di Danilo Breschi
“Fascisti”, o “sfascisti”, a seconda dei gusti e della necessità di essere alla moda, e la variante sempre utile di “squadristi”, e poi ancora “teppisti”, fino alla dichiarazione di Enrico Letta secondo cui “la corsa verso la barbarie intrapresa da Grillo pare senza fine”. E chi più ne ha più ne metta. La retorica della contro-indignazione è abbondante tanto quanto quella della indignazione giustizialista, di cui i 5 stelle sono figli ben coccolati da quel volpone di Beppe Grillo, navigato uomo di spettacolo. Conosce bene la gestione dei tempi e delle battute con le quali ammaliare un pubblico ben disposto a riversare sugli altri frustrazioni o rancori personali.
Il Movimento 5 Stelle è l’ennesimo sintomo del malessere italiano. Non ne è certo un rimedio. È l’ennesimo esempio di movimento politico fondato sul risentimento, quel sentimento ben descritto da Nietzsche come meccanismo psicologico di rifiuto e di giustificazione che, al contempo, produce e proietta. Un modo con cui l’ego di ciascuno isola il proprio senso di colpa e lo scaraventa sul capro espiatorio di turno, creandosi una morale ad hoc, che poi dilaga nella misura in cui il contesto sociale generale induce i più a sentirsi frustrati nelle proprie aspirazioni e aspettative. Una situazione di crisi economica prolungata è l’ideale per innescare un simile meccanismo psicologico e creare una morale diffusa e condivisa di risentimento, mascherato da indignazione e dal ripetuto slogan: “Vergogna! Vergogna!” rivolto agli altri. Chi? Oggi sono i politici. Di responsabilità, anche gravi, questi ne hanno molte, moltissime. La prima e più importante è l’inerzia e l’incapacità di fare quello che sono chiamati a fare: analizzare con cognizione di causa i fattori di crisi, affrontarli di petto, con intelligenza e decisione. Qui, spesso, si dà la sensazione di non provarci nemmeno.
Ci meravigliamo del comportamento dei 5 Stelle in queste ultime settimane? Beh, la memoria corta di un’epoca tanto informata quanto privata di senso storico ci fa dimenticare che non più tardi di vent’anni fa, poco più poco meno, la Lega Nord, sempre a Montecitorio, aizzava gazzarre non meno pittoresche. Forse un po’ meno manesche, o irruenti, ma non sempre peraltro. E chi conosce la storia delle opposizioni nella Repubblica italiana sa bene come talora si siano superati di gran lunga i limiti del buon gusto e del rispetto delle regole formali e sostanziali. Per fortuna, con la protesta della deputazione europea a Strasburgo nei confronti del proprio Presidente Napolitano, la Lega ci ha ricordato in questi giorni che i 5 Stelle non sono i primi, non sono i soli, e non saranno certamente gli ultimi nella lunga illustre storia della canea demagogica. Del resto lo sappiamo bene, la democrazia come ogni corpo ed ente presente su questa terra possiede un’ombra sagomata dalla luce che lo investe. L’ombra della democrazia è la demagogia. Un po’ è inevitabile. È il segno che non è perfetta. Se lo fosse, non sarebbe democrazia, e dunque non adatta all’essere umano, al più perfettibile. E sono sempre da preferirsi i sistemi a misura d’uomo, e di donna.
Teniamoci pronti: da oggi in poi, fino al concludersi della campagna elettorale per le elezioni europee ne vedremo delle belle. In tutta Europa, beninteso. Una gara a chi la spara più grossa in termini antieuropeistici, a chi compie il gesto più eclatante, a chi fa più rumore. E, come spesso accade in Italia, sarà molto rumore per nulla. Da un lato dico: per fortuna! In altri tempi, inneggiare alla “Resistenza” o dare del “fascista” all’avversario voleva davvero dire ridurlo allo stato di nemico “interno” e “assoluto”, la cui eliminazione fisica poteva addirittura finire con l’essere giustificata. Nonostante tutto quel che era già successo nella prima metà del Novecento. Dopo aver avuto nel Belpaese, tra il 1° gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987, ben 491 vittime del terrorismo, 1181 feriti e 14591 atti di violenza “politicamente motivati” contro persone e cose (stime ufficiali elaborate su dati del Ministero dell’Interno), gli italiani hanno detto proprio come Forrest Gump dopo la sua corsa ininterrotta per tutti gli Stati Uniti: “Sono un po’ stanchino. Credo che tornerò a casa ora”. Dunque, tutti a casa dopo aver urlato, inveito, gettato molotov e pistolettato allegramente per oltre un decennio nelle piazze e nelle strade di mezza Italia. E dopo aver giustificato, se non aizzato, da molte cattedre e redazioni. Dal 1969 al 1984 non è trascorsa settimana senza attentati di maggiore o minore rilievo. Tra 1976 e 1980 abbiamo avuto la bellezza di 5 episodi di violenza politica al giorno (stessi dati ufficiali). Se c’è qualcosa di positivo in questi tempi che molti definiscono “postmoderni”, da fine delle “grandi narrazioni” ideologiche, c’è che siamo tutti un po’ esauriti. Tutti sull’orlo di una crisi di nervi. Siamo passati cinematograficamente da Marco Bellocchio a Pedro Almodovar. E via con la movida. Questa è la protesta oggi in Italia.
