di Michele Marchi
Se dunque, come affermato su queste colonne (Il dibattito interno alla destra francese/1), le primarie per eleggere il nuovo presidente dell’UMP devono fornire alcune interessanti indicazioni sul futuro della destra francese e sull’eredità dei cinque intensi anni di presidenza Sarkozy, fondamentale è descrivere i profili dei due protagonisti in competizione, le loro differenze e i loro progetti per i prossimi tre anni.
I poco meno di 300 mila militanti (potranno votare gli iscritti in regola con il tesseramento e quelli del 2011 che hanno tempo sino al 18 novembre per regolarizzare la loro posizione) avranno possibilità di scegliere tra Jean-François Copé, attuale segretario generale del partito, e François Fillon, per cinque anni Primo ministro di Nicolas Sarkozy. Fillon e Copé sono due personalità politiche di elevato spessore ed esperienza. Entrambi hanno importanti carriere ministeriali alle spalle, più il primo del secondo, che ha però anche dieci anni in più. Fillon può anche vantare una lunghissima militanza parlamentare, essendo stato eletto per la prima volta all’Assemblea Nazionale all’età di 27 anni alle disastrose, per la destra, legislative del 1981. Copé è stato eletto per la prima volta in Parlamento nel 2002, ma la sua carriera politica affonda le radici nei primi anni Novanta, accanto a Chirac nella vincente campagna elettorale del 1995. Nonostante queste affinità i due non potrebbero essere più diversi da un punto di vista personale e, più nello specifico, in termini di stile e di approccio alla politica. Fillon ha sempre brillato per pragmatismo e spirito di conciliazione, la sua lunghissima carriera politica lo ha visto accanto a tre dei maggiori protagonisti della destra post-gollista Chirac, Séguin e Sarkozy, riuscendo spesso a conciliare l’inconciliabile, mostrandosi capace di trovare il punto di equilibrio laddove le numerose faide interne avrebbero potuto sovrastarlo. Copé è simbolo di attivismo e volontarismo, è il giovane diplomato all’ENA (promotion Liberté-Egalité-Fraternité del 1989) che ottiene una rapidissima e brillante carriera ministeriale, ma che contemporaneamente cerca il radicamento territoriale con l’elezione a sindaco di Meaux, capoluogo della Seine-et-Marne. Ma è soprattutto il portatore di una forte ambizione personale, che non esita a nascondere. Non premiato da Sarkozy nel 2007 con un posto nel nuovo esecutivo, Copé non si arrende e ottiene un ruolo forse ancora più decisivo, la presidenza del gruppo UMP all’Assemblea Nazionale. Qui riesce a mantenere importanti contatti con gli eletti e con i membri dell’esecutivo. E inoltre resta legato a quel partito che Sarkozy controlla dall’Eliseo, non concedendo a nessuno la presidenza.
Ebbene queste due storie, queste due esperienze e queste due differenti personalità, sono state costrette a convergere sempre di più sino a tramutarsi nei due custodi più fedeli dell’eredità di Nicolas Sarkozy. E questo perché il Presidente per molti aspetti meno amato della Quinta Repubblica si è trasformato, al termine della campagna elettorale, nell’unico punto di riferimento per una destra scossa e provata da un punto di vista politico, ideologico ed organizzativo. Un paradosso che in realtà è doppio. Non solo due “animali politici” così differenti si trovano accomunati dal messaggio “rassembler l’UMP” all’eredità di Sarkozy. Essi in realtà non presenterebbero il migliore profilo per interpretare questo copione. Fillon non ha infatti atteso la sconfitta del 6 maggio per prendere le distanze non solo e non tanto dalle scelte politiche di Sarkozy, quanto da un metodo di governo privo a suo dire di una pedagogia e troppo votato al volontarismo e agli eccessi populisti. Copé solo a fatica può occultare i lunghi anni di concorrenza interna nei confronti di Sarkozy. A partire dal 1995, quando Copé sosteneva Chirac e Sarkozy si imbarcava nella fallimentare operazione Balladur, i due si sono in realtà sempre detestati. E la riprova si è avuta quando nel 2007 Sarkozy lo ha debitamente mantenuto lontano e dal governo e dal partito. Nonostante questo a partire dall’appoggio convinto al presidente uscente nel corso della campagna elettorale 2012 e Fillon più di malavoglia, ma costretto dagli eventi, i due candidati alla presidenza si sono dovuti muovere maneggiando con grande cura l’eredità dei cinque anni di sarkozismo.
