazione di conciliazione perché fortemente consapevole della scelta che aveva fatto.
Passano dieci anni e con il film “In Time” Niccol va oltre, e si concentra su quello che è il difficile momento che sta vivendo l’Occidente: una grave e prolungata crisi economica. Anche in questo caso Niccoll usa lo spazio e il tempo in modo da conferire perenne attualità alle tematiche trattate. In questo film si parla di un futuro, come in Gattaca, non molto lontano, dove alle persone viene bloccato il gene dell’invecchiamento, così da essere destinate ad avere sempre venticinque anni. Pur non invecchiando fisicamente, le persone devono acquistare tempo per poter vivere. Il tempo è diventato la “moneta” con cui viene pagato il loro lavoro. La divisione delle classi sociali viene fatta in base al tempo che le persone possiedono: chi ha al massimo pochi minuti vive nella Zona 21, soprannominata “il Ghetto”. Gli abitanti di questa poverissima zona sono facilmente riconoscibili perché corrono tutto il giorno, e non hanno tempo da sprecare. È inevitabile che una società siffatta susciti sentimenti di rabbia e frustrazione, facili ad esplodere. È quello che decide di fare Will, il protagonista del film, e si ribella. Davanti alla morte ingiusta della madre decide che è arrivato il momento di dare una svolta alla sua esistenza, rischiando la vita. D’altronde, perdendo il suo affetto più importante, il fatto di vivere o morire non è più così importante.
Grazie al tempo regalato da Hamilton, un generoso benefattore, Will vuole arrivare a far parte dei potenti per poter colpire al cuore il sistema. Purtroppo viene scoperto e da quel momento inizia la sua lotta. Ruba il tempo per donarlo a chi è meno fortunato, aiutato in ciò da Sylvia, la figlia del proprietario delle banche del tempo. Inseguiti non solo dalla legge, ma anche da una banda che ruba il tempo alle persone che vivono nel Ghetto, tollerata dalla legge perché non superano il limite, rimangono cioè all’interno dei propri confini, non danno fastidio a nessuno, dal momento che rubano solo ai “poveri” della zona 21. Al contrario, nel caso di Will e Sylvia, non conviene al sistema che ci sia qualcuno che porti speranza. Le cose devono restare così come sono.
Will riesce però a ribaltare il sistema e permette agli abitanti delle varie zone della città di mischiarsi tra loro. Molteplici sono gli aspetti da considerare e come sempre Niccol riesce a farci riflettere. Molti i temi: la ricerca dell’eterna perfezione, la lotta di classe, la selezione della specie, ovvero: solo il più forte sopravvive. Il tutto mescolato in una rivisitazione della favola di Robin Hood: rubare ai ricchi per dare ai poveri, e, come dice una volta il protagonista, “non è rubare, se è stato già rubato”. Forti le assonanze con “The Truman show”, perché anche in questo caso siamo di fronte ad una costante manipolazione della realtà e allo sfruttamento del più debole. L’uso del tempo come moneta di scambio non è altro che efficace paragone sulla situazione che stiamo vivendo attualmente.
Tempo e denaro. Forse siamo (senza rendercene conto) ad una sorta di selezione generazionale. Probabilmente il film ha fatto eco ai festeggiamenti dell’anniversario della teoria dell’evoluzione di Darwin. Non è un caso che nel film ci siano costanti richiami ad essa. “Per pochi immortali la maggioranza deve morire”, questa è la frase che viene più volte citata. Ma portare all’estremo il lato istintivo delle persone non è rischioso? Spesso la fame e la disperazione fanno agire in maniera irrazionale, anche se comprensibile. Fa anche riflettere la questione del gene dell’età, bloccata ai venticinque anni. Potrebbe solo essere un’idea del regista per rendere più interessante il film, oppure anche questo può diventare argomento di riflessione? Il rapporto tra bellezza e tempo che scorre è diventato oggetto di un intenso dibattito. Fino a più di cinquanta anni fa invecchiare era un processo del tutto normale, ma oggi la società cerca di sconvolgere tutto questo. Dalla nascita alla morte. Il programmare geneticamente persone sempre giovani, oltre ad essere contro natura, è probabilmente un metodo di sfruttamento della popolazione più debole. I venticinque anni sono gli anni migliori perché le persone sono nel pieno delle loro forze. La resistenza fisica è maggiore e quindi l’età risulta perfetta per eseguire lavori molto faticosi. Purtroppo dove il fisico sembra reggere perfettamente, la mente progressivamente declina. Così Hamilton parla a Will la sera del loro primo ed unico incontro.
Da qualsiasi prospettiva la vogliamo vedere, al centro di tutto c’è sempre e solo un protagonista: l’essere umano. Da troppo tempo vediamo che la lezione dei famosi “corsi e ricorsi storici” non funziona più. Vogliamo, anzi pretendiamo la perfezione. Nonostante gli orrori del secondo conflitto mondiale, dell’eugenetica nazista (ma anche scandinava), sembra che la storia non abbia insegnato nulla. Il progresso scientifico ha fatto molto per l’umanità, ma troppo spesso è usato in modo sbagliato. Il motto è: se si può fare, allora è lecito. Pensiamo solo a raggiungere il nostro obiettivo: la felicità. Ma a quale prezzo? I più deboli devono morire? Sarà questa la selezione naturale tanto decantata da Darwin e dai suoi sostenitori?
Il tempo del pensare e riflettere è finito. Qui e ora è chiamata ad agire. Bisogna far sentire la propria voce. È necessario cambiare, non essere più così attaccati ad un passato di benessere che ci ha portato alla condizione che stiamo vivendo oggi. Nel film “In Time” c’è lo scambio tra tempo e denaro. Spesso non ci rendiamo neanche conto di quanto il tempo che trascorre sia prezioso. La maggior parte di noi appena si sveglia la mattina non vede l’ora che sia sera per poter dormire e pensare “che bello anche questa giornata è finita!”. Intanto il tempo va avanti, e così i giorni, le settimane, i mesi e gli anni… passano. Semplicemente scorrono via. Ad un certo punto ci fermiamo, magari per un nostro momento di crisi interiore o semplicemente perché si va in pensione o peggio per una malattia. Questo è il momento in cui riflettiamo. Pensiamo e cominciamo a tirare le somme di una vita trascorsa come le persone della Zona 21: sempre di corsa.
Occorrerebbe riscoprire l’importanza del tempo. Ci può dare la possibilità di coltivare passioni, di occuparsi del nostro prossimo. Nei casi di malattia il tempo non solo è utile, ma vitale, poiché nei casi di malattie in fase terminale quei brevi momenti trascorsi con i familiari sono importantissimi. Indispensabile è fare in modo che a queste persone sia garantito non solo il diritto ad una morte senza il dolore (per quanto sia possibile), ma al conforto e all’amore dei propri cari. Quindi bisogna dare un valore al proprio tempo, cercare di trovare il modo di fermarsi e guardarsi attorno. Bisogna prendersi del tempo per parlare, per viaggiare, vivere la vita a pieno. Sarà più vera la frase del “vivi e lascia vivere” o del “carpe diem”? E quel giorno da cogliere non si arricchisce forse dell’attenzione e della cura che rivolgiamo agli altri?
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