di Michele Marchi
La campagna per le primarie in casa UMP volge al termine e non mancano, in questo finale, i colpi “sotto la cintura” tra i due candidati alla presidenza. Anche se Copé e Fillon non hanno lesinato le rassicurazioni rispetto alla necessaria unità e al decisivo spirito di rassemblement, continuando a ripetere che gli attacchi devono essere rivolti contro il governo Ayrault e la presidenza Hollande, i tratti di due personalità ed eredità politiche così differenti e i progetti politico-organizzativi per molti aspetti agli antipodi sono alla lunga emersi. Nella recente doppia intervista concessa dai due protagonisti a Le Figaro la “versione di Copé” e la “versione di Fillon” si sono esemplificate.
Prima però di riflettere su cosa potrà essere l’UMP del dopo 18 novembre, bisogna soffermarsi su un ultimo tassello per avere il quadro complessivo dell’evoluzione interna alla destra repubblicana transalpina. Copé ha infatti applicato una delle clausole per certi aspetti più controverse, ma potenzialmente decisivi, per l’evoluzione del partito: quella cioè che istituzionalizza la presenza di correnti interne strutturate e, dato da non trascurare, finanziate dal partito stesso. I militanti UMP sono chiamati quindi a votare uno dei sei “mouvements” che andranno a comporre il “parlamento” interno all’UMP. E, fatto non trascurabile, il nuovo presidente dovrà gestire questa dialettica interna, ricordando che Copé ne è un forte sostenitore, mentre Fillon è sempre stato molto scettico sull’utilità e non ha celato i timori di una “balcanizzazione” del partito.
Guardare ai sei “mouvements” che hanno presentato le loro mozioni è interessante perlomeno da due punti di vista. Da un lato il tentativo di spostare il baricentro del partito verso destra condotto da Copé sembra trovare una certa rispondenza proprio nelle mozioni. Tre di queste, sostenute rispettivamente da 55, 22 e 17 deputati, presentano sin dal loro nome la parola “droite”. Si tratta della Droite sociale, il cui primo firmatario è Laurent Wauquiez, brillante giovane ministro in quasi tutti i governi Fillon dal 2007 al 2012 e oggi primo sostenitore dell’ex primo ministro nella corsa alla presidenza del partito. La Droite sociale ha come parola d’ordine la difesa della classe media, minacciata di impoverimento nell’attuale fase di declino francese. Seconda mozione a presentare il termine “droite” è la Droite populaire, lanciata dopo la debacle del voto regionale del 2010 dal deputato Thierry Mariani, particolarmente ferma sui temi della sicurezza e dell’immigrazione. La terza è la mozione della Droite forte, che “strizza l’occhio” allo slogan della campagna elettorale di Sarkozy (“La France forte”). L’obiettivo dei due primi firmatari, Guillaume Peltier e Geoffroy Didier, è quello di inserirsi nel solco dell’ultimo Sarkozy, in questo aiutati dal sostegno ottenuto dal fedelissimo sarkozista ex ministro degli Interni Brice Hortefeux e dall’ex consigliere dell’Eliseo Pierre Charon. Se a queste tre correnti chiaramente posizionate a destra si aggiunge poi la quarta dal nome “La famille gaulliste”, guidata da Michèle Alliot-Marie e dal ghostwriter di Sarkozy Henri Guaino e con l’obiettivo di trasmettere nell’UMP la tradizione RPR, si può senza dubbio parlare di un forte sforzo per ripartire proprio dall’ancoraggio a destra o perlomeno da quel lavoro ideologico che nell’UMP aveva svolto Sarkozy dal 2004 in avanti.
Il secondo punto di vista deve per forza di cosa partire dall’osservazione della corrente che però ha ottenuto il maggior numero di adesioni di eletti UMP (101 parlamentari), quella degli “Umanisti”. Dietro a questa mozione si raccolgono la maggioranza delle truppe centriste e liberali del partito. È vero che al suo interno non mancano i sostenitori di Fillon, però i due personaggi più rappresentativi, Luc Chatel (ex ministro dell’Educazione Nazionale del governo Fillon) e Jean-Pierre Raffarin (primo ministro di Chirac dal 2002 al 2005, ma soprattutto di tradizione politica centrista e giscardiana) sono grandi sostenitori di Copé alla presidenza del partito. Dunque la mozione per molti aspetti più “liberale” e “centrista” è guidata da uno degli sponsor più autorevoli di Copé (Raffarin) e dal portavoce (Chatel) della sua campagna. Se la sesta mozione, la “Boite à idées”, sostenuta da 18 parlamentari (il più autorevole è l’ex ministro Bruno Le Maire) non sembra aggiungere molto al dibattito interno, il punto da sottolineare è un altro. La geografia interna delineata dalle sei mozioni aggiunge un dato importante allo scontro Copé-Fillon.
