di Raul Gabriel*

Questi sono tempi cruciali. Una frase che i contemporanei di ogni epoca, si potrà ribattere, avrebbero potuto formulare. Vero. Forse. La crucialità della nostra epoca però ha caratteristiche che la rendono nuova e più temibile.

Si sta verificando un profondo cambiamento semantico e linguistico, che sottende un cambiamento di significato, in una forma nuova, “cruciale” per virulenza e sottigliezza . L’articolo di Alessandro Campi Perché Steve Jobs non mi ha cambiato la vita mi ha dato il la per alcune riflessioni a riguardo partendo da una prospettiva differente, quella dell’arte, da cui provengo e a cui le scelte estetiche della Apple fanno l’occhiolino. Arte non è design, bellezza non è piacevolezza, e genio non è la generazione dei ragazzotti della Silicon Valley ansiosi di successo in sincrono con gli yuppies di Wall Street, la cui ascesa e caduta ha contribuito fortemente alla crisi mondiale che viviamo oggi.

Il caso Jobs con la sua agiografia istantanea e ben confezionata è emblematico del sottile e rovinoso spostamento progressivo dei significati.

Pensiamo ai recenti santoni della virtualità. Da Microsoft, Facebook, Google, ad Apple: identificati come opere geniali della contemporaneità. Ma la parola genio non merita qualcosa in più della invenzione (a fini commerciali) di piattaforme che sono in sostanza tools relazionali e di gestione del mare della conoscenza binaria (internet, software etc.)? Forse il tratto di genialità potrebbe essere identificato con la scoperta del concetto nativo di http, “forse”. Il resto è frutto di grandi intelligenze settoriali che hanno fatto di una necessità il proprio affare.

Invece viene artatamente costruito il mito del genio, del valore assoluto, identificato in Napster piuttosto che in Zuckerberg. Versione del genio formato centro commerciale, vendibile, remunerativo e sedativo.

Il caso Apple ha aggiunto un nuovo livello, più sofisticato ma ancora più devastante in termini di consapevolezza e di coscienza. Qui si è cominciato a parlare di bellezza… peggio, si è identificata questa bellezza con quella bellezza che per intendersi salverà il mondo, come afferma il principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij.

La bellezza, in tecnologia, è piacevolezza, linea seduttiva, funzionalità… caratteristiche ottime ma che nulla hanno da spartire con un concetto di bellezza ben più profondo. Che nulla ha a che vedere con l’anestesia del conforto estetizzante, ma anzi stimola una inquietudine vitale e faticosa. La bellezza vive di inquietudine, la piacevolezza (la rifinitura estetico-tecnologica nel caso specifico) tenta di “appianarla”. I riti mediatici che santificano i profeti della piacevolezza sono parte di una operazione che si sta compiendo in profondità: la graduale sostituzione del riferimento. Con i necrologi stile Jobs, si insegna che il valore della bellezza è la usabilità naturale di un ipod e non una strofa di William Blake o le temperature acide di El Greco o l’articolazione di un pensiero di Heidegger. Questo processo finisce per creare una nuova sintassi emozionale, logica e sociale, per cui vocaboli e categorie assumono valori sensibilmente differenti. Il vocabolo sottende il concetto ed il baratto del primo causa quello del secondo. Mai come in questi tempi, chiunque voglia ammantare il proprio discorso di un’aura “profetica” ed accattivarsi la simpatia dell’audience, utilizza a sproposito il termine bellezza spesso riferendosi proprio al povero Dostojevskij.

Le conseguenze sociologiche e politiche sono inevitabili.

Quanto siano comode da gestire per il mercato le generazioni che si formano alla luce di questi nuovi vocabolari, è facile intuirlo. E quanto sia facile propinargli teoremi e personalità politiche anch’esse di plastica ma apparentemente “usabili” come una qualsiasi protesi tecnologica dotata di piacevolezza è facile constatarlo.

La tecnologia è protesica per definizione (vedi la conclusione della Coscienza di Zeno). L’apparato protesico nel costante utilizzo da strumento si trasforma in soggetto. La sua funzione viene lentamente sostituita dal suo “corpo”, e lo strumento diviene non più tramite ma fulcro e meta del rapporto relazionale.

Ecco lo spostamento. La funzione passa in secondo luogo rispetto al feticcio. La relazione diviene una relazione con l’oggetto e non più con gli altri o noi stessi.

Tutto sparisce dietro l’oggetto, dietro questa ramificazione protesica. Il fatto, già di per se esiziale, non è ancora il punto d’arrivo. Il processo non è cosciente e non è identificato da nuovi termini, e ciò lo rende inconsapevole e più velenoso. Un sms è sempre più spesso solipsistico esercizio del proprio rapporto con l’oggetto che una comunicazione con il mondo. Ma lo chiamiamo sms comunque. Gli stessi gesti diventano altro senza cambiare nome.

L’oggetto tecnologico diventa il centro. I suoi attributi diventano piccoli assoluti che sostituiscono le categorie precedenti. Ecco che uno non si chiede più la bellezza cos’è: la risposta è immediata. È la naturalezza delle linee di un iphone e la sua indubbia fluidità d’uso.

È necessario smettere di utilizzare la parola bellezza, la parola genio, la parola rivoluzione, la parola arte, la parola politica in formato discount. Solo una consapevolezza interiore che diventa gesto e linguaggio può tentare di opporsi alla ascesa dei significati di plastica. Gli interessi del mercato che Steve Jobs, come i guru del virtuale, hanno cavalcato e contribuito a sviluppare esponenzialmente saranno comunque sempre contro, naturalmente contro. Le grandi innovazioni, la usabilità ed estetica non sono in dubbio. Il problema è che sono diventate merce di scambio esistenziale, assurgendo a valori che non sono loro prerogativa.

Stay hungry stay foolish, è frase ad effetto, ma pienamente compiuta solo da Steve Jobs e a titolo personale, ad epitaffio del suo proprio successo, che è anche lecito, se non contrabbandato per la volontà eroica di contribuire alla crescita dell’essere umano.

Alle masse, con le code chilometriche per accaparrarsi il nuovo wired gadget, a costo della lotta fisica, nella ricostruzione postmoderna di un paleolitico di plastica, sembra sia rimasto solo il “foolish”.

* Artista, scrittore, regista

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