di Fabio Polese
Da tempo inchieste e reportage in diverse parti del mondo – soprattutto negli Stati Uniti – vengono finanziati attraverso il “crowdfunding journalism”, un giornalismo partecipativo che permette a singoli individui di fare una donazione per sostenere una determinata iniziativa.
In Italia per raccontare i fronti più caldi del mondo, sperimentando questa nuova forma di giornalismo, ci ha provato con grande successo “il Giornale” grazie al progetto “Gli occhi della guerra”, che in meno di un mese ha raccolto le somme stabilite per due reportage: “Afghanistan Goodbye” di Fausto Biloslavo e “Libia, il nostro petrolio è in pericolo” di Gian Micalessin.
«Il reportage rischia di essere messo in secondo piano e per questo è arrivato il momento di capire, anche attraverso il web, quelli che sono gli interessi del lettore e realizzare un prodotto di qualità». A parlare a “Istituto di Politica” è il reporter di guerra Gian Micalessin: «L’idea del progetto “Gli occhi della guerra” è nata da una riflessione tra me, Fausto Biloslavo e i responsabili del sito web de “il Giornale” per portare risorse ai reportage in un momento in cui l’editoria è in crisi».
Il giornalismo, soprattutto quello nelle zone di guerra, è cambiato. «Trent’anni fa, quando ho iniziato a fare questo lavoro», continua Micalessin, che nel 1983 insieme a Fausto Biloslavo ed Almerigo Grilz ha fondato la “Albatross Press Agency” – un’agenzia specializzata in reportage nelle aree di conflitto -, «raccontavo le guerre dimenticate e per realizzare alcuni servizi, come in Angola, in Afghanistan o nello Sri Lanka, stavo fuori per mesi. Quel giornalismo era considerato comunque attuale perché era un lavoro che non aveva concorrenza».
E adesso? «Adesso il giornalismo è immediato. Quelle che noi definiamo notizie vengono bruciate in poche ore dopo che le abbiamo viste sul web, sulla televisione o l’indomani, quando le leggiamo sui quotidiani».
Il reportage, tuttavia, permette ancora di analizzare e raccontare quello che resta in disparte rispetto all’informazione di massa. «Quando ero in Siria, a settembre», spiega ad esempio il reporter, «ho riportato cose che sostanzialmente faticavano ad arrivare nei nostri media. Ho raccontato la tragedia dei cristiani di Maaloula minacciati dal fondamentalismo e dal terrorismo islamico». Il reportage, dunque, resta attuale perché «consente di raccontare quelle realtà che vengono dimenticate dalla “notizia”».
«Se fai una proposta affascinante, c’è ancora chi è disposto a pagare pur di riuscire ad avere un certo tipo di informazione» e il risultato del progetto “Gli occhi della guerra” ne è un esempio concreto. «Anche per noi è stata una sorpresa», spiega Micalessin, «non ci aspettavamo questo successo in così poco tempo. Adesso spetta a noi soddisfare l’interesse dei lettori e delle persone che hanno contribuito». Quando inizieranno i due reportage? «Quello sulla Libia inizierà fra poco, giusto il tempo di predisporre i contatti e procurarsi il visto. Il reportage sull’Afghanistan comincerà a marzo».
Ma non è tutto, il progetto lanciato da “il Giornale” attraverso il “crowdfunding”, non si ferma qui: «L’idea», conclude Micalessin, «è quella di aprire ad altri giornalisti e diventare una vera e propria piattaforma su questo tipo di informazione».
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