Nella citata doppia intervista a Le Figaro di giovedì 15 novembre i due descrivono le loro differenze. Fillon si richiama esplicitamente al progetto fondatore di UMP, quello delle origini ed implicitamente sembra voler chiudere la lunga parentesi Sarkozy. Il suo UMP è quello che, a partire dal 2002, voleva porre la parola fine allo scontro destra-centro, dominante negli anni Ottanta e in parte negli anni Novanta del Novecento. Copé, con la sua “destra senza complessi”, si candida invece a ripartire dal lavoro svolto da Sarkozy e implicita vi è in lui anche una critica all’ex-presidente quando ha smesso di essere quello delle campagne elettorali del 2007 e del 2012. In realtà i due, in piena campagna per la presidenza di un partito di opposizione, che rischia di rimanere lontano dai principali centri di potere sino alle presidenziali del 2017 (difficilmente, senza accordi con il FN come sia Copé, sia Fillon hanno promesso, e con l’ottimo radicamento del PS, le municipali del 2014 o le regionali del 2015 cambieranno troppo il quadro dello strapotere socialista) fingono di dimenticare che l’UMP del periodo 2002-2012 è stato un movimento politico che prima di tutto ha garantito dieci anni di gestione del potere nel Paese e di conseguenza ha dovuto affrontare non pochi compromessi.
In definitiva incrociando i profili dei due candidati, la presenza di un dibattito interno rappresentato da mozioni che mescolano un chiaro desiderio di riannodare il filo con una tradizione di destra (anche alla luce dell’avanzata del FN) con l’esigenza di non perdere il legame con la componente maggioritaria di quel centrismo di governo che tradizionalmente sceglie la destra) e infine l’ingombrante presenza di un ex-presidente, Sarkozy, a livelli altissimi di gradimento tra i simpatizzanti UMP, il compito che attende il presidente del partito per i prossimi tre anni è complesso.
Copé o Fillon dovranno proporre un approccio innovativo, senza tagliare però tutti i fili con l’intuizione della coppia Chirac-Juppé del 2002. In aggiunta dovranno preparare l’UMP per le primarie del 2016, quelle che devono decidere il candidato da opporre a Hollande in cerca del secondo mandato, tenendo conto di quali saranno le decisioni di Nicolas Sarkozy. Anche su questo punto Copé ha scelto la “fidelité” all’ex presidente, dicendosi disposto a rafforzare un partito che nel 2017 sarà nuovamente lo strumento di Sarkozy per il ritorno all’Eliseo. Fillon, seppur in maniera pacata e tra le righe, ha predicato una netta discontinuità, ricordando che alle primarie del 2016 bisognerà sostenere colui che ha più possibilità di vittoria.
Insomma se si vuole schematizzare al massimo la destra di Copé è convinta che il segnale più grave non sia tanto il dominio socialista di tutti i centri di potere del Paese, ma la crescita alla destra dell’UMP di un nuovo Fronte Nazionale, che non solo ottiene voto operaio o comunque delle fasce socio-economiche più basse urbanizzate, ma erode il voto di destra della classe media urbana e più ancora rurale. La destra di Fillon è più gestionale, di governo, guarda all’evoluzione che sta tentando di imprimere Borloo al centro e pur partendo da solide radici di destra, è consapevole di quanto sia importante per questa stessa destra di governo (che ha in Pompidou e Balladur i suoi padri spirituali) non dimenticarsi del centrismo così vicino ideologicamente alla “destra orleanista”.
L’impressione è proprio questa: l’UMP di Fillon sarà un po’ più “orleanista”, quello di Copé un po’ più “bonapartista”. Nessuno dei due potrà però dimenticarsi della terza componente, quella che sempre procedendo per slogan, possiamo definire “tradizional-reazionaria”. Insomma non mancano i convitati per osservare con interesse il dopo 18 novembre. Di Borloo e di Sarkozy si è già detto, ma non va nemmeno trascurato il terzo incomodo, cioè Marine Le Pen.