di Luidi Di Gregorio

In attesa dei risultati della nostra tornata di elezioni amministrative, può essere utile qualche riflessione sulle elezioni presidenziali in Francia e sulle elezioni politiche in Grecia.

La prima riflessione riguarda analogie e differenze tra i due paesi. L’analogia è ovviamente connessa alla volontà di cambiamento evidente tanto in Francia – non solo per la vittoria di Hollande, ma forse ancor di più per i risultati del primo turno e di Marine Le Pen in particolare – quanto in Grecia dove i primi due partiti hanno perso in 3 anni oltre il 45% dei consensi. Una volontà di cambiamento che chiama in causa il rapporto con la Germania e con le sue scelte di politica economica e finanziaria, ma probabilmente chiama in causa l’intera architettura dell’Unione Europea, mai così a rischio a mio modo di vedere.

La differenza, altrettanto evidente, è che la Francia ha dimostrato, ancora una volta, di essere una Nazione. La Grecia in questo momento è un paese allo sbando, in ginocchio per la crisi finanziaria e alla ricerca di una maggioranza politica che la tiri fuori dall’incubo. Politicamente c’è un abisso tra i due paesi. In Francia, Hollande è il Presidente di tutti: della République e della France. Sarkozy ha cercato una rimonta in extremis attaccandosi al tricolore, alla Patria, alla sovranità nazionale. Ma in Francia non esiste un partito a rappresentare la nazione e l’interesse nazionale. Sono, per certi versi, tutti partiti nazionalisti, perché lì l’identità nazionale c’è ed è molto radicata, da sempre. Pertanto anche il “budino” Hollande è riuscito a battere l’Imperatore Sarkò semplicemente lucrando sugli errori di quest’ultimo. Errori strategici che hanno messo in discussione un dogma francese: la sovranità nazionale, appunto. Nessuno detta le regole alla Francia. E se un leader francese appare succube di un leader straniero, ben venga anche il “budino” Hollande a sostituirlo.

In Grecia, la situazione è diametralmente opposta. La nazione non esiste, se non sulla carta. È piegata da una situazione economica da default conclamato e da uno scenario politico assolutamente indecifrabile. Nonostante una legge elettorale con soglia di sbarramento al 3%, con un premio di maggioranza di 50 seggi (su 300 totali) e con circoscrizioni mediamente molto piccole (che favoriscono i partiti maggiori nell’assegnazione dei seggi), il prossimo esecutivo sarà sostenuto da una maggioranza di almeno 3 partiti. E in Parlamento ce ne saranno ben 7. L’esecutivo “presunto” sarà composto da ND-Pasok-Dimar, con una maggioranza di 8 seggi. Il problema è che tale maggioranza ha preso complessivamente il 38% dei voti. Oggettivamente, data la situazione del paese, non so quanto possa durare e addirittura non so se riuscirà a vedere la luce questo nuovo governo, con un’estrema sinistra oltre il 25% (Syriza + KKE) e un’estrema destra oltre il 17% (AE + LS).

Tirando le somme, in Francia c’è un Presidente di tutti e legittimato da tutti – in primis dallo sconfitto Sarkozy – che al primo turno aveva solo il 28% dei consensi. In Grecia la presunta maggioranza che vanta il 38% di voti appare totalmente delegittimata da un voto di protesta “bidirezionale” che chiede un totale cambio di rotta e un esecutivo diverso da quello che dovrebbe costituirsi.

La “lezione” che si può trarre da queste due elezioni è a mio avviso la seguente: nel pieno della crisi internazionale e con un’Unione Europea sempre più debole (e una moneta unica a questo punto a rischio), occorre uno scatto d’orgoglio nazionale che l’Italia non ha ancora fatto dall’Unità ad oggi. Orgoglio nazionale non vuol dire autarchia né nazionalismo spinto. Vuol dire condividere la Nazione come “obbligazione liberamente vissuta”, sotterrare l’ascia di guerra e pensare all’Italia prima di tutto. Parafrasando le parole di Sarkozy di ieri sera, con la sconfitta ancora cocente: “C’è qualcosa molto più grande di noi, è il nostro paese, la nostra Patria”.

 

 

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