di Davide Parascandalo

La televisione di Stato di Pyongyang ha trasmesso pochi giorni fa le immagini della rimozione, ai vertici del regime, di Jang Song-taek, vicecapo della Commissione Nazionale di Difesa, nonché zio dell’attuale dittatore Kim Jong-un (entrambi sono ritratti nella foto a fianco), confermando dunque la notizia riportata qualche giorno fa dai servizi segreti sudcoreani durante un’audizione parlamentare. Le accuse vanno dalla corruzione, al doppiogiochismo, fino all’imperdonabile onta di aver adottato uno stile di vita capitalistico. In aggiunta, sembra siano stati giustiziati pubblicamente due suoi collaboratori e consiglieri del dipartimento amministrativo del Partito dei Lavoratori, anch’essi accusati di “corruzione e attività contraria alla missione rivoluzionaria del partito”. Adesso è arrivata la notizia che anche Jang Song-taek è stato ucciso per essersi macchiato di “tradimento”.

Difficile al momento valutare l’impatto sui futuri assetti di potere del regime guidato dal giovane Kim, figlio del “Caro Leader” Kim Jong-il, scomparso nel 2011. L’ultimo avamposto stalinista del pianeta presenta caratteri alquanto peculiari; quella nordcoreana, dall’impronta decisamente totalitaria e nazionalista, è una dittatura fortemente intrisa di elementi confuciani. Si tratta perciò di una sorta di totalitarismo teocratico dove la trasmissione del potere avviene in linea diretta, potremmo dire dinastica (un unicum nel mondo comunista). Con l’aggravarsi della malattia di Kim Jong-il, la transizione che avrebbe condotto al potere l’attuale leader, figlio minore della terza moglie, è stata gestita dal cosiddetto “gruppo di accompagnamento”, la cui figura di spicco era rappresentata proprio da Jang Song-taek, marito di Kim Jong-hee, la sorella del vecchio leader.

L’epurazione-esecuzione di Jang apre degli scenari del tutto nuovi considerando che il giovane Kim, sin dal momento della sua ascesa, ha rappresentato un punto interrogativo, in particolar modo in relazione alla reale entità del suo potere. In effetti, molti analisti hanno ipotizzato che egli fosse soltanto uno strumento nelle mani del gruppo di accompagnamento. Ma l’eliminazione dello zio potrebbe confermare la reale capacità del nuovo leader di gestire il comando, ponendosi come il riferimento degli stessi vertici dell’esercito, istituzione apicale della struttura statale nordcoreana. Jang è stato di fatto rimosso dalla Commissione Nazionale di Difesa, l’organo politico di gestione dei militari, ma anche organo amministrativo di gestione dello Stato. Questa struttura rispecchia fedelmente il principio della “Nazione Armata” che vige nel Paese ed è la trasposizione concreta della cosiddetta strategia del Songun, inaugurata da Kim Jong-il e imperniata sulla centralità assoluta dell’esercito. A tal proposito, non si dimentichi che il nuovo leader è anche il comandante supremo dell’Armata del Popolo. Con l’eliminazion fisica di Jang Song-taek, numero due del regime, il potere di Kim Jong-un sembra pertanto rinsaldarsi, delineandosi con maggiore chiarezza la sua posizione di perno centrale dell’esercito, del partito e dello Stato.

C’è un’ulteriore epurazione che, avvenuta lo scorso luglio, può inscriversi senza dubbio in questo processo di consolidamento del potere: quella della matrigna Kim Ok, quarta moglie e “vedova ufficiale” del padre. Rimane tuttavia ancora da capire la portata dell’influenza esercitata dai militari sui processi decisionali. In effetti, appare incerto se l’epurazione di Jang debba essere collocata nel quadro di un avanzamento della fronda più conservatrice oppure se, come testimoniato mesi orsono dalla nomina a primo ministro del riformista Pak Pong-ju, il nuovo leader abbia la possibilità e la volontà di affermare una linea più riformatrice (termine da utilizzare con estrema cautela, vista la natura del regime in questione). Molti specialisti ritengono infatti non azzardato supporre che Pak possa adottare politiche economiche volte a permettere una parziale liberalizzazione del mercato. Ciò potrebbe garantire un minimo di ossigeno ad un Paese stravolto e sfiancato dalla povertà, dove il 19% del Pil è dirottato sul comparto militare.

Le stesse tensioni scoppiate nella scorsa primavera, con le minacce di Pyongyang rivolte a Stati Uniti e Giappone, possono essere considerate come lo strumento di una precisa tattica finalizzata a riaprire il tavolo delle trattative con Washington per cercare di alleviare le pesanti sanzioni cui è sottoposto il Paese. Insomma, sia la nomina a primo ministro di Pak Pong-ju che le velleitarie minacce rivolte agli Stati Uniti (funzionali peraltro al compattamento della popolazione a sostegno del regime) non sarebbero altro che segnali in codice tesi a far intendere timide seppur importanti aperture nel solco di un’incipiente volontà di riformare la struttura economica nordcoreana.

Il nuovo leader appare dunque in grado di emanciparsi dalla tutela di figure alternative, e alcune mosse sembrano testimoniare una certa capacità di visione strategica. Tuttavia, la Corea del Nord continua ad essere un Paese totalmente impermeabile, e soltanto le future manovre del regime potranno forse far luce sulla reale portata dei cambiamenti in atto, chiarendo se si stia assistendo ad una torsione conservatrice ispirata principalmente dall’apparato militare o, per contro, se l’eventuale consolidamento del potere da parte di Kim nasconda e rifletta effettivamente risvolti riformatori. In ogni caso, un baluardo resterà certamente ben saldo: lo sviluppo del programma nucleare, obiettivo primario di un regime che si percepisce insidiato sin dalla sua nascita, quando al Paese venne imposta la parola d’ordine dello Juche, la via dell’autoreferenzialità, una via che ha permesso sinora ad uno dei regimi più granitici e impenetrabili mai esistiti di evitare l’implosione.

 

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