di Amerigo Pochini
Gli enti subnazionali cinesi, nel quadro di una politica estera determinata dal Governo centrale, stanno costruendo una rete di relazioni esterne sempre più estesa. Nel sud della Repubblica Popolare Cinese (RPC) vi sono in particolare tre città, Guangzhou, Shenzhen ed Hong Kong, che rappresentano un fondamentale asse strategico dello sviluppo economico cinese. Conoscere più in profondità tale realtà può essere utile per tutti i referenti istituzionali degli enti subnazionali esteri interessati a connettersi a questi nodi primari della rete delle città mondiali, sia a scopi politici che di sviluppo locale.
A partire dalla presidenza di Deng Xiaoping, la RPC è progressivamente emersa come uno dei principali attori politici dello scenario internazionale. Grazie al piano di riforme varato da questo Presidente, e proseguito dai suoi successori, la RPC si è gradualmente affermata come una potenza economica: analizzando la serie storica dell’OECD sulla crescita annuale del Pil reale cinese, infatti, si può osservare come essa abbia oscillato tra il punto di massimo assoluto del 1993, anno di inizio della serie e pari al 13.9%, ed il punto di minimo del 2014, corrispondente al 7.4%. Il rallentamento relativo della crescita può forse essere considerato fisiologico per quella che rappresenta, ormai stabilmente, la seconda economia del pianeta.
La RPC è suddivisa in 33 Province, 11 delle quali godono di uno status speciale per la presenza di caratteristiche peculiari di tipo etnico e/o politico: vi sono 5 Regioni autonome, 2 Regioni amministrative speciali e 4 Municipalità. I rapporti tra Stato centrale e Province sono informati dal principio della decentralizzazione. Le percentuali di spesa pubblica, nella politica cinese di distribuzione del potere tra centro e periferia, sono infatti sbilanciate in favore di quest’ultima: nel 2013 la percentuale di spesa delle Province è stata pari all’85.4% della spesa pubblica totale. Secondo alcuni osservatori tale ripartizione di spesa rappresenterebbe una strategia utilizzata dal Governo centrale allo scopo di contenere al livello locale i moti di protesta. Come è noto, infine, il sistema politico cinese è caratterizzato dalla presenza del partito unico, per cui tra i governatori delle province ed i vertici delle istituzioni statali non esistono conflitti determinati dall’appartenenza a differenti colori politici. Possono tuttavia emergere altre tipologie di conflittualità, riconducibili anche alla volontà di ascesa dei governatori nella gerarchia del potere: il recente caso di Bo Xilai, ex governatore della Municipalità di Chongqing, può forse rappresentarne un esempio di scuola.
Circoscrivendo l’analisi al territorio della Cina meridionale sono due le Province sulle quali può essere utile focalizzare l’attenzione: ci riferiamo al Guangdong ed alla Regione amministrativa speciale di Hong Kong (HKSAR). Il Guangdong è caratterizzato da un’alta concentrazione di popolazione, circa 104 milioni di abitanti secondo i dati del censimento 2010, e dalla più alta produzione di ricchezza tra le Province cinesi: sempre nel 2010, l’11.4% del Pil cinese è stato prodotto in tale spazio. Il baricentro economico di questa Provincia è individuabile nella foce del Fiume delle Perle. I settori industriale e dei servizi si equivalgono per dimensione e le risorse petrolifere presenti nell’adiacente Mar cinese meridionale sono consistenti. L’interscambio commerciale con l’estero, infine, è molto intenso.
Se per analizzare le caratteristiche della Provincia suddetta è importante prestare attenzione agli indicatori economici, una prospettiva più ampia è invece necessaria per il caso dell’HKSAR. Richiamando in estrema sintesi alcuni dati storici, si può ricordare come i confini di questo territorio siano stati politicamente costituiti nel corso XIX secolo. Tre sono le date fondamentali da ricordare: nel 1840, a causa della sconfitta nella Guerra dell’oppio, la dinastia Qing cede l’isola di Hong Kong all’Impero britannico; nel 1860 ad essa viene inglobata anche Kowloon e, nel 1898, l’Impero cinese cede in affitto, sempre ai britannici e per la durata di 99 anni, i cosiddetti New Territories. Deng Xiaoping tratterà poi per via diplomatica con la Gran Bretagna, tra il 1981 ed il 1984, la restituzione dell’enclave britannica: essa viene fissata per l’anno 1997.
Nelle trattative sulla restituzione, la RPC ha offerto per Hong Kong il conferimento di uno status politico speciale, informato dal noto principio del “un paese, due sistemi”. Nel 1997, quindi, si costituisce la Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Quest’ultima, pur con il reintegro alla sovranità cinese, gode quindi di un ampio grado di autonomia: sono riconosciuti ad esempio il pluralismo politico ed elezioni libere, anche se temperate da alcuni significativi correttivi, e le libertà civili e di iniziativa economica privata, nonché l’uso di una propria moneta e bandiera. Tale pacchetto di autonomie viene garantito dalla costituzione hongkonghese, la Basic Law. A livello politico esistono comunque dei punti di frizione tra il Governo cinese e l’HKSAR: i moti di protesta sociale emersi nel 2014, in vista delle elezioni politiche previste per il 2017, ne sono un chiaro esempio. È anche fondamentale sottolineare che lo status politico speciale attribuito ad Hong Kong è a tempo determinato: esso, infatti, è concesso per la durata di 50 anni. Il totale reintegro dell’HKSAR alla sovranità cinese è quindi previsto per l’anno 2047.