Ma vi meravigliate davvero del comportamento dei 5 Stelle? Ma allora siete già stati addormentati dal martellamento massmediatico degli ultimi vent’anni. Beh, in fondo sarebbe più che comprensibile. Vent’anni di delegittimazione crescente delle istituzioni, di cui anche i partiti son parte, piaccia o no, non sono pochi. E gli ultimi 7 anni sono stati ancor più furiosi. Ma avete presente cosa sono i servizi giornalistici di qualsivoglia trasmissione che parli di politica? Certo, i nuovi rappresentanti della politica negli ultimi due decenni ci hanno messo del loro, e tanto. Ma d’altronde sono anch’essi figli di una “mediatizzazione” della discussione politica, che poi è fenomeno globale, che poi vuol dire, qui da noi, come e più che altrove, traduzione del dibattito e della riflessione sotto forma di spettacolo comico od opera buffa (e qui l’Italia vanta una più o meno nobile tradizione, da Goldoni in poi, e non è un caso che l’ultimo Nobel per la letteratura l’abbiamo vinto con Dario Fo). Ultimo, ma solo in ordine di tempo, è il più serio e blasonato quotidiano nazionale, il “Corriere della Sera”. Ben tre pagine, dalla prima alla terza, dedicate al rapporto europeo sulla corruzione che in Italia peserebbe per 60 miliardi di euro, cioè il 4% del PIL. Poco spazio ad analisi critiche e anche demistificatrici, come dovrebbe essere del giornalismo inteso in senso proprio. Un articolo di Davide De Luca su “Il Post” di Luca Sofri smonta il rapporto, e ne dimostra la totale infondatezza, l’assurdità dal punto di vista delle scienze statistiche e contabili. Dati alla mano; ma, come ha scritto oggi Francesco Forte su “Il Foglio”, “nel regime moralista i numeri sono un optional”. Quel che si vuole e si cerca è solo suscitare, solleticare indignazione e nuove grida allo scandalo. E così l’ennesimo via libera, con tanto di spinta sussiegosa, a quel moralismo inteso come la politica praticata con altri mezzi, perché la politica richiede intelligenza, studio e coraggio. Insomma fatica, tanta fatica, e pazienza. Il moralismo come surrogato della politica dilaga da ormai troppo tempo in Italia. Aggiungo io: un oggetto modificabile a proprio uso e consumo, anche in corpo contundente.
Perché lo si fa? Oscure macchinazioni politiche? Macché! Non credo proprio. Tutt’al più qualcuno cerca di alzare polveroni per mantenere le cose come sono sempre state. Ma fino ad un certo punto, perché costoro sono i primi a sapere bene che per alimentare l’istinto di conservazione non c’è bisogno di profondere molto impegno in Italia. Piuttosto è una logica di marketing. Di vendita del prodotto. Tutto ciò che solletica il risentimento, anzi il Ressentiment (come avrebbe detto e scritto Nietzsche), va via come il pane. Anche in tempi di diete macrobiotiche e mode vegane. E allora c’è poco da stupirsi dei turpiloqui e delle fanfaronate, quando non si dice e si vede di peggio, e quindi gesti volgari o violenti esibiti con grande impegno attoriale dagli scranni del Parlamento. Ha ragione Piero Degli Antoni, nell’editoriale di ieri su “La Nazione”: “Tutta l’Italia, deputati compresi, è solo un grande Festival di Sanremo. […] Una nobile gara a chi strilla di più, e chi non sa cantare magari si accontenta di minacciare di buttarsi giù dalla galleria”.
Per concludere: state tranquilli. Nessuna paura. Le streghe non son tornate, né tanto meno i diavoli, o i fascisti. Nemmeno gli anni di piombo. Quanto a Grillo, le sue 5 stelle sono in caduta libera. Il 25% di un anno fa va inteso come punto di arrivo, non di partenza. Frutto di una congiuntura del tutto particolare, ottimamente sfruttata. Certo, resta quel contesto di gusto sadomasochista allo sfascio e al fermarsi sempre e soltanto allo stadio dell’indignazione (d’altronde non siamo un popolo di calciofili e tifosi?) che i media alimentano a palate di intercettazioni e avvisi di garanzia provenienti da molte procure o agenzie ad hoc e pubblicati di gran lena. Questo è il vero problema etico, di costume nazionale, nel quale siamo precipitati. Problema ben più grave di Grillo e dei suoi pentastellati, perché questi presto passeranno ma resta lì, immobile e pesante, il terreno sociale e culturale allagato dal moralismo ipocrita che fa da alibi alla paralisi dell’intelligenza e delle volontà politiche. Si dice che quando cade una stella si debba esprimere un desiderio. Ecco, mentre cadranno ad una ad una le cinque stelle, esprimiamo il desiderio che si torni al pensiero e alla pratica politica. Basta con l’antipensiero becero. Ma si tratta di un desiderio che ci chiama tutti in causa. Per opere e omissioni.
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