di Alessandro De Angelis

Tra gli effetti che ha prodotto la scelta berlusconiana di rientrare in partita, addirittura nella veste di candidato premier alle prossime elezioni politiche, c’è quello di aver messo in braghe di tela il centro: vale a dire quella congerie di partiti, gruppi e sigle che da mesi va affollandosi nella zona mediana dello schieramento politico. Una realtà che numeri alla mano vale – secondo le stime e sommando tutti i soggetti insieme – dal 10 al 15%; dunque non molto, ma che politicamente ha sin qui avuto la pretesa e l’ambizione di presentarsi come una forza decisiva e condizionante in vista delle prossime consultazioni.

Il centro, come si sa, è ad oggi disunito, privo di un progetto politico e di un leader che possa rappresentarlo agli occhi degli italiani. Per meglio dire, di leader potenziali ne ha almeno quattro o cinque, tutti molto ambiziosi ma tutti egualmente deboli, il che equivale a non avere nessuna guida politica. La piattaforma del centro, per mesi, si è riassunta in una formula all’apparenza efficace ma al dunque vuota: “Monti dopo Monti”. Che andava bene all’inizio, quando il governo tecnico da poco insediato godeva del consenso della maggioranza degli italiani, ben felici di essere stati salvati dal baratro in cui il Paese era finito. Ma che utilizzata oggi rischia di essere un boomerang, dopo un anno in cui i famosi tecnici – in realtà si tratta di burocrati di Stato, che è cosa diversa – hanno dato prova di non essere stati sempre all’altezza dei loro compiti.

Certo, Monti ha un profilo politico e culturale (e anche uno spessore professionale) che lo rende in effetti diverso dai componenti del suo stesso esecutivo. Per paradosso si potrebbe dire che è il meno tecnico tra i tecnici al governo, avendo dato prova in molti passaggi di una grande sensibilità politico-istituzionale e persino di una certa scaltrezza. Ma il centro che lo sostiene a spada tratta da un lato non ha avuto l’intelligenza, per così dire comunicativa, di separare la figura e il ruolo di Monti da quella di un esecutivo che gli italiani hanno smesso nel frattempo di apprezzare; dall’altro, ha utilizzato il nome di Monti – tenuto dal suo ruolo a muoversi in modo non partigiano e sempre assai prudente – in un modo che è parso al tempo stesso abusivo, imprudente e politicamente improvvido.

Il risultato di questa strategia (parola grossa…) è che al momento in centro ha poco in mano. I sondaggi sono impietosi, se si considera che lo sfaldamento del fronte berlusconiano ha fatto guadagnare poco o nulla alle formazioni cosiddette moderate. E come se non bastasse la mossa di Berlusconi ha complicato ulteriormente le cose.

A questo punto, infatti, ci sono dinnanzi agli elettori (con le elezioni ormai alle porte) tre proposte o offerte politiche abbastanza ben delineate. Innanzitutto quella del centrosinistra, guidata da Bersani, che si è definita grazie alle primarie, che al momento comprende il Sel di Vendola, i socialisti e il Partito democratico, ma che in prospettiva potrebbe anche inglobare il cosiddetto “partito dei sindaci” (De Magistris, Emiliano, forse Pisapia) e qualche spezzone di centro strutturalmente orientato a sinistra (un personaggio, per capirci, alla Tabacci).

C’è poi il movimento 5stelle di Beppe Grillo, che rappresenta ormai una realtà stabile del panorama politico: forse accreditato di un consenso superiore a quello che effettivamente riscuoterà alle elezioni politiche (dove si finisce per votare con modalità assai diverse da quelle delle amministrative e dove, al momento fatale di mettere la scheda nell’urna, non sempre si sceglie secondo quanto si è detto o pensato nelle settimane precedenti), ma pur sempre da considerare un blocco ormai ben definito dal punto di vista dell’immagine e dei contenuti. E ora anche dei potenziali candidati, essendosi da poco conclusa la votazione online per la loro scelta da parte della base (le cosiddette “parlamentarie”, per distinguerle dalle “primarie”).

Infine, abbiamo finalmente risolto lo psicodramma che da settimane attanagliava il Popolo della libertà e più in generale il centrodestra di matrice berlusconiana. Il Cavaliere ha finalmente sciolto la riserva: si candiderà e come primo passo ha di fatto sfiduciato il governo tecnico che per mesi aveva più o meno docilmente sostenuto. Ha messo la parola fine sulle primarie e ha di fatto riaperto le porte alla Lega in vista di una nuova alleanza. Al tempo stesso ha fatto capire che la sua campagna elettorale avrà come bersaglio proprio Monti, le tasse, l’Europa e – al solito – i comunisti.

Quello che agli elettori a questo punto non appare chiaro è cosa voglia il centro, da chi sia effettivamente formato e quale leader effettivo abbia, con quale cartello di forze e con quali idee si presenterà al voto. Il centro, in questo momento, è un buco nero, o se si vuole un mistero, o un problema irrisolto. È umo spazio politico dai contorni vaghi all’interno del quale, peraltro, cominciano a manifestarsi i primi screzi sul piano politico e personale. L’idea di un Terzo Polo che dovrebbe ricomprendere, per lo meno, l’Udc di Casini, il Fli di Fini e il movimento “Verso la Terza Repubblica” ispirato da Montezemolo (che a suo volta ingloba la Fondazione di quest’ultimo Italia futura, le Acli, la Cisl e la Comunità di S. Egidio) non appare infatti così scontata agli occhi stessi dei protagonisti. È venuto fuori, ad esempio, sondaggi alla mano, che se l’obiettivo di questo Terzo Polo è di guadagnare voti moderati provenienti dal Pdl e attualmente parcheggiati nell’area dell’astensionismo la presenza del Presidente della Camera all’interno del cartello non è di grande aiuto. Anzi, rischia di essere controproducente.

Certo, c’è sempre la possibilità che Monti – ora che il suo governo è arrivato al capolinea – si decida finalmente a sciogliere la riserva e accetti di guidare un cartello o coalizione centrista, d’ispirazione riformista e cattolico-liberale. Questa sarebbe in effetti una grande novità, destinata a modificare il significato dell’imminente scontro politico. Il candidato virtuale del centro diverrebbe il candidato effettivo. Ma se ciò non dovesse accadere, il centro – a meno che non si inventi qualcosa nel giro di due-tre settimane – rischia di andare alle elezioni disunito, senza una strategia chiara e privo di un leader. E di restare dunque schiacciato tra gli altri tre contendenti, specie se la legge elettorale – come ormai sembra certo – dovesse restare il cosiddetto Porcellum. Altro che proporsi come ago della bilancia nel prossimo Parlamento!

In quest’ultimo caso, Casini, l’unico che al centro possa contare su un partito minimamente strutturato e su una quota di consenso stabile e minimamente significativa (all’incirca del 5%), potrebbe comunque salvarsi, facendo un accordo con la sinistra di Bersani. Ma sarebbe un accordo che salverebbe se stesso e la sua formazione. Nulla a che vedere con l’idea – come si è detto per mesi – di creare un polo di centro alternativo alla sinistra, alla destra leghista-berlusconiana e al populismo di Grillo e in grado di attirare il voto di quei milioni di italiani che per convenzione vengono definitivi “moderati”. Un progetto che è sempre stato ambizioso, ma che rischia di rivelarsi velleitario e fallimentare.