Il viaggiatore occidentale che transitando per Hong Kong volesse entrare in Cina, nella cosiddetta Mainland, potrà avere una chiara percezione dello iato esistente tra le due entità politiche. Se l’ingresso nella HKSAR è libero, e viene concesso automaticamente in loco un visto di 60 giorni, il passaggio a nord si caratterizza per l’attraversamento di un vero e proprio confine simbolico e fisico. Si viene controllati in un chekpoint hongkonghese dopodiché, transitando per una no man’s land situata all’estremo nord dei New Territories, bisogna superare il checkpoint cinese muniti di un visto ottenuto nel Paese di provenienza.
Se le distinzioni politiche tra HKSAR e RPC sono evidenti si deve però rilevare che l’integrazione economica tra i due spazi e, in particolare, tra Hong Kong ed il Guangdong, già avviata dai primi anni Ottanta, si è pienamente compiuta nel corso degli anni Novanta. Nel 1980, infatti, Deng Xiaoping ha creato le prime quattro Zone Economiche Speciali (ZES), una delle quali è stata proprio individuata in un piccolo villaggio, Shenzhen, situato nei pressi del confine tra il Guangdong ed i New Territories allo scopo di creare un collegamento economico diretto tra Hong Kong e la RPC. La costruzione strategica del corridoio Hong Kong – Shenzhen ha permesso l’afflusso di ingenti investimenti e capacità manageriali nel Guangdong, trasformando in breve tempo questo spazio in una delle economie più dinamiche ed innovative del pianeta. A trentacinque anni di distanza dall’istituzione della ZES, il villaggio di Shenzhen si è trasformato in una metropoli di circa 10 milioni di abitanti: essa è il terzo centro finanziario della RPC, grazie alla presenza dello Shenzhen Stock Exchange, e rappresenta il nodo strategico cinese nel settore delle telecomunicazioni, dato che qui ha sede l’headquarter di Huawei. Secondo alcuni osservatori ormai Shenzhen è talmente integrata ad Hong Kong da poterle considerare come un esempio di bi-cities.
Le due città suddette sono collegate, attraverso una linea ferroviaria ad alta velocità, alla capitale politica del Guangdong. Viaggiando a 300 km/h, da Shenzhen è possibile raggiungere la capitale provinciale Guangzhou, nota in occidente come Canton, in circa un’ora. L’asse Hong Kong – Shenzhen – Guangzhou è strategico per la RPC. Nel contesto di un’economia mondiale intensamente integrata tale asse strategico ha tessuto relazioni, sia economiche che politiche, con molti spazi esterni alla RPC. Se è vero che questo Paese agisce a livello di relazioni internazionali, come da tradizione, in modo centralizzato, mantenendo quindi le funzioni di politica estera in seno al Governo centrale, è anche vero che, sia a livello provinciale che di municipalità, sono diffuse le pratiche di relazioni esterne tra gli enti subnazionali cinesi con i loro omologhi di Paesi esteri. Tale tendenza sembra in linea con il rinnovato protagonismo di cui ovunque nel mondo sono interpreti le città. Secondo il centro di ricerca inglese Globalization and World Cities, infatti, Hong Kong rappresenta la terza città mondiale per importanza, mentre Guangzhou e Shenzhen sono classificate come città mondiali di categoria immediatamente inferiore. Ciò significa che, secondo la ricerca citata, queste tre città rappresentano nodi importanti della rete delle città mondiali e, perciò, connettere una città estera a tali nodi potrebbe rivelarsi una strategia, politica ed economica, vincente, a condizione che sia ovviamente ben pianificata e condotta.
Se, dunque, il setting delle relazioni internazionali della RPC viene definito dal Governo cinese, al livello subnazionale è concreta l’esistenza di finestre di opportunità, per gli enti subnazionali esteri interessati, di tessere relazioni politiche in Cina, anche finalizzate al perseguimento dello sviluppo locale. Nella Provincia del Guangdong e nell’HKSAR, in riferimento al caso italiano, sono già attivi da tempo vari attori, sia economici che istituzionali. Per quanto riguarda quelli economici sono circa 150 le imprese che, secondo dati relativi al 2010, risultano operative in questo spazio: dalle grandi imprese come Luxottica, ST Microelectronics ed Eni sino all’umbra Sicoma srl. La diplomazia italiana è attiva invece con un Istituto di cultura nell’HKSAR ed un Consolato generale a Guangzhou. L’ICE-Agenzia, infine, è presente sia a Guangzhou che ad Hong Kong con i propri uffici di rappresentanza.
Nonostante il ruolo sempre crescente degli enti subnazionali cinesi, tuttavia, il comparto istituzionale italiano non sembra aver ancora maturato, in linea di tendenza generale, la consapevolezza della loro decisiva importanza strategica. Proprio in questo spazio, invece, sarebbe importante andare alla ricerca delle connessioni istituzionali utili all’attrazione di quei fattori esogeni dello sviluppo locale dai quali, in un contesto di intensa globalizzazione, sembrerebbe impossibile prescindere. Molto tempo prezioso è stato dissipato, ma non tutto è ancora perduto. Il vero interrogativo, dunque, è se le élite politiche italiane sapranno dimostrarsi lungimiranti e perseguire la strada dell’approfondimento delle relazioni con le suddette città mondiali. In alternativa, l’arroccamento su un localismo autoreferenziale rappresenterebbe con ogni probabilità un fardello economico insostenibile per le future generazioni.
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