di Alessandro Campi

Secondo Enrico Letta l’anno che sta per chiudersi sarà ricordato, anche nei manuali scolastici, come quello della Grande Svolta Generazionale. Un cambio di personale politico che nella storia repubblicana ha avuto un solo precedente: gli anni dell’immediato dopoguerra.

Durante la tradizionale conferenza di fine anno, il Presidente del Consiglio non si è limitato ad un bilancio – non propriamente entusiasmante – dei primi otto mesi di vita del suo governo. Non ha parlato solo di tasse, immigrazione, conti pubblici, gioco d’azzardo, carceri e riforme costituzionali. Ha cercato di mettere la sua esperienza all’interno di una prospettiva storica più generale. Il 2013 sarà ricordato – ha detto – come un radicale punto di svolta: la guida dell’Italia è infatti passata nelle mani di una nuova leva politica, che ora è chiamata a dimostrare le sue effettive capacità. I quarantenni che ereditarono dal fascismo un Paese distrutto furono gli artefici di una spettacolare ricostruzione: radicarono la democrazia tra le masse e posero le basi del boom economico. I quarantenni di oggi, che si sono battuti per strappare il potere ai loro padri e fratelli maggiori, sapranno affrontare con la stessa determinazione la crisi che ci attanaglia?

In effetti non è da sottovalutare quel che è accaduto nel corso degli ultimi mesi sulla scena nazionale. L’affermazione del movimento 5 Stelle alle elezioni di febbraio e l’arrivo in Parlamento di giovani uomini e donne senza precedenti esperienze politiche, l’incarico di governo affidato allo stesso Enrico Letta (47 anni, presidenti del Consiglio più giovani di lui sono stati soltanto Amintore Fanfani e Giovanni Goria), la rottura di Alfano (43 anni) con Berlusconi, la vittoria di Renzi (37 anni) alle primarie per la guida del Pd, la nomina di Matteo Salvini (40 anni) a segretario della Lega, la diaspora della destra che sta cercando di coagularsi intorno a Giorgia Meloni (35 anni). Sono tutti segnali di un cambiamento che per molti versi sembrerebbe epocale e benefico, se è vero quel che si è scritto spesso del sistema di potere vigente in Italia da decenni: privo di ricambio al vertice e basato sull’inamovibilità delle cariche e delle persone che le occupano.

Ma proprio l’esperienza di questi otto mesi di governo dovrebbe aver dimostrato – a Letta come agli italiani tutti – che la questione generazionale non è l’unica sulla quale si possa fare leva per trasformare il Paese e per imprimergli una nuova energia. Non solo, ma se agitata con troppa enfasi la carta del rinnovamento anagrafico rischia di essere, oltre che alla lunga stucchevole, anche ingannevole rispetto a quelli che sono i reali problemi con i quali l’Italia è chiamata a misurarsi.

Ad esempio, il fatto di avere il Parlamento probabilmente più giovane d’Europa, quanto ad età media, sinora non ha modificato in nulla la percezione negativa che gli elettori continuano ad avere della classe politica e delle istituzioni. E nemmeno sembra essere servito granché ad innalzare la qualità del lavoro parlamentare – lavoro per il quale, probabilmente, l’esperienza politica e la conoscenza tecnica dei dossier (che anch’essa si acquisisce col tempo) valgono più dell’irruenza e delle buone intenzioni.

Due elementi che si associano alla giovane età, e che per solito compensano la mancanza di pratica, sono l’inventiva e il coraggio. Da un governo composto da ministri molti dei quali hanno meno di cinquant’anni ci saremmo dunque aspettati, volendo prendere alla lettera la retorica giovanilistica che va oggi di moda, scelte innovative e controcorrente, magari inserite in una visione politica e dell’Italia a sua volta originale e proiettata nel futuro. In realtà, sinora non si è visto nulla del genere. L’esecutivo si è limitato a gestire l’ordinaria amministrazione, a rinviare nel tempo le questioni più spinose e a fare vaghi annunci di riforme. Colpa solo delle turbolenze politiche causate nei mesi passati dai guai con la giustizia di Berlusconi, come è parso sostenere Letta? O forse ancora manca ai quarantenni giunti improvvisamente al potere un’idea direttiva e strategica intorno alla quale avviare un reale cambiamento della società italiana e dei suoi meccanismi politico-istituzionali? Perché molti italiani hanno l’impressione che il più lucido politico sulla piazza, quello che più di altri orienta e detta la linea, sia non un quarantenne, ma un venerando e navigato uomo politico prossimo ai novanta?

Senza contare che se la qualità del cambiamento affidato ai più giovani si misura dalla novità delle idee di cui questi ultimi sono portavoce, nel caso di personalità quali Alfano, Salvini o Meloni resta ancora da capire cosa li differenzi (età ed ambizioni a parte) dai loro predecessori anziani.

Ma l’argomento che più di altri spinge a smorzare l’entusiasmo di Letta per la rivoluzione generazionale in corso è un altro: l’iter tormentato della legge di stabilità sta lì a dimostrare, semmai ce ne fosse stato bisogno, che il male profondo dell’Italia non è rappresentato tanto dall’età anagrafica dei suoi gruppi dirigenti, quanto da una società che è storicamente vischiosa, corporativa e frammentata, alla quale corrispondono un sistema economico scarsamente competitivo in molte sue componenti e un apparato pubblico-burocratico a sua volta largamente inefficiente e farraginoso. L’idea che basti cambiare facce e ringiovanire chi detiene le leve del comando per rimuovere questi mali è largamente illusoria. Così come non basta nemmeno cambiare mentalità o stile di comunicazione. Ciò che occorre al contrario sono riforme strutturali radicali. E inevitabilmente dolorose, nella misura in cui finiscono per intaccare privilegi consolidati e rendite di posizione. I “vecchi” riforme del genere non sono riusciti a farle. Ci proveranno i “giovani”, magari riuscendoci?

Naturalmente, otto mesi sono pochi per emettere un qualunque giudizio definitivo. È dunque possibile che i frutti del cambio anagrafico che si sta realizzando nella politica italiana arrivino nell’immediato futuro. Renzi, il più giovane e volitivo della compagnia, sembra in effetti avere idee assai innovative e radicali in materia di lavoro, riforma elettorale, immigrazione, diritti civili, lotta all’evasione, finanziamento ai partiti, etc. Riuscirà ad imporle al suo partito e di conseguenza al governo? E dunque si vedranno, da qui al prossimo mese di giugno, quelle novità sostanziali senza le quali il destino di questo governo (e dei “quarantenni” che lo guidano) può dirsi fatalmente segnato? Il destino dei giovani, come si sa, è quello d’invecchiare. Ma nell’era di facebook e di twitter si rischia di essere mandati al macero con più velocità di quanto capitava ai nostri nonni e padri.

*Editoriale apparso su “Il Messaggero” del 24 dicembre 2013.

 

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