di Andrea Beccaro

5490680Il volume di Patricia Chiantera-Stutte, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bari, Il pensiero geopolitico. Spazio, potere e imperialismo tra Otto e Novecento, (Carocci, Roma 2014, pp. 232, 18€) è una lettura quanto mai utile per riflettere in modo serio sulla correlazione tra spazio geografico e spazio politico, una correlazione che sta mutando radicalmente e a cui la politica internazionale contemporanea non ha ancora trovato una vera risposta.

La prospettiva dell’autrice mette chiaramente in luce i forti legami tra il pensiero politico e le conseguenti visioni geografiche e di ordinamento dello spazio geografico. Questa analisi dello sviluppo storico-dottrinale della geopolitica riesce a evidenziare aspetti e idee oggi importanti nel quadro dell’odierno “sistema” internazionale.

A questo proposito per esempio possiamo ricordare come uno dei padri della disciplina, Karl Lamprecht storico di Lipsia, parlasse di Kulturimperialismus ovvero una forma di penetrazione politica (da impiegarsi principalmente nello spazio coloniale) basata “sulla forza di persuasione culturale”. Detto altrimenti conquistare spazio politico e cittadini attraverso la diffusione della propria cultura e dei propri valori, un’idea quanto mai simile a quella proposta da Joseph Nye per descrivere la politica estera americana e riassunta nel concetto di soft power. La cultura in questo senso diventa “uno strumento di dominio” oltre che un modo pacifico, ma politicamente efficace, di conquistare i “cuori e le menti” di altri popoli e ampliare così il dominio dell’impero tedesco dell’epoca. Una linea di ragionamento che ritroviamo anche in Friedrich Ratzel nel cui pensiero il concetto di Kultur occupa uno spazio notevole. Essa infatti diventa anche il fulcro del concetto di Lebensraum che rappresenta il territorio dominato anche culturalmente da un popolo.

Un altro aspetto di quelle teorie da prendere seriamente in considerazione è l’idea di ordinamento dello spazio politico che propongono e che travalica l’idea occidentale e moderna di Stato. Negli ultimi venti e più anni si è sviluppata un’enorme bibliografia internazionalistica sul tema della crisi dello stato che ha dato il via a una serie di definizioni utili per descrivere il problema. Abbiamo i cosiddetti failed states ovvero stati in cui il governo centrale ha completamente perso ogni controllo sul suo territorio come ad esempio la Somalia, oppure il concetto sviluppato dal prof. Thomas Risse di Räumen begrenzter Staatlichkeit ovvero “spazi di statualità limitata”. Questa è una tematica di fondamentale importanza per la politica internazionale e proprio dalla geopolitica si possono trarre idee e riflessioni utili su un modo diverso da quello dello stato di gestire lo spazio politico.

Nell’interpretazione di Ratzel lo Stato non viene superato da un’altra forma, ma viene interpretato in modo meno netto e stabilito; esso al contrario è un’entità “fluida” che si stabilisce di volta in volta “in base alla sfera di interessi e all’ambito culturale”. I confini sono quindi un qualcosa di relativo e variano a seconda dei territori che dimostrano una certa affinità culturale. Ratzel quindi supera la correlazione Stato-territorio geografico su cui ancora oggi si basa la politica internazionale.

Un ulteriore esempio del “superamento” della forma Stato arriva dalla teoria dell’ammiraglio Mahan che vede nel controllo dei mari la chiave di volta per la politica mondiale. Una teoria tutt’ora importante e che ha influenzato non poco la dicotomia mare-terra di Carl Schmitt e di Mackinder. Quest’ultimo, pur con alcune modifiche alla sua teoria nel corso degli anni, ragiona in termini di cerchi concentrici che partono dall’heartland ovvero l’Eurasia.

L’autrice ricostruisce poi nel capitolo 4 il pensiero geopolitico tedesco tra le due guerre mondiali che è interessante almeno per due motivi. Per prima cosa rappresenta l’humus su cui si svilupperà la teoria politico internazionale di Carl Schmitt autore quanto mai rilevante per il XX secolo e non solo; secondariamente è un dibattito in cui il ruolo dello Stato viene messo in discussione e vengono avanzate proposte alternative come i modelli mitteleuropei, imperiali e forme di federazione europea che andavano a contrapporsi invece alla nascente Lega delle nazioni, letta come una forma di dominio mondiale delle potenze vincitrici.

Il volume affronta questi autori in modo approfondito e dettagliato studiando le opere principali, le riviste di riferimento, le influenze reciproche e la cultura del tempo. Il focus sulla cultura tedesca è ben bilanciato con capitoli e approfondimenti su autori inglesi e americani che hanno avuto un’influenza persistente anche se nascosta dopo la Seconda guerra mondiale, come per esempio Nicholas Spykman il quale sostiene che la potenza e quindi il rango di uno Stato a livello internazionale è strettamente correlato alla sua posizione geografica sia rispetto al globo terrestre sia rispetto alla regine di appartenenza. L’ultimo capitolo del volume, infine, è un interessante sguardo alle teorie geopolitiche più moderne mostrando come la riflessione geopolitica, più che la disciplina, sia ancora attiva.

Ciò però che qui si è voluto mettere maggiormente in luce è il nesso tra spazio geografico e politico, poiché ormai da anni esso ha subito profondi mutamenti. La storia della geopolitica ci permette di evidenziare forme alternative di organizzazione del potere politico e soprattutto ci deve consentire di rielaborare i nostri concetti interpretativi dello spazio politico-geografico. Un esempio come molti per chiarire il punto: lo Stato Islamico. Esso si configura in tutto e per tutto come un organismo politico, poiché controlla uno spazio territoriale che inoltre travalica i tradizionali confini di due Stati (Siria e Iraq), perciò pensare di sconfiggere l’IS solo in uno dei due Stati è un non senso strategico. Inoltre l’IS nel corso degli ultimi mesi ha stretto legami, più o meno stretti, con altri gruppi jihadisti in Libia (Majlis Shura Shabab al-Islam), nel Sinai (Ansar Beit al-Maqdis) e in Algeria (Jund al-Khilafah) oltre che in Arabia Saudita e Yemen. Soprattutto per quanto riguarda i primi due si può parlare di vere wilayat, province, che quindi darebbero all’IS una dimensione politico spaziale del tutto particolare e simile a quella degli imperi coloniali: uno “stato” centrale dotato di continuità territoriale che controlla aree geografiche più o meno lontane che, almeno per il momento, non hanno una loro continuità territoriale né fra loro né con il nucleo del potere politico. Un ulteriore esempio di questa situazione è il Kurdistan, un soggetto politico a tutti gli effetti nella regione che tratta con Baghdad, Ankara e le capitali occidentali, dotato di proprie forze armate (i Peshmerga) che eppure ufficialmente non esiste.

Ripensare lo spazio politico del XXI secolo è una delle sfide maggiori che ci attendono, il testo di Patricia Chiantera-Stutte può aiutarci a farlo con una maggiore consapevolezza storica.

 

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