di Brodie Boland (traduzione di Thomas Bastianel)

È difficile sfuggire alla sensazione che il nostro sistema politico, costruito su schemi e mentalità di età passate, stia spaventosamente scricchiolando. I segni di questa pressione includono il calo dell’affluenza alle urne, i movimenti di massa sia di sinistra che di destra e l’incapacità del Governo di misurarsi con gravi minacce quali il cambiamento climatico e l’indebitamento pubblico. Mostrando quella peculiare combinazione di intensa animosità e assurda superficialità, le attuali elezioni presidenziali americane ne sono forse il segno più pietoso. Il fatto che noi tutti ci stiamo lamentando di tale situazione senza tuttavia venirne a capo è un indizio che stiamo cercando le soluzioni nel posto sbagliato.

Il nostro sistema politico è sotto pressione perché i suoi fondamentali si sono spostati. Gli strumenti dell’attuale sistema politico – voto, legislazione, partiti – sono stati costruiti per scegliere tra opzioni esistenti. Tuttavia, i problemi che oggi ci troviamo di fronte non si risolvono con una lista di soluzioni ovvie. Ridurre il deficit, affrontare i cambiamenti climatici e prevenire le maggiori minacce alla sicurezza nazionale sono tutte sfide che richiedono creatività e innovazione più che dibattito. E così, in mancanza di tali soluzioni, l’attenzione del sistema politico si sposta dalle domande fondamentali a quelle poche questioni che offrono soluzioni già preconfezionate e polarizzate. Il risultato è una crescente asprezza del dibattito su questioni irrilevanti mentre i problemi più importanti si ingigantiscono. Finora abbiamo concentrato le nostre risorse politiche sulla scelta tra diverse opzioni e lasciato al caso la costruzione di tali opzioni.

Il paradigma della scelta dirotta le risorse istituzionali dall’innovazione al conflitto e non riesce a sfruttare le conoscenze e l’ingegno che tutti noi possediamo. Il nostro ruolo primario come cittadini si limita a barrare una casella accanto alla nostra opzione preferita nella scheda elettorale. Che la povertà di questa nozione di partecipazione dei cittadini non ci paia assurda è indice di quanto sia obsoleta la nostra idea di democrazia. In un mondo dove la collaborazione di massa viene usata per sviluppare prodotti, generare conoscenza e creare nuovi mercati, perché mai dovremmo accettarne un ruolo così limitato nella sfera politica? Una situazione che sembra anacronistica quanto il telegrafo o la macchina da scrivere, di certo utili per il loro tempo, ma oggi decisamente superati.

Dovremmo allora evolverci verso una forma di democrazia diretta? No. Essa non sfugge al fallimento del paradigma della scelta. Invece di assumere idee e opzioni come costanti e focalizzarci sulla loro scelta, abbiamo bisogno di un’architettura delle istituzioni politiche in grado di generare idee migliori. Attualmente il nostro sistema politico risponde alla domanda di come decidere tra alternative. In realtà, quello che dovrebbe fare è chiedersi come disegnare alternative migliori.

Oggi abbiamo l’opportunità di ridefinire ciò che significa essere un cittadino. Se il sistema di voto si basa sulla scelta tra opzioni, quello di cui abbiamo bisogno è un sistema che produca migliori idee. E un’architettura sociale che metta insieme le persone per innovare dovrebbe avere almeno le seguenti caratteristiche:

Facilitare la collaborazione di massa. Questa collaborazione avverrà sia sul piano fisico che virtuale mettendo i cittadini nelle condizioni di lavorare assieme per immaginare e creare nuove politiche, strutture e organizzazioni. Idee per la riduzione della criminalità uscite dalle conversazioni davanti a una chiesa saranno adattate online da migliaia di persone in tutto il Paese e, successivamente, utilizzate come input per l’attività di un locale commissariato di polizia.

Riunire le persone sulla base delle loro affinità e delle loro differenze. Coloro che si appassionano per un determinato tema di pubblica utilità si riuniranno per una conversazione costruttiva. Nel progettare un sistema finanziario che funzioni, abbiamo bisogno che allo stesso tavolo siedano: un’analista di Goldman Sachs, un militante di Occupy Wall Street, un funzionario dell’Autorità di Vigilanza, un membro del Tea Party e un giovane insegnante.

Generare molte idee e trovare il modo di tesserle assieme. Il nostro sistema globale è vasto e diversificato, ma anche intimamente interconnesso. Per una progettazione efficace abbiamo bisogno di molte idee, ma le soluzioni proposte devono tenere in considerazione le interdipendenze che esistono nel sistema. Quando un’ecologista progetta una politica di efficienza energetica per un comune, tale politica dev’essere collegata all’idea di edificio scolastico che hanno gli insegnanti e al nuovo sistema elettrico progettato dagli ingegneri. La nuova piattaforma di progettazione identificherà queste interdipendenze e faciliterà la nascita di soluzioni appropriate rispetto al contesto.

Basarsi sia su sofisticate teorie che sull’esperienza diretta. Abbiamo bisogno del contributo delle più avanzate conoscenze e tecniche d’insegnamento, così come della competenza che si basa sulle esperienze individuali. Abbiamo bisogno di entrambi, il teorico della pedagogia e lo studente che descriva le soluzioni più adatte alla classe. Del pianificatore urbanistico che conosce gli algoritmi sui flussi di traffico e del parcheggiatore che sa quali indicazioni funzionano meglio con gli automobilisti. Abbiamo bisogno di integrare non solo le idee dei think tank, dei leder di partito e dei politologi, ma anche quelle dei cittadini comuni.

Un sistema politico che concentra le sue energie sulla creazione di nuove idee sarà più costruttivo che polemico, più innovativo che inerziale, più stimolante che apatico. La creazione di un tale sistema richiederà una significativa dose d’ingegno per costruire e trasformare le istituzioni esistenti e ripensare al nostro ruolo come cittadini. Le attuali strutture sono allo stremo, ce ne servono di nuove. Davanti a noi si prospetta una nuova ed eccitante sfida.

(L’articolo è apparso originariamente sul sito internet della Stanford Social Innovation Review)