di Federico Donelli
Il drammatico attentato all’aereoporto internazionale Ataturk di Istanbul del 28 giugno scorso, il fallito colpo di Stato del 15 luglio e il successivo regolamento di conti interno alla componente di Islam politico turco rappresentano solamente gli ultimi scossoni in ordine di tempo a un paese, la Turchia, che da due anni attraversa la fase più controversa della propria storia recente.
Alle vicissitudini interne, contraddistinte dal protagonismo dell’attuale Presidente Recep Tayyip Erdoğan tradotto in accentramento del potere decisionale e nell’aumento del pre-esistente deficit democratico, fa da sfondo la generale instabilità regionale, conseguenza delle primavere mancate e di un conflitto, quello siriano, dai più definito esempio di guerra post-moderna per procura, che vede la Turchia unico paese ‘boots on the ground’. Il paese anatolico, dopo un decennio caratterizzato dal recupero prima e dal rilancio poi della propria immagine internazionale di potenza regionale, si è scoperta più sola di prima, circondata da crisi politiche e umanitarie, attraversata dal violento risveglio del separatismo curdo e dalla conseguente durissima repressione nelle province del sud-est – scenario da vera e propria guerra civile –, e dall’estrema frattura interna a una società polarizzata tra quanti appoggiano l’operato di Erdoğan e quanti, al contrario, tentano di ribellarvisi. In tale scenario, le proteste di Gezi Parki nel maggio 2013, prima ancora del fallito colpo di Stato del luglio 2016, sono diventate uno spartiacque simbolico – per molti osservatori stranieri un appuntamento mancato – tra la Turchia che sarebbe potuta essere e la Turchia che è diventata ed è: la ‘nuova’ Turchia di Erdoğan.
L’eredità di Gezi, capitalizzata politicamente nel 2015 dal Partito Democratico dei Popoli (HDP), si ritrova oggi in una ristretta fascia della società turca, un gruppo di laico progressisti il quale vive un generale senso di smarrimento e disillusione di fronte all’emergere di quella che Erdoğan ha più volte definito la ‘nuova’ Turchia. Alla luce del progressivo restringimento dello spazio pubblico, molti di loro hanno trovato rifugio, come spesso accade, nel dissenso attraverso l’arte, da sempre strumento di costruzione di nuove soggettività. Tra le manifestazione ve né una latente e sottotraccia rappresentata dalla diffusione di un romanzo scritto nella prima metà del Novecento, ripreso e tradotto in inglese, nelle settimane immediatamente successive ai fatti di Gezi Parki del 2013: “La madonna col cappotto di pelliccia” (Kurk Mantolu Madonna) di Sabahattin Ali. Per comprendere i motivi che hanno reso il libro uno dei simboli non solo del cosiddetto ‘popolo di Gezi’ ma di diversi segmenti della società turca, occorre soffermarsi tanto sull’autore quanto sulla trama, evidenziandone i tratti che hanno favorito la forte identificazione soprattutto da parte dei più giovani. Sabahattin Ali nasce nel 1907 ai confini di un impero malato da tempo che, a distanza di un anno, vedrà la prima grande rivoluzione costituzionale, aprendo la strada al definitivo crollo sultanale e alla successiva ascesa di Mustafa Kemal, poi Ataturk. Proprio a causa di alcuni versi poetici giudicati ostili al regime kemalista, Ali venne arrestato nel 1930 poco dopo aver fatto rientro da un periodo di studio in Germania dove fu testimone della rapida ascesa del nazional-socialismo. Il timore che anche il proprio paese potesse imboccare la strada di un sempre più rigido autoritarismo, unito a una forte sensibilità di intellettuale e giornalista vicino ai movimenti di sinistra, lo spinsero a criticare pubblicamente il regime monopartitico voluto e imposto da Kemal. I suoi poemi e versi satirici apparsi durante quegli anni su alcune riviste turche, in particolare il romanzo “Icimizdeki Seytan”, alimentarono il rancore e l’odio di alcuni gruppi ultra nazionalisti, al punto da costringere Ali a lasciare la Turchia. I gruppi dell’estrema destra turca, supportati dai servizi segreti turchi, furono probabilmente i mandanti dell’assassinio che, nel 1948, pose fine alla vita di uno dei principali scrittori turchi del Novecento, tra i più bravi nell’uso della lingua. Il libro “La madonna con il cappotto di pelliccia”, uscito nel 1943, nonostante non possa essere considerata la sua opera di maggiore rilevanza artistica, suscitò scalpore narrando la storia d’amore tra un giovane studente turco (Raif Efendi) e una famosa cantante tedesca (Maria Puder). Ambientato nella Berlino post I Guerra Mondiale, con chiari riferimenti autobiografici, il romanzo affronta con profondità d’analisi le dinamiche famigliari e sociali ma anche i conflitti interiori e a tratti drammatici dei due protagonisti.