A questo punto è lecito domandarsi se i militanti UMP il 18 novembre si troveranno a scegliere solo e soltanto tra due differenti personalità o se dietro all’unanimismo di facciata e alla “patente” di essere il migliore custode dell’eredità di Sarkozy, si celino in realtà vere differenze. E queste differenze ci sono e possono essere racchiuse in tre categorie.
La prima è relativa al discorso delle due personalità agli antipodi. Nonostante il tono pacato e le reciproche cortesie, questa distanza è parsa evidente in occasione del dibattito televisivo del 25 ottobre scorso. Fillon si è presentato forte del suo passato istituzionale, della sua esperienza al governo accanto al Presidente “comandante in capo” che ha cercato di impedire al Paese di affondare di fronte alla crisi economico-finanziaria. L’ex Primo ministro ha parlato ai militanti UMP, ma si è rivolto più in generale al Paese, ha parlato lo statista e, di conseguenza, il candidato in pectore per le presidenziali del 2017. Copé dal canto suo si è presentato come “il primo militante” del partito (e di conseguenza il primo oppositore della coppia Hollande-Ayrault), come il paladino di quella che definisce la “destra senza complessi”(dal titolo del suo libro Manifeste pour une droite décomplexée), che non teme il politicamente corretto e che rimanda al mittente le accuse di “droitisation” che la sinistra avanza. Corollario di questo approccio: spostando a destra il baricentro della proposta politica, la destra repubblicana riuscirà a riconquistare gli elettori delusi che scelgono il FN.
Strettamente legata a questa prima è la seconda differenza tra i due e questa riguarda principalmente cosa dovrà essere l’UMP dei prossimi tre anni. In maniera schematica si può affermare che per Fillon dovrebbe tornare ad essere l’UMP della coppia Chirac-Juppé, quel movimento politico in grado di unire le “tre destre” e quella componente di centro che non accetta di guardare a sinistra, né tanto meno di tentare di scardinare il bipartitismo della Quinta Repubblica. E questo a maggior ragione dopo la nascita del nuovo soggetto centrista (Union des démocrates et indépendants) guidata da Jean-Louis Borloo, che si presenta come una sorta di remake nostalgico dell’UDF. Per Copé la strada è opposta e deve ripartire dalle due campagne elettorali presidenziali di Sarkozy, quella vincente del 2007 e quella perdente della scorsa primavera. Dunque un UMP che torna a cacciare nelle terre dove il FN ha lentamente, ma costantemente, eroso la destra repubblicana.
Infine la terza differenza fa emergere un ulteriore paradosso di queste primarie interne. Lo statuto elaborato alla nascita dell’UMP prevede la formazione di correnti interne, pilastri della vita democratica del partito. Una volta salito alla guida del partito, Sarkozy ha frenato questa tendenza. Da quando è segretario generale del partito Copé ha favorito tale possibilità e di conseguenza il 18 novembre i militanti UMP saranno chiamati anche ad esprimersi su sei mozioni. Ecco il nuovo paradosso: il candidato alla presidenza meno sarkozista, Fillon, ha lo stesso punto di vista dell’ultimo presidente, Sarkozy, denuncia il rischio “balcanizzazione” del partito e con un recente intervento su Le Figaro rilancia con un richiamo all’eredità del gaullisme gaullien, quello del Generale, per il quale prima di tutto contava lo spirito di rassemblement. In quest’ottica la logica correntizia diventa fonte di divisione nel mouvement, almeno quanto nel Paese.
Guardare da vicino le sei correnti è allora l’ultimo importante punto di osservazione di questo percorso in vista del voto del 18 novembre prossimo. Partendo dagli slogan delle mozioni, tre contengono la parola “droite”, una il termine “gaulliste”, solo una un esplicito riferimento al liberalismo europeo, si può avere il polso dell’evoluzione della destra transalpina per il momento orfana della quarta importante personalità che, dopo de Gaulle, Pompidou e Chirac, è stata in grado di incarnarne i valori e condurla alla guida del Paese.
(2.continua)