di Alessandro Campi

downloadLa destra nazionalista guidata da Frauke Petry ha ottenuto – stando ai risultati ufficiali definitivi – il 14,2% dei voti nelle elezioni per la città-stato di Berlino, entrando così per la prima volta con suoi rappresentanti (25 su 160) all’interno della Abgeordnetenhaus, la sede dell’assemblea legislativa della capitale. Nemmeno la città più cosmopolita della Germania, la prediletta dai giovani, dagli artisti e dagli spiriti liberi, è stata dunque risparmiata dal contagio xenofobo. Da copione, dovremmo stracciarci le vesti e gridare al pericolo populista. Ma a cosa servirebbe l’ennesimo grido l’allarme?

L’ascesa elettorale della Alternative für Deutschland in realtà è una non-notizia, dal momento che questo partito (nato appena nel 2011) siede già in dieci dei sedici parlamenti regionali tedeschi. L’ultimo suo trionfo alle urne risale a poche settimane fa, con il 22% ottenuto alle amministrative svoltesi nel Meclemburgo-Cispomerania. Il voto di ieri non ha fatto che confermare questo trend, che essendo omogeneo e ricorrente a livello nazionale sembra destinato a produrre conseguenze anche sul voto politico del prossimo anno.

Ampiamente previsto a livello i sondaggi (e anch’esso confermato dai precedenti appuntamenti elettorali) era anche l’arretramento delle due formazioni maggiori. I cristiano-democratici hanno perso il 5,7%, passando dal 23,3% del 2011 al 17,6% di ieri. I socialdemocratici (il partito del sindaco uscente Michael Müller) hanno avuto una performance ancora peggiore, pur restando il partito più votato: sono passati dal 28,3% al 21,6% (un calo vicino al 7%). Se si considerano i risultati ottenuti dai Verdi (il 15,2%, in calo di più del 2% rispetto al voto di cinque anni fa) e dalla Linke (il 15,6%: quasi 4 punti in più del 2011), ne risulta come conseguenza politica la fine della “grande coalizione” che aveva retto sin qui Berlino e la nascita, assai probabile, di una nuova maggioranza di governo – Rot-Grün-Rot – interamente di sinistra (anche se sono tecnicamente possibili almeno altre due maggioranze: quella Spd-Cdu-Verdi e quella Spd-Cdu-Fpd). Più in generale, considerato che nel nuovo Parlamento berlinese entreranno appunto anche i liberali dell’Fpd (che hanno ottenuto il 6,7% dei consensi e dunque superato la soglia di sbarramento) colpisce la crescente frammentazione partitica anche del sistema politico tedesco: dai cinque partiti rappresentati si passa a sei (pur essendo nel frattempo scomparsi i Pirati).

Ma la vera questione è come questo voto, il cui valore simbolico va ben oltre il numero di cittadini in esso coinvolti (2,5 milioni), possa influenzare la scena politica nazionale e condizionare, in particolare, il futuro della Merkel. Quest’ultima si trova in una strana e paradossale situazione. In Europa continua a dominare incontrastata, come s’è visto anche nel recente vertice di Bratislava, con la Francia tornata ad accodarsi alle politiche della Kanzlerin in materia di finanze pubbliche e immigrazione dopo il velleitario tentativo di creare una coalizione socialista-mediterranea contro l’egemonia tedesca nella Ue. All’interno del suo Paese deve invece vedersela con il malessere crescente dell’opinione pubblica. Che in mancanza di una crisi economica come quella che ha messo a dura prova altre società europee, si tende ad imputare quasi esclusivamente alle sue politiche in materia di immigrazione, che risulterebbero sgradite a moltissimi tedeschi, soprattutto a quelli più anziani e d’orientamento conservatore.

Una spiegazione spesso addotta dai commentatori, ma probabilmente parziale. Così come parziale è riferirsi all’ AfD, che quel malessere ha in gran parte interpretato e capitalizzato, come ad un partito anti-immigrati e che, come altri partiti populisti ad esso assimilabili in Europa, si limita a soffiare sul fuoco dell’intolleranza.

Andrebbe ricordato, per cominciare, che l’Afd è nato, nemmeno cinque anni fa, come partito che contestava l’euro e il piano di sostegni finanziari alla Grecia, giudicati troppo onerosi per i cittadini tedeschi. Il nazionalismo economico veniva dunque prima della polemica contro le “porte aperte” della Merkel ai profughi e più in generale della denuncia dei rischi connessi ad una immigrazione senza controlli. Questi ultimi sono diventati temi di propaganda agitati con spregiudicatezza crescente negli ultimi tempi, ma difficilmente possono essere considerati l’unica ragione di successo di questo partito.

Il populismo, qualunque cosa voglia significare questa dubbia etichetta, è infatti una realtà politicamente più complessa, che si alimenta, in Germania come altrove, attingendo alle fonti più diverse. Lo dimostra proprio il caso di Berlino e della campagna elettorale che qui è stata condotta dal candidato a Sindaco dell’AfD Georg Pazderski.

Nella capitale lo scontro non ha riguardato solo la pessima gestione logistica dei circa 80.000 profughi e richiedenti asilo giunti in città nel corso del 2015 e ospitati alla meno peggio in strutture sportive e palazzi pubblici. La destra nazionalista e anti-establishment ha dato battaglia anche sulle proverbiali inefficienze della macchina amministrativa berlinese, sullo spreco di risorse pubbliche (un aeroporto che si sarebbe dovuto inaugurare nel 2007 e i cui ritardi e costi esorbitanti già nel 2014 portarono alle dimissioni dell’allora sindaco Klaus Wowereit), sull’alto numero di disoccupati presenti in città rispetto alla media nazionale (quasi il 10%), sulla penuria di abitazioni e sul caro-affitti che colpisce le famiglie meno abbienti e i giovani (ricordiamo che proprio sulla mobilitazione per la casa e contro i costi degli affitti si è costruita in Spagna la crescita iniziale dei populisti di Podemos). La vittoria dell’AfD si è realizzata soprattutto nella zona est di Berlino, laddove il disagio socio-economico conta più della paura per lo straniero: in alcuni quartieri è stato addirittura il primo partito, con percentuali oscillanti tra il 25 e il 30 per cento.

Ma il tema che più di tutti fornisce benzina al motore dei partiti populisti, incluso l’AfD, è la stanchezza degli elettori per le formule di compromesso politico che sempre più spesso vedono la destra e la sinistra tradizionali collaborare insieme al governo sino a rendersi indistinguibili sul piano dei valori e delle scelte programmatiche. Se destra e sinistra si spartiscono il potere a chi tocca il ruolo dell’opposizione e del controllo? La protesta populista è anche una reazione contro una tendenza all’omologazione politica che spesso si associa ad una tendenza, ancora più detestabile, all’omologazione culturale e alla censura pubblica di tutte le posizione che possono risultare eccentriche, eretiche o estranee al mainstream. Chi non si sente più rappresentato dai partiti tradizionali inevitabilmente si affida a chi si presenta come forza di opposizione e di alternativa radicale. E non è un caso che l’unico partito ad essere cresciuto, insieme alla destra radicale, sia stata l’estrema sinistra della Linke.

Così come, agli occhi dell’opinione pubblica, sta diventando sempre più fastidioso l’eccesso di permanenza al potere delle stesse persone: la Merkel governa ininterrottamente dal 2005 e questo potrebbe già essere un buon argomento, per molti tedeschi, per desiderare un cambiamento di leadership di cui già si vedono le avvisaglie.

*Articolo apparso sui quotidiani “Il Messaggero” er “Il Mattino” del 19 settembre 2016.

 

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