Il racconto pur non contenendo un chiaro e diretto messaggio politico, ha avuto grande successo tra i partecipanti alle proteste di Gezi, la cui età media era inferiore ai trent’anni, affascinati dalla figura dello scrittore, ai loro occhi eroe tragico che in nome delle proprie idee fu denigrato, vittima della censura e arrestato, pagando infine con la propria vita. Oltre ad Ali, vera e propria icona della resistenza alla durezza dello Stato, molti giovani turchi sono oggi affascinati anche dalla trama, in quanto loro stessi alla ricerca di una causa comune e, in qualche modo romantica, per cui lottare. A partire dal giugno del 2013 il romanzo, per decenni dimenticato dal grande pubblico, è stato riscoperto, subendo un processo di drastico ripensamento all’interno dell’immaginario turco e non solo, al punto da vivere una vera e propria rinascita con tanto di ristampe e traduzione in diverse lingue – oltre diciassette – inclusa una versione italiana. I numeri aiutano a rendere l’idea del fenomeno, con una vendita nella sola Turchia di oltre 750mila copie dal 2013 a oggi, tre volte tanto rispetto a quelle vendute nei precedenti quindici anni. Il racconto è diventato presto un vero e proprio fenomeno sociale prima ancora che artistico, al punto da generare un boom del marketing non ufficiale; magliette e felpe con stampato il volto dell’autore, tazze da caffè con impressa l’immagine di copertina del libro e, scontato per un paese ‘social media addicted’ qual è la Turchia, persino un apposito hastagh (#kurkmantolumadonna) per Twitter e Instagram. Seppure molti non abbiano nemmeno mai letto il libro ma semplicemente scelto di seguire la moda del momento, per alcuni, invece, il protagonista Raif e l’autore Ali, rappresentano figure dai valori e principi estremamente positivi, con cui è diventato facile identificarsi. Infatti, pur trattando le vicende di due innamorati, il romanzo cela una profonda riflessione umana su alcune grandi dicotomie del nostro tempo – oppressi e oppressore, ricco e povero, società e individuo, corrotto e puro.. – tutti temi cari a quanti hanno preso parte a Gezi. Allo stesso tempo la protagonista Maria, è una figura femminile estremamente positiva per le giovani, turche e non; una donna indipendente pronta a lottare le proprie battaglie per affermare sé stessa e la libertà del proprio amore, rompendo anche stereotipi di genere radicati nella cultura turca.
Sabahattin Ali insegna ai lettori di oggi come l’arte possa alimentare il dissenso, ma allo stesso tempo come il dissenso possa tenera viva l’arte e, di conseguenza, che artisti e scrittori pronti a sfidare l’autorità, sempre ci sono stati e sempre ci saranno. La lezione è di lottare per affermare e difendere le proprie posizioni, esattamente come i due protagonisti hanno lottato per il proprio amore, e l’autore per le proprie idee e la propria libertà. Una lezione che serve soprattutto a dare fiducia e un po’ di speranza a quanti in questo momento non la trovano nella “nuova” Turchia di Erdoğan